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Spesa farmaceutica. Le note Aifa e il rigore a senso unico

di Ornella Mancin

02 NOV - Gentile Direttore,
c’è un dato nella legge di Bilancio 2017 per quanto riguarda  la sanità, che come medico di famiglia mi lascia molto perplessa e riguarda la nuova calibratura dei tetti della spesa farmaceutica  con un aumento del tetto di quella ospedaliera, che secondo gli ultimi dati, passa da 3,5 a 6,89% e una significativa riduzione di quella territoriale (da 11, 35% a 7,96%).
 
Pur apprendendo che questo comporterà un aumento degli acquisti diretti da parte della farmacia ospedaliera con   un aumento della “distribuzione diretta” dei farmaci più costosi direttamente dall’ospedale al territorio, come già avviene per diversi farmaci, questa grossa riduzione della spesa farmaceutica territoriale   impensierisce non poco.
 
I tetti di spesa farmaceutica nel territorio sono andati diminuendo anno dopo anno. In Veneto, regione dove lavoro, negli ultimi 5 anni si è tagliato così tanto, passando a una spesa pro-capite sempre più bassa (per il 2016 è di 114 euro anno per assistito) che troveri difficile fare di più.
 
Si è incrementato l’uso dei generici (tra l’altro i farmaci non genericati nel territorio sono rimasti pochissimi), si è fortemente  aumentata la Distribuzione per conto e quella Diretta (entrambi i meccanismi prevedono che i farmaci siano comprati direttamente dalla Farmacia Ospedaliera con scontistiche particolari e fatti arrivare al paziente per “conto” delle farmacie del territorio o prelevati direttamente dalla Farmacia dell’ospedale); si è passati alla distribuzione diretta e  supervisionata dallo specialista diabetologo di tutti i presidi per i diabetici; si è messo in campo un ferreo controllo dell’applicazione delle note AIFA.
 
Questo ultimo aspetto è quello che rende spesso difficile la vita lavorativa di noi medici di famiglia.
L’applicazione delle note AIFA, in teoria affidata alla “discrezionalità” del medico curante che conosce il paziente, è diventato un percorso sempre più rigido e controllato.
 
Quante volte ci tocca dire al paziente che il farmaco per la protezione gastrica (PPI) se lo deve pagare perché non rientra nei criteri o se ha la gastrite, il reflusso, l’ulcera  glielo possiamo dare per 4-6 settimane e poi basta?
 
Si parla di farmaci che pur di largo uso, costano cifre modeste (4-7 euro) ma su cui si esercita un controllo serrato.
 
L’aderenza alle note AIFA è fonte anche di qualche palese contraddizione. Pensiamo alla nota 89 che regola la prescrizione in Fascia A degli antistammici per le malattie allergiche. La nota recita che la prescrivibilità è possibile nei “pazienti affetti da patologie su base allergica di grado medio e grave (Rino congiuntivite allergica stagionale, orticaria persistente non vasculitica) per trattamenti prolungati (superiori a 60 giorni)”.
 
Secondo questi criteri a chi ha l’allergia stagionale o gli faccio pagare  il farmaco o devo garantirmi di prescriverne per più di due mesi (il che non è facilmente prevedibile visto che la carica pollinica e la sintomatologia clinica posso essere assai variabili),  mentre chi ha una rinite perenne (da Acari) pur dovendo  assumere il farmaco per lunghi periodi, se lo deve pagare perché non ha una  rinite stagionale.
 
La vita è dura per i medici di famiglia chiamati a giustificare ogni prescrizione sia all’ULSS sia al paziente a cui spesso si è costretti a negare farmaci “necessari”.
 
Se già siamo a questi livelli di controllo mi preoccupa assai pensare a come sarà possibile ridurre ulteriormente la spesa farmaceutica nel territorio.
 
Intanto fa male sentire che chi impone questi “fardelli” abbia, almeno se sono confermate le notizie riportate dalla stampa, un uso un po’ disinvolto delle risorse pubbliche.
 
Si legge infatti che l’Aifa ha donato 50.000 euro a Comunione e Liberazione per il meeting, che il suo Presidente   ha ottenuto rimborsi spese per 95.000 Euro in 6 mesi,  che il suo direttore ha uno stipendio molto al di sopra del tetto consentito (767 mila euro annui contro un tetto di 240 mila ).
 
Mi è difficile accettare che mentre io nego un farmaco del valore di 5 euro (una miseria per molti ma non certo per chi vive con meno di 1000 euro di pensione) c’è chi usa il denaro che faticosamente cerchiamo di risparmiare con una certa “allegrezza”.
 
Forse non è troppo pretendere un uso più accorto dei soldi pubblici, perché lo spreco  contribuisce anch’esso all’insostenibilità del SSN.
 
Forse  più che continuare a tagliare in sanità è ora di recuperare  eticità . I comportamenti dei singoli non sono sempre buoni perché legalmente permessi. Chi governa, chi gestisce la res pubblica  deve mettere in atto comportamenti e atteggiamenti convincenti che aiutino a capire il valore del sacrificio richiesto.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
 Cavarzere (VE)

02 novembre 2016
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