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I precari, la Cassazione e la giusta interpretazione delle sentenze

di Avvocatura di diritto infermieristico

19 NOV - Gentile direttore,
è sempre piacevole ricevere commenti o consigli, come quelli da voi recentemente pubblicati sul nostro commento alla sentenza della Cassazione sul precariato pubblico. Siamo sempre pronti al confronto e alle critiche con chiunque, quando queste però, sono costruttive e possono apportare un arricchimento culturale per la professione e, soprattutto, se sono corrette sul piano giuridico.
 
Ma è pur vero che, se pubblichiamo articoli che riguardano sentenze di una certa rilevanza è perché dietro c’è stato un lavoro di studio, di approfondimento e di esegesi che non può essere banalizzato ad un semplice copia e incolla come fanno molti che, spesso, trascinano in sé gli errori di dattilografia riportati in sentenza.
 
Copiare una sentenza e pubblicarla senza dare spiegazioni o entrare nel merito della stessa, non arricchisce il lettore ma anzi, lo lascia con dubbi e perplessità ancora più profonde e incolmabili. L’AADI tende sempre a dare un punto di vista personale e qualificato delle questioni, basandosi su aspetti giuridici concreti e cogenti, proprio per agevolare la comprensione e facilitare l’assimilazione della notizia che altrimenti rimarrebbe confinata a pochi saccenti ed esperti del diritto.
 
Esistono molte altre associazioni “copia” dell’AADI, le quali divulgano le sentenze sui vari social network o nelle loro pagine web senza esprimere nessun giudizio di merito né sui contenuti né sulle risultanze per le parti.
 
Codeste associazioni sanno molto bene che un buon 85% dei lettori non capiranno nulla di ciò che voleva intendere la sentenza stessa, non comprendendo mai a fondo il punto di diritto espresso o le relative applicazioni pratiche.
 
Molte sentenze è vero, sono decisamente complesse, incomprensibile e lacunose e quindi è necessario e doveroso per chi come noi tratta di diritto in genere e nello specifico di diritto sanitario, tentare almeno di evidenziare il punto di diritto espresso e dare una concreta applicabilità alla fattispecie giuridica anche attraverso la divulgazione e l’esegesi giuridica, cosa che facciamo sempre, ma solo dopo averle approfonditamente studiate e discusse.
 
Ma veniamo al punto, il gentile collega, ci invia una mail e poi alcune ora dopo pubblica il suo punto di vista (degli altri) tentando di dare un suo contributo sulla questione asserendo che “autorevoli” giuristi non sono concordi sul fatto che la legislazione nazionale non preveda la trasformazione dei contratti da determinato a indeterminato nei casi in cui questi, siano stati reiterati oltre i 36 mesi.
 
Nel ringraziarlo del suggerimento, è però doveroso puntualizzare al solerte collega che eravamo ovviamente a conoscenza dell’ordinanza espressa dal Tribunale di Foggia come anche di quella di Trapani ancor prima di scrivere l’articolo, e poco interessati alle deduzioni dottrinali degli illustri giuristi (amici di Volpe) ma non ce ne siamo minimamente preoccupati per una serie di ragioni:
 
- l’ordinanza o le ordinanze, riguardano la presunta illegittimità Costituzionale dell'art. 10, comma 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001 e dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, D.Lgs. n. 165/2001 e non sono contro la sentenza delle SS.UU. n. 5072/2016 oggetto del nostro articolo che di per sé è esaustiva, cogente e inoppugnabile. Le deduzioni espresse in articoli e paper dai giuristi, non possono inficiare le risultanze delle SS.UU. della Suprema Corte giacché la stessa cassa le deduzioni della corte territoriale Ligure in base alle normative Statali vigenti e attuali Italiane.
 
- le rilevanze mosse contro gli articoli succitati cozzano contro una norma di più alto rango giuridico che è l’art 97 Cost. il quale prevede che le assunzioni del personale del pubblico impiego siano espressamente disposte dietro espletamento di concorso pubblico e che ad oggi nessuno ne ha mai proposto la modifica, neanche i giuristi illustri.
 
- le direttive Europee in seno alla illegittimità della reiterazione dei contratti a termine, non sono direttamente operanti nel panorama giuridico nazionale ed hanno bisogno che i governi degli stati membri adottino le opportune leggi delega per renderle efficaci erga omnes lasciando comunque loro, ampio spazio di discrezionalità in merito a come renderle operative. Diversamente, in caso di regolamento comunitario, questo avrebbero avuto effetto vincolante per gli stati membri compreso il nostro, possedendo valore precettivo direttamente nel nostro ordinamento. Quindi la scelta legislativa nazionale è stata indirizzata solo ed esclusivamente sulla mera attività sanzionatoria contro quelle aziende irrispettose dei regolamenti e delle direttive comunitarie trasmutate in decreti legislativi, giammai sull’ipotesi di una assunzione a tempo indeterminato come scopo risarcitorio.
 
Per altro con il temine “autorevoli” giuristi lascia un po’ il tempo che trova, ma con tutto il rispetto, mi spiace contraddirlo, giacché la sentenza de qua, ossia la n. 5072/2016 è una sentenza emessa a Sezioni Unite della Cassazione e come tale rappresenta la massima espressione del giudizio di legittimità prevista dal nostro ordinamento giuridico, non può essere impugnata in nessun altro grado di giudizio giacché non previsto dall’ordinamento Costituzionale del nostro Stato, l’unica possibile opposizione, e non è questo il caso, è alla Corte di Giustizia Europea per i diritti dell’uomo (CEDU)  ma per quelle violazioni che riguardano espressamente le lesioni dei diritti insiti dell’uomo, in senso stretto, come ad esempio la legge Pinto, l’equo processo, la durata ragionevole del giudizio e non contro giudizi di legittimità procedurale come nel caso de quo.
 
Quindi come si vede, le pronunce delle sez. di Trapani e Foggia non hanno influenza sulla decisione delle sezioni unite, come neanche le presunte esegesi degli illustri giuristi, ma si limitano meramente ad ipotizzare una illegittimità Cost. solo di alcuni articoli del D.Lgs n. 165/2001 e del D.Lgs n. 368/2001 senza per altro entrare minimamente nel merito della decisione della Suprema Corte.
 
Ora, detto questo, entriamo nel merito della sentenza tentando di far capire al solerte collega, che forse, non ha ben compreso il senso dell’articolo che abbiamo postato e il senso della sentenza stessa.
In realtà la sentenza a sez. unite insiste su una questione più volte dibattuta in giurisprudenza, ossia quella della inveterata abitudine delle aziende sanitarie di utilizzare e reiterare i contratti a termine oltre i 36 mesi, per questo, è stato necessario l’intervento delle SS.UU., onde evitare che si continuasse con pronunce difformi e continue oscillazioni giurisprudenziali in merito all’argomento, con la sentenza in oggetto infatti, si è dato un punto di vista definitivo sulla questione.
 
La suprema Corte ha cassato la sentenza di appello del tribunale di Genova che aveva erroneamente interpretato il dettato normativo intimando all’azienda ospedaliera Ligure, non solo il risarcimento del danno, “legittimo” per altro, per la continua reiterazione dei contratti a termine, ma soprattutto per la decisione di imporre all’azienda, oltre al risarcimento, anche la riassunzione del dipendente licenziato con conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
 
Orbene, giustamente la Suprema Corte non ha tanto discusso sul merito o meno del risarcimento del danno che anzi, lo evidenzia e lo promuove con una maggiorazione, visto che nella stessa sentenza viene ipotizzato un danno patrimoniale aggiuntivo dovuto alla perdita da parte del lavoratore a termine dell’opportunità o chance di cercare altre occupazioni perché legato al contratto a tempo determinato per altro reiterati nel tempo.
 
Ma sul fatto che la trasformazione del contratto di lavoro intimato all’azienda, era in violazione del dettato Cost. di cui all’art. 97, in effetti, la Suprema Corte, a ragion veduta, esprime un diniego perentorio a questa ipotesi, poiché il rispetto del dettato Cost. su espresso è vincolante per tutte le amm.ni pubbliche e non sono ammissibili deroghe alcune.
 
L’articolo in questione, ha una portata erga omnes che si rifà al principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amm.ne, principio imprescindibile e indissolubile, che non trova invece opposizione e vincolo alcuno, per le amm.ni di e società di natura privata.
 
Secondo la giurisprudenza Costituzionale consolidata, il concorso pubblico è la forma generale di reclutamento nel pubblico impiego; una deroga ad esso è possibile solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nel qual caso la discrezionalità del legislatore nella scelta di un criterio diverso dal pubblico concorso trova comunque il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amm.ne.
 
Non potrebbe essere per altro possibile, nessun’altra forma di reclutamento del personale poiché questa costituirebbe una assunzione nominativa ope legis al di fuori delle ordinarie procedure di reclutamento del personale, che costituiscono, per consolidata giurisprudenza, strumento attuativo dei canoni di imparzialità e buon andamento della pubblica amm.ne fissati appunto dall’art. 97 Cost.. - Corte Cost.  n. 127 del 1996, (Ferri, Vari) e Cost. n. 205 del 1996 (Vari Mezzanotte) -.
 
Sul punto siamo pienamente in accordo con quanto espresso dalle SS.UU. della Suprema Corte, poiché nei casi nei quali si vorrebbe vedere trasformato il contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, questi, venendo meno ai principi su espressi, violerebbe il principio di imparzialità che fino ad oggi ha posto sullo stesso piano tutti i dipendenti pubblici, i quali, hanno avuto accesso alle pubbliche ammi.ni solo dopo aver superato un regolare concorso pubblico per titoli ed esami.
 
Si immagini infatti, quale discrepanza di trattamento si verrebbe a creare tra coloro i quali sono stati costretti a partecipare negli anni a molteplici concorsi pubblici nella speranza di essere assunti, oggi dipendenti, rispetto a coloro i quali, si vedrebbero invece trasformare il loro rapporto di lavoro da determinato a indeterminato per decreto senza dover espletare nessuna forma di concorso.
 
Sarebbe una iniqua forma di imparzialità e una manifesta lesione dei diritti costituzionalmente garantiti.
Diversa sarebbe stata invece l’ipotesi di una modifica attraverso i passaggi parlamentari di revisione Costituzionale dell’art. 97, visto anche l’imminente referendum Cost. del 4 dicembre, cosa però, non solo mai prevista, ma neanche mai paventata.
 
Per altro va ribadito che la Corte di Giustizia Europea con l’ordinanza 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13 ha sancito che la clausola 5 dell’accordo quadro, non stabilisce un obbligo generale per gli stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, come anche la direttiva del 1999, che non contempla alcuna ipotesi di trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato, ”lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia”.
 
La direttiva comunitaria pone solo principi specifici, che per gli ordinamenti degli Stati membri, valgono come obiettivi da raggiungere ed attuare come il principio del contrasto dell’abuso del datore di lavoro nel privato o pubblico, nella successione di contratti a tempo determinato (clausola 5).
 
La portata della direttiva e dell’accordo, soprattutto riguardo alla clausola 5, è proprio questo, precisa la Corte di Giustizia -7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04 – (cit.) che ”l’obiettivo di quest’ultimo è quello creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.
 
Sta poi alla legislazione nazionale individuare le norme idonee a sanzionare gli abusi di reiterazione dei contratti e non alla norma Europea che nulla osta a che uno Stato membro riservi un destino diverso al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che siano stati contratti con datore di lavoro pubblico o privato, ma che il legislatore si è guardato bene dal fare, proprio in virtù di quel dettato Cost. di cui all’art. 97.
 
Quindi, caro collega nell’esprimere il nostro apprezzamento nell’averci consigliato di prendere visione delle ordinanze dei tribunali e di leggere le considerazioni dottrinali di altri giuristi, siamo però costretti ad informarti che nulla possono contro le risultanze delle SS.UU. della Cassazione, ad oggi, ancora, la massima espressione dell’ordinamento giuridico nazionale in fatto di sentenze di legittimità.
 
Quando e se, la Corte Costituzionale si esprimerà in merito alle legittime ipotesi dedotte dai tribunali territoriali, allora, forse, rivedremo le nostre posizioni in merito anche in ossequio alle eventuali novellazioni giurisprudenziali del caso, così come farà anche la Suprema Corte, ma nella pendenza del giudizio non potremo che confermare l’esegesi attualmente vigente.
 
Quando e se, la Corte Costituzionale si esprimerà in merito alle legittime ipotesi dedotte dai tribunali territoriali, allora, forse, rivedremo le nostre posizioni in merito anche in ossequio alle eventuali novellazioni giurisprudenziali del caso, così come farà anche la Suprema Corte, ma nella pendenza del giudizio non potremo che confermare l’esegesi attualmente vigente.
 
L’AADI non intende sostituirsi alla Corte Costituzionale né alla Corte Suprema: ognuno faccia il proprio!
 
Il direttivo AADI (Avvocatura di diritto infermieristico)

19 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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