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Responsabilità professionale. Le linee guida non sono un parametro di certezza per accertarla

di Carlo Scorretti

03 FEB - Gentile Direttore,
il tema delle linee guida, di cui abbiamo già dato conto nella presentazione del Seminario della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale di Trieste e Udine, partiva dalla constatazione di grandi aspettative e di una pressoché unanime adesione alla proposta legislativa contenuta nel ddl Gelli, ma anche dal fatto che nei commenti, salvo qualche rara eccezione, non veniva prestata la dovuta attenzione ad alcune criticità che emergono in più punti, in particolare per quanto concerne l’applicazione delle linee guida nell’ambito della responsabilità professionale medica.

Non si tratta di una novità assoluta nel nostro ordinamento, infatti già la legge 8 novembre 2012, n. 189 introduceva tale modalità valutativa ed ormai la giurisprudenza di merito in numerose sentenze ha cercato di interpretare ed applicare al meglio tale innovazione.
 
Va anche tenuto presente che in molti documenti, presentati durante le audizioni parlamentari che si sono svolte in questi due anni di gestazione della normativa e facilmente reperibili in rete, compaiono espliciti “caveat” verso un impiego acritico delle linee guida nella valutazione della responsabilità professionale medica.

Illustri medici legali hanno già affermato che sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza definitoria per stabilire la natura rigida o elastica delle linee guida (così da collocarle nella classe delle regole, nel primo caso, o dei principî, nel secondo) e per poter comprendere se ed a quali condizioni siano consentite le “violazioni” – maggiori o minori – delle stesse. Inoltre si è esplicitamente indicato il rischio evidente di uno scivolamento verso una responsabilità professionale basata esclusivamente sulla colpa specifica.

Ma in particolare va sottolineato come poche voci si siano levate a rammentare come in nessun paese al mondo le moderne linee guida in ambito clinico, basate sulla EBM, diverse dai protocolli e dalle procedure già definite da normative specifiche, siano state adottate come parametro di assoluta certezza per la definizione di una eventuale responsabilità medica e soprattutto come, in altre realtà, che prima di noi hanno cercato di affrontare il problema dell’esplosione del contenzioso verso i medici, si sia già cercato, quasi in via sperimentale, di ricorrere già una trentina di anni fa ad un approccio similare (cioè di definire l’esistenza di una responsabilità del sanitario utilizzando come parametro di riferimento le linee guida), ma senza successo, tant’è che attualmente, anche negli Stati Uniti, si rimane ancora ancorati alle modalità di giudizio tradizionali.

Infatti le linee guida non hanno assolutamente rimpiazzato il ruolo dell’expert witness nella definizione del caso concreto.

Un’analisi dettagliata sul fallimento di tali esperienze compariva in un lavoro di Terrosi Vagnoli nella Rivista Italiana di Medicina Legale del 1998, ed ancor oggi il tentativo frustrato di ricorrere alle linee guida viene ricordato nella letteratura medica di quel Paese (si veda ad esempio pag. 14 e seg. in Surgeons And Medical Liability: A Guide To Understanding Medical Liability Reform dell’American College of Surgeons, del dicembre 2014).

Addirittura nel Minnesota le leggi di quello stato dichiarano inammissibile la proposizione, quali “evidence”, delle linee guida nel corso del dibattimento.
Anche in Gran Bretagna, il cui modello sanitario pubblico presenta maggiori somiglianze con il nostro, che da anni ha istituito addirittura una apposita struttura di riferimento per lo sviluppo e la diffusione delle linee guida (il NICE), l’utilizzo di tali indicazioni cliniche nei dibattimenti per malpractice non è praticato.

Già nel 1996 la direzione del NHS (il nostro SSN) sanciva che “le linee guida non possono obbligare, autorizzare o vietare una determinata opzione terapeutica…. Sarebbe del tutto inappropriato, da parte di chi ha ruoli manageriali o direzionali, l’utilizzo delle linee guida quali mezzo coercitivo nei confronti di un (medico) clinico”.

Riflettere sulla strada intrapresa ci sembrava e ci sembra tuttora necessario. La nuova normativa è un cambiamento importante, ma va seguita nei suoi sviluppi e nella sua applicazione con grande attenzione. Quindi concordo con il prof Cavicchi quando pone il problema della sua applicazione invitandoci tutti "a stare con i piedi per terra".

Professor Carlo Scorretti
Università degli Studi di Trieste                                     

03 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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