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No allo stralcio dell’osteopatia dal ddl Lorenzin

di Luigi Ciullo

03 FEB - Gentile direttore,
l’osteopatia esiste in Italia solo grazie al lavoro esclusivo degli osteopati attivi in tutta la Penisola; non esiste tuttavia sul piano legislativo a causa dei ritardi della sua regolamentazione. Non è la prima né sarà l’ultima volta che le ostilità verso il processo di modernizzazione del Paese vengano aperte da chi si senta minacciato nei propri interessi e privilegi.

Sostenere che questa professione non debba essere riconosciuta, invocando lo stralcio dell’articolo di legge in fase di approvazione è atto di assoluta irresponsabilità, contrario alla legittima tutela sanitaria e ai diritti del cittadino. Che i parlamentari non diventino ostaggio di chi, per differenti finalità, sostiene apertamente la conservazione o addirittura la negazione dell'efficienza e della qualità nella cura.

La sovrapposizione dell’osteopatia con altre professioni e la necessità di ulteriori verifiche di efficacia sono argomenti pretestuosi e facilmente confutabili. In realtà, chi si è spinto fino a indicare l’illegittimità del provvedimento legislativo già approvato in Senato, sa bene che ai fini dell'efficienza, della sicurezza e dell'utilità sociale l'osteopatia possa essere praticata solo dagli osteopati che abbiano avuto formazione adeguata, come previsto dalle norme internazionali (4500 ore di specifica pedagogia – ndr). Esattamente come la fisioterapia viene praticata dai fisioterapisti e la chiropratica dai chiropratici. Da questa consapevolezza deriva il timore e la conseguente opposizione verso le nuove figure professionali.

Il DDL “Lorenzin” è l’ambito più coerente alla definizione delle nuove professioni sanitarie. Lo stralcio invocato dall’Associazione dei fisioterapisti comporterebbe conseguenze su molti piani, a partire dall’incertezza per i milioni di italiani che consultano abitualmente gli operatori citati. Inoltre, ci si potrebbe chiedere se l’aggressività verso gli osteopati esclusivi possa nuocere più alle nuove professioni o alla stessa causa dei fisioterapisti precari, rappresentati dagli estensori di questi giudizi trancianti ed apodittici.

A sostegno di quanto affermato, possiamo analizzare nel dettaglio alcuni dati a beneficio di chi ritiene improcrastinabile la regolamentazione degli osteopati, con assoluto rispetto delle Fonti e senza diversi obiettivi rispetto all'onesto esercizio della nuova professione. Vogliamo cioè dimostrare perché in Italia l’Osteopatia debba diventare professione sanitaria nei termini definiti dall’O.M.S. e dalle norme di standardizzazione europee.
1) Il 15% degli italiani si è rivolto agli osteopati, esprimendo un alto grado di soddisfazione (78%). Cfr.: rilevazioni Istat e Eurispes;
 
2) In Francia è al 50% la percentuale dei cittadini che si curano con l'osteopatia: elemento che può indicare la tendenza per il nostro Paese, ma anche la potenziale integrazione sanitaria dell'osteopatia nel contesto europeo e in ambito scientifico, complementare, preventivo interdisciplinare;
 
3) Sono circa 7000 gli osteopati sedicenti in Italia e 2 milioni i pazienti degli stessi;
 
4) I trattamenti osteopatici vengono già sistematicamente erogati in alcuni noti ospedali, come il Bambin Gesù di Roma, il Mayer di Firenze e il Sant'Anna di Torino;
 
5) Secondo la legge italiana vigente, "l'assistenza sanitaria è regolata dalla legge e può essere prestata esclusivamente da professionisti riconosciuti (Rif. 1, 2 e 3). Per il momento, gli osteopati non sono riconosciuti come fornitori di assistenza sanitaria. Pertanto, erogare assistenza sanitaria ad una persona/paziente essendo privi del relativo riconoscimento legale è suscettibile di impugnazione legale ai sensi del Rif. 4" (ex norma CEN allegato A);
 
6) Quindi, ogni atto osteopatico, configurandosi indiscutibilmente come sanitario, così come ogni corso di formazione in materia qualora non legalmente autorizzato, è attualmente passibile di contestazione. Quadro confermato con chiarezza persino dalla norma di standardizzazione europea (CEN) che, nell'Allegato A, fotografa con assoluta chiarezza tale condizione paradossale per l'Italia.

Dall'analisi oggettiva di tali elementi si dovrebbe pertanto logicamente desumere:
1) L'apprezzamento per l'attuale legislatore che per primo ha voluto mettere mano alla materia, riconoscendone l'importanza sociale e la non ulteriore derogabilità di provvedimenti a primaria tutela della salute dei cittadini;
 
2) L'opportunità unica per la definizione della nuova professione sanitaria e autonoma di osteopata, con un percorso formativo dedicato e un albo professionale;
 
3) La disponibilità politica attuale per la definizione di un quadro giuridico generale a tutela della professione di osteopata, come definito dall'art. 4 del DDL in discussione parlamentare, nonché dimostrato dalla sua prima votazione a larghissima maggioranza il 25 maggio 2016 in Senato;
 
4) La disponibilità istituzionale ad integrare l'osteopatia nel Sistema Sanitario Nazionale, come percorso legislativo obbligato che non preveda alcuna alternativa a breve e a lungo termine. Concetto più volte formalizzato dal Ministero della Salute durante i lavori per la definizione della norma di standardizzazione internazionale per l'osteopatia. Lavori questi ultimi svoltisi a Milano nel 2015 e aperti a tutti, a cui tuttavia i detrattori dell'attuale riconoscimento dell'osteopatia pur avendo potuto non hanno partecipato, per quanto oggi agitino le acque privi della consapevolezza necessaria;
 
5) L'attuale processo legislativo per il riconoscimento dell'osteopatia è un atto di responsabilità che consegue ad un adeguato iter istruttorio e precede i relativi Decreti attuativi che definiranno, solo in un secondo tempo, modalità di esercizio ed istruzione professionale. Dati questi che ad oggi non è né lecito né possibile preconizzare, ma che potranno essere definiti con la partecipazione dei soggetti istituzionali previsti e delle rappresentanze della categoria che abbiano dimostrato e dimostrino autorevolezza e competenza, oltre ai requisiti oggettivi conseguiti negli anni.
 
Luigi Ciullo
Direttore Generale e Responsabile legale I.E.M.O. Genova
 
Fonti giuridiche:
Rif. 1: Regio decreto 27 luglio 1934 n. 12665, Titolo II "Esercizio delle professioni e delle arti sanitarie e di attività soggette a vigilanza sanitaria", capo I -"Dell'esercizio delle professioni sanitarie", Art. 99;
Rif. 2: Legge 1° febbraio 2006, n. 43 "Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istruzione dei relativi ordini professionali". Art. 5 "Individuazione di nuove professioni in ambito sanitario";
Rif. 3: Legge 14 gennaio 2013 n.4 "Disposizioni in materia di professioni non organizzate", Art.1;
Rif. 4: Codice penale italiano "Abusivo esercizio di una professione", Art 348.


03 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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