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Non voglio essere un medico ma un infermiere moderno

di Ivan Favarin

23 APR - Gentile direttore,
colgo la palla al balzo lanciata dal dr. Spada che - nomen omen - difende a spada tratta le professioni sanitarie non mediche nella loro evoluzione, stimolando tutti noi sanitari (e laici) a informarci meglio. Ringrazio lui e tutti coloro i quali (medici e altri professionisti) stanno rivedendo criticamente molti aspetti tecnici, diagnostici, riabilitativi e assistenziali in chiave moderna.

Ringrazio soprattutto per l’assist sull’esistenza delle diagnosi infermieristiche. Sono parte del curriculum formativo universitario dell’infermiere da un decennio almeno. È una denominazione mutuata dal mondo anglosassone e basata fortemente sull’impostazione del North American Nursing Diagnosis Association, che ha elaborato e rivisto negli anni un elenco di diagnosi infermieristiche.
 
Sembra strano, ma esistono davvero, e sono uno strumento di valutazione e inquadramento assistenziale davvero importante. Ormai ogni studente di infermieristica ne è ampiamente consapevole, e invitato a studiarle per accelerare la capacità di valutare il paziente secondo il processo infermieristico che è un metodo di problem solving.
 
È un complemento importante, un acceleratore che integra la pur insostituibile esperienza sul campo. In alcuni atenei si ha la fortuna di mettere davvero in pratica la visione bifocale (medica e infermieristica) facendo partecipare alle sessioni di ragionamento clinico sia medici che tutor infermieristici, come accade in quelle unità operative dove si collabora con due punti di vista imprescindibilmente legati: assistenziale e clinico (diagnostico-prescrittivo).
 
Ancora 10 anni fa a una discussione di tesi, intesi ricusare la nozione di diagnosi infermieristica (“la diagnosi è solo medica”) e neppure da un medico, bensì da un farmacista. Ma qualcosa cambia.
 
Anni fa, partecipai a un simposio promosso dall’amministrazione USA per condividere le consolidate esperienze SSN italiane con la neonata Obama-Care.
 
Là ebbi la fortuna di collaborare con la collega Jeanne Marie Kiss, una executive della sanità newyorkese nonché docente del NY Medical College.
 
Questa collega, anni luce avanti a me, capiva che l’Italia (che vanta uno dei più importanti SSN al mondo) negli anni non si era dotata altrettanto efficacemente di una avanzata gestione assistenziale (ovvero non medica) del paziente. Dati alla mano, lo sbilanciamento percentuale di medici procapite rispetto agli infemieri procapite non ha quasi eguali in Europa, e fors’anche nel mondo industrializzato.
 
Lei ci consoló ricordando quando, giovane infermiera in psichiatria, veniva derisa dal direttore medico perché in procinto di iscriversi a corsi superiori e ambire alla specializzazione, poi al management e alla docenza. “Wanna be a Doctor?” - era la provocazione alla giovane infermiera JMKiss. Ma erano gli anni ‘70 del secolo scorso, quasi mezzo secolo fa.
 
Da noi quel “wanna be a doctor” riecheggia senza mai aver colto la vera essenza dell’evoluzione dei sanitari non medici: migliorare la propria professione, non rubando bensì ampliando e condividendo sempre più competenze. Per chi? Per i pazienti! Per gli studenti che se ne occuperanno, e per chi se ne occupa già, e anche per far pressione politica per migliorare l’assistenza sanitaria. Esattamente quello che fa oggi negli USA l’infermiera Jeanne Marie Kiss, PhD, con pieno riconoscimento e potere.

Lei mi fece capire (meglio) che l’Italia ha un approccio al paziente (sulla carta) molto medico-centrico, sebbene fosse chiaro ovunque che chi sta più tempo col paziente era e rimane l’infermiere. Tale approccio in molti altri Paesi è stato rivisto da decenni, sdoganando una volta per tutte il temuto task-shifting, secondo una visione pragmatica di matrice anglosassone ma non solo - vedasi le recenti aperture in Spagna sulle prescrizioni. Esiste un intero studio di revisione della letteratura in merito ad esempio al nurse pratictioner nel mondo, e questi sono dati di fatto.

Un medico, uno dei più anziani (e questo gli fa maggiormente onore), un giorno mi prese da parte e mi illustrò in due parole: “È importante che voi infermieri evolviate le vostre competenze e che tutti noi sanitari comunichiamo costantemente sulla gestione del paziente. Noi medici non possiamo pretendere di essere ovunque. Noi dobbiamo occuparci di questioni cliniche complesse, visitare in modo mirato e attento, e per poter far questo abbiamo bisogno che voi facciate di più!”
 
Non cito tutte le leggi che normano e certificano l’evoluzione professionale, né i titoli che portano a ciò (sulla carta): sarebbe come ribadire ogni giorno ai passeggeri a bordo della mia auto che io sono un patentato B da decenni, in base al codice-articolo-comma-anno bla bla bla. Preferirei piuttosto aver stimolato a guardare oltre, estero o interno che sia. Come si dice in Gran Bretagna al termine delle lettere di presentazione: references given upon request. E già che ci siamo...”Wanna be a Doctor?” - “No, wanna be a Modern Nurse!”
 
Ivan Favarin
Infermiere

23 aprile 2018
© Riproduzione riservata

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