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Emergenza sanitaria territoriale. Servono norme nazionali

di Santina Catanese (Smi Marche)

19 GIU - Gentile Direttore,
l’emergenza sanitaria territoriale ufficialmente nasce con il DPR il 27/03/1992, ma le regioni cominciano ad organizzarla verso la fine degli anni novanta, così entra a regime solo nei primi anni del 2000. Quando ancora non esisteva il sistema del 118/112 era il caos: le richieste di soccorso sanitario venivano gestite in autonomia dalle varie associazioni di volontariato, dai comuni, dai pronto soccorso, non c’era ancora una centrale operativa che smistasse le chiamate ed inviasse il mezzo appropriato in base all’indice di gravità.
 
Gli operatori che arrivavano sul luogo dell’evento non erano in grado di fornire le prime cure al paziente e di indirizzarlo al giusto ospedale, ma lo caricavano, in qualsiasi condizione egli si trovasse e senza alcun trattamento lo trasportavano  all’ospedale più vicino.

Oggi il paziente arriva all’ospedale già trattato e stabilizzato da personale medico e infermieristico esperto e qualificato, senza dimenticare che nel sistema operano anche laici in grado di supportare le funzioni cardiorespiratorie di base (BLSD) e quindi in grado di prendersi cura del paziente in attesa di un soccorso più qualificato.

Il termine di emergenza sanitaria extra-ospedaliera è in disuso, sempre più si sente parlare di rete territoriale dell’emergenza e di continuità dell'assistenza: ovvero di un sistema integrato ospedale –territorio con una continuità delle cure; il paziente viene trasportato in sicurezza, all’ospedale non più di competenza territoriale ma in quello più attrezzato per la sua patologia ed in grado di trattarlo in modo definitivo :si evitano così inutili perdite di tempo, e nello stesso tempo il sistema 118/112 ha permesso anche la chiusura dei piccoli ospedali.

Il decreto 70/2015 ha rafforzato lo sviluppo di un modello spoke/hub, la messa a punto dei PDTA(percorsi terapeutici assistenziali ) e ciò e’ stato reso possibile grazie appunto alla rete dell’emergenza sanitaria territoriale.

Il paziente con infarto del miocardio viene trasportato all’ospedale fornito di emodinamica, l’ictus al centro ospedaliero che pratica trombolisi, il traumatizzato al trauma center, l’ustionato al centro ustione e così via .

Una sanita’ regionale che funzioni è quella dotata di una rete dell’emergenza sanitaria qualificata con personale sanitario in grado di diagnosticare prontamente una data patologia e di trattarla adeguatamente in grado di prendersi cura del paziente per il tutto il tempo necessario fino all’arrivo all’ospedale di destinazione.

In realtà le regioni di quello che è il decreto 70/2015 nella maggior parte dei casi hanno recepito solo il capitolo chiusura dei piccoli ospedali, chiusura dei PPI, non hanno creato un idoneo servizio alternativo, hanno e stanno realizzando i PTDA, ma si dimenticano di adoperarsi per creare una rete sanitaria dell’emergenza forte, efficace, efficiente e competente.

In alcune regioni hanno pensato di sostituire il personale formato sanitario con personale laico e volontario, autisti soccorritori dipendenti, con personale volontario (che magari di giorno lavora per mantenersi e di notte si mette alla guida delle ambulanze) evitando così nuove assunzioni, ormai i concorsi per gli autisti-soccorritori non esistono più.

In talune regioni si sta arrivando progressivamente alla demedicalizzazione del territorio con la sostituzione del personale medico con personale infermieristico. Nelle Marche, che credono alla medicalizzazione del territorio, in carenza di personale medico, indicano un nuovo corso di formazione per l’emergenza territoriale per i medici, ma creano altra precarietà in un mondo di precari. Infatti, il medico dell’emergenza territoriale rimane tuttora ,in moltissimi casi, un medico a contratto precario, in parecchi situazioni a contratto di “convenzione”, ovvero come se fosse una sorta di libero-professionista che pur svolgendo gli stessi compiti e funzioni di lavoro di un medico dipendente ,non può goderne i diritti.

Un esempio tra tutti, il medico convenzionato dell’emergenza a fine carriera avrà un trattamento pensionistico ai limiti della povertà.

La rete dell’emergenza sanitaria risulta fortemente indebolita in tutte le regioni d’Italia, mancano ovunque gli specialisti dell’emergenza, e piuttosto di formarli con percorsi ben individuati si ricorre a nuove forme di surroga contrattuale: si utilizzano precari, volontari ,convenzionati a tempo indeterminato e a tempo determinato ,dipendenti, partite iva, etc…all’interno di un sistema che, anche se sostenuto da personale volontario formato, dovrebbe avere solo un'unica tipologia contrattuale, quella degli operatori dipendenti, con un percorso formativo altamente qualificante e pre-stabilito.

La politica italiana si deve dotare di una normativa che riorganizzi e riordini il sistema dell’emergenza sanitaria territoriale e che coinvolga tutti gli “attori”dell’emergenza,dal più piccolo al più grande, e che investa non solo sulla formazione ma anche sulla tecnologia di cui deve avvalersi il sistema stesso, che deve diventare un “biglietto da visita”degno del sistema sanitario nazionale pubblico italiano.

Per questo motivo alcuni medici convenzionati delle Marche hanno già fatto un ricorso contro la regione e, adesso, sono in attesa della sentenza di appello del Tribunale di Ancona, dopo di che, se non verranno riconosciuti i loro diritti, si rivolgeranno alla Corte Suprema d’Europa.

Servono più borse di studio per avere professionisti medici formati a tutto tondo. Serve una vera e propria scuola di specializzazione, che uscendo dai canoni delle università, invoglia i giovani, li coinvolga, li stimoli ad amare un mestiere che ha come peculiarità quella di non finire mai di “essere imparato“. Serve una normativa che restituisca al pubblico un servizio salva vita, essenziale e fondamentale alla salute dei cittadini,e che sia svincolato da ogni politica regionale, da ogni logica di risparmio, da ogni “spending review, da ogni tentativo di privatizzazione, di sperimentazioni “pubblico-privato”,in base alla quale le regioni cedono a “terzi” l’organizzazione del sistema (basti pensare alle cooperative che stanno invadendo anche questo servizio).

E’ urgente una normativa che riorganizzi su base nazionale e non più regionale l’emergenza territoriale, perché, tutti i cittadini da Nord a Sud d’Italia hanno il diritto di ricevere, in urgenza, la stessa assistenza le stesse cure e trattamenti e hanno il diritto di non morire perché non soccorsi adeguatamente.

Santina Catanese
Dirigente SMI Marche


19 giugno 2018
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