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Liste d’attesa. Gli errori da evitare

di Claudio Maffei

15 MAR - Gentile direttore,
non c’è dubbio che la lunghezza delle liste di attesa influisce pesantemente sulla qualità percepita del “proprio” Servizio Sanitario Regionale. L’annuale Rapporto PiT Salute di Cittadinanzattiva ricomprende sempre, ad esempio, la lunghezza delle liste di attesa come uno dei motivi di maggiore scontento dei cittadini. Ne deriva che le Amministrazioni Regionali e di conseguenza le Direzioni Aziendali hanno nella riduzione delle liste di attesa uno dei propri principali obiettivi. Nell’ultimo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa si conferma nel rispetto dei tempi di attesa previsti uno dei criteri fondamentali per la valutazione dei Direttori Generali.
 
L’ipotesi alla base della lotta "a tutti i costi” alle liste di attesa nasce sul piano clinico-organizzativo da questa ipotesi: un ritardo (perché solo di tempi si parla in genere) nella diagnosi di una condizione morbosa si traduce in un peggior esito di salute per il cittadino che ne è affetto. Il che assume che ci sia in un ragionevole numero di casi tra le persone in lista una condizione da diagnosticare e trattare e che la prestazione comunque e dovunque erogata purchè in tempo utile sia adeguata allo scopo. Cosa davvero difficile da sostenere per molte prestazioni e molte richieste. Rimane, questo invece è fuori discussione, il problema dell’ansia legata all’attesa e dei costi sostenuti per accedere alla prestazione in regime privato.
 
Diamo pure per buono che il governo delle liste di attesa siano una priorità da perseguire e vediamo i rischi che si corrono se la risposta sta soprattutto in un aumento della produzione, come del resto avviene di regola. Aumento della produzione che vuol dire di solito contrattare un aumento di prestazioni da parte delle equipe pubbliche e da parte delle strutture private e quindi avere agende più ampie e processi erogativi “efficientati” al massimo.
 
Vediamo che cosa si rischia con questa politica:
1. di non investire nei percorsi (e nelle relative agende) per la presa in carico dei pazienti cronici che non sono sottoposti a monitoraggio e che invece hanno un potenziale impatto in termini di salute elevatissimo (sulle liste di attesa lavorano tutte le Regioni, sul Piano Regionale Cronicità in declinazione di quello nazionale quasi nessuna);

2. di non investire sulle prime visite per quelle specialità che non sono oggetto di monitoraggio per cui delle carenze della neuropsichiatria infantile sono in pochi ad occuparsi;

3. di non ci ricordarsi che esistono liste di attesa ancor più importanti come ad esempio quelle per l’inserimento degli anziani nelle strutture residenziali, per l’inserimento di pazienti in hospice, per il trattamento riabilitativo post-ictus o anche per interventi chirurgici “minori”, ma non per chi il problema ce l’ha come per alcuni interventi oculistici e di flebologia;

4. di spingere verso un modello tayloristico del processo clinico, che magari adatta ad alcuni accertamenti strumentali è antitetica ad una buona pratica nell’ambito delle visite specialistiche (alla faccia della medicina personalizzata) e fa correre il rischio dati i tempi stretti di indurre esami di approfondimento che sarebbero stati evitati con un contato clinico più “prolungato”;

5. di moltiplicare i punti di erogazione delle prestazioni specialistiche in una logica prestazionale e non di processo (alla faccia dei PDTA);

6. di non si presidiare la enorme variabilità “tra osservatori” per cui per la stessa prestazione ti puoi trovare di fronte a metodi clinici di valutazione/refertazione molto differenti (pensiamo ad una visita neurologica per fare un esempio);

7. di interferire specie in termini di continuità con la attività “di reparto” visto che in molti casi il personale è lo stesso;

8. di sottrarre attenzione e risorse da programmi, interventi e servizi a maggior impatto potenziale in termini di salute.
 
Non si possono governare le liste di attesa delle prestazioni ambulatoriali senza governare i processi in cui tali prestazioni andrebbero richieste ed erogate.
 
Claudio Maffei
Medico in pensione già Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera Umberto I di Ancona, della ASL 3 di Fano e dell'IRCCS INRCA di Ancona


15 marzo 2019
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