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Il medico del futuro: un robot in camice bianco?

di Aldo Di Benedetto

12 APR - Gentile Direttore,
più di trent’anni fa, agli inizi della mia carriera professionale mi dedicai a costruire un programma informatico per la gestione dei pazienti del reparto ospedaliero di cardiologia dove, all’epoca, prestavo la mia attività professionale. Tale iniziativa nacque a seguito di un mio approfondimento formativo in statistica sanitaria, metodologia clinica ed epidemiologia, che mi consentirono di interagire con la irriverente tecnologia informatica e le sue applicazioni in medicina.
 
Il data base, costruito artigianalmente, ma con presupposti tecnici e metodologici corretti, mi consentì di personalizzare un sistema informativo ragionato sulla base della mia esperienza professionale e contestualizzato alla situazione epidemiologica dell’area di residenza e di vita dei pazienti che si rivolgevano ai servizi sanitari territoriali e di diagnosi e cura. Purtroppo, dopo un mio periodo di assenza dal lavoro per motivi familiari, al mio rientro, al posto di quel data base trovai un programma informatico che un mio collega aveva fatto acquistare dalla ASL presso una società informatica, nell’illusione di avere uno strumento più in auge commercialmente e verosimilmente più potente.
 
Ho accennato a questa mia esperienza professionale che, tuttavia, denota aspetti ben più eclatanti che da allora in poi hanno pervaso l’attività professionale medica attraverso l’invasione di tecnologie informatiche, diagnostiche e terapeutiche che mirerebbero a sostituire l’attività medica e le sue decisioni.
 
Ma a ben sapere, la nascita della cosiddetta “intelligenza artificiale” la si può far risalire al 1956, nella conferenza di Dartmouth, pochissimo nota ai medici, organizzata da N. Rochester dell’IBM J. dal matematico McCarthy e dal neurologo e matematico Marvin Minsky con il sostegno della Rockefeller Foundation. Come sostiene nella sua opera “La logica aperta della mente”, il fisico ed epistemologo Ignazio Licata, “la conferenza di Dartmouth non fu soltanto l’incontro creativo di menti brillanti ed eclettiche, interessate a definire nuovi percorsi tra informazione, cibernetica neurologia, psicologia e matematica, ma anche un’operazione di marketing scientifico, la costruzione di un paradigma-slogan al servizio dell’impetuoso sviluppo della tecnologia informatica”.
 
Lo stesso Marvin Minsky avrebbe voluto che si fosse scelto un nome più appropriato al tema, ovvero “scienza cognitiva”, ma “l’originale e provocatoria terminologia assicurò a un eterogeneo gruppo di studiosi di agganciare da una parte le loro speculazioni allo sviluppo frenetico della tecnologia degli elaboratori digitali, dall’altra all’antico sogno della macchina pensante” coniando in seguito la metafora più glamour del paradigma dell’uomo digitale.  
 
Orbene, quelle previsioni non si sono ancora avverate ma nel senso comune si è diffusa una aspettativa e una credenza per la quale la tecnologia potrà guarire i malati e proporre attività di prevenzione; in un futuro, forse prossimo, sostituire l’attività del medico.  A ben conoscere, il modello informatico della cognizione considera la conoscenza slegata dal contesto e dai valori, perché basata su dati astratti; invece tutta la conoscenza espressiva e significativa è apprendimento legato a un contesto, fondato su modalità dialogiche empiriche e implicite. Al riguardo richiamo il mio data base artigianale che si fondava su un contesto e su un apprendimento professionale significativo. Ma non è mia intenzione togliere nulla al valore che le scienze cognitive hanno dato per lo sviluppo e le applicazioni della tecnologia e dei sistemi informatici, ciò che invece deve preoccupare, è la mancanza di consapevolezza nelle applicazioni in campo biomedico.
 
Ritengo questo un nodo chiave per il futuro della medicina e del nuovo medico, in quanto l’indagine scientifica sulla cognizione ha delle implicazioni epistemologiche che si ripercuotono sulle modalità della conoscenza scientifica e medica e sulle evoluzioni delle professioni biomediche. Come sostiene il giovane collega Marco Codaro, partecipante ai mercoledì filosofici della Fondazione Ars medica OMCeo Venezia, l’Evidence Based Medicine, ragionamento base della medicina contemporanea, fondamento di scientificità dell’atto medico può “trasformarsi in una sorta di fede a una scienza esatta e a un modello di cura come processo razionale”.
 
A quel punto “la cura sarebbe data in mano alla tecnologia e il ruolo umano sarebbe relegato soltanto al supporto psicologico”. Questa affermazione nasconde e implica un assoggettamento passivo alla tecnologia che si farebbe carico della prevenzione, della diagnosi e delle cure, “per esigenze per lo più amministrative ed economiche”.
 
Fritjof Capra, nella sua opera “La rete della vita”, sostiene che “Molta confusione è provocata dal fatto che gli scienziati informatici usano parole come intelligenza, memoria e linguaggio per descrivere i computer, inducendoci così a credere che queste espressioni si riferiscano ai fenomeni umani di cui abbiamo conoscenza diretta”. L’illustre scienziato precisa che “si tratta di un grave equivoco” poiché “la vera essenza dell’intelligenza consiste nel fatto di agire in modo appropriato quando un problema non è definito chiaramente e le soluzioni non sono evidenti.  Il comportamento dell’uomo, in tali situazioni, si basa sul senso comune, formatosi grazie alle esperienze vissute”.
 
Con queste mie considerazioni insisto sulla necessità di aggiornare la formazione medica attraverso un cambio di passo epistemologico, per l’emergere di una relazione conoscitiva complessa, il riconoscimento dell’incompletezza strutturale e un rinnovamento dei canoni classici del sapere scientifico, colmando il gap formativo che riguarda quelle discipline che sono alla base delle evoluzioni culturali e scientifiche degli ultimi cento anni e che consentono un moderno approccio alla complessità dei sistemi viventi e dell’uomo, tra cui l’ecologia, la termodinamica del non equilibrio, la cibernetica di primo e secondo ordine, la fisica e l’elettrodinamica quantistica, l’epidemiologia, l’epigenetica, le scienze cognitive, i sistemi dinamici, i sistemi complessi.
 
L’albero cartesiano unidirezionale della conoscenza ha iniziato a curvarsi e come sostengono Prigogine e Stergers, nella fondamentale opera “La nouvelle alliance” “la scienza moderna si è fondata sul rifiuto di ogni tratto antropomorfico nella descrizione della natura. Al limite, la descrizione scientifica della realtà appare tanto più obiettiva, tanto più perfetta, quanto più questa appare estranea all’uomo e ne esclude più radicalmente la possibilità. Oggi c’è la necessità di una descrizione che integri due verità fondamentali - ogni descrizione della natura –  è prodotta dall’uomo e l’uomo che la produce è lui stesso prodotto dalla natura – è imposta dal divenire interno della scienza”.
 
 
Dottor Aldo Di Benedetto
Componente Gruppo di Lavoro FnomCeo “Professione, Salute, Ambiente e Sviluppo Economico” Dirigente medico, Ministero della Salute, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria

12 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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