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L’importanza dell’umanesimo medico al tempo della tecnica

di Maurizio Scassola

12 MAG - Gentile Direttore,
ho letto con attenzione l’articolo di Tiziana Mattiazzi che, con altri compagni di viaggio e con me, ha partecipato ai Mercoledì Filosofici dell’Ordine dei medici di Venezia. La sua posizione è ben espressa, tra le altre, dalla affermazione:” La mediazione è quel punto mediano che ha nel suo mostrarsi l’insieme di tutte le posizioni presenti che non tralascia e non sacrifica nulla, anzi fa della differenza il proprio punto di forza”.
 
Vorrei introdurre le mie riflessioni  a partire da questo ricordando un passaggio del Prof. Turoldo che ha sottolineato come, nella seconda metà del Novecento, l’idea di scienza fondata sullo stretto rapporto tra causa ed effetto e del medico come custode della scienza esatta èstata messa in discussione; si è parlato di crisi della ragione e di crisi dei paradigmi nei vari campi del sapere.
 
Nella pubblicazione  Spie. Radici di un paradigma indiziario dello storico Carlo Ginzburg si mettono a confronto tre personaggi, ognuno di questi personaggi non osserva la cosa in sé: Morelli non può vedere il falsario che disegna, ma dalle tracce che lascia,interpretandole, risale alla verità. Così pure Sherlock Holmes e Sigmund Freud che, dalle tracce lasciate sulla scena del delitto o nell’inconscio, risalgono all’assassino e all'inconscio.                                                                                                             
 
Allo stesso modo il medico non vede le malattie, vede le tracce lasciate dalla malattia (i sintomi, i segni, l’anamnesi) e le interpreta per svolgere una sintesi clinica e assumere decisioni.
Ma la ragione, la razionalità e la logica non si possono applicare pedissequamente al campo dell’umano, alla relazione tra le persone, al rapporto medico - persona sofferente. E’ vero invece che più o meno consapevolmente il medico applica la più antica comunicazione persuasoria l’arte del dialogo (dia-logos): incontro di intelligenze che attraverso la comunicazione raggiungono nuove conoscenze e nuovi traguardi. L’arte del dialogo è un artificio retorico che ha come obiettivo la persuasione dell’Altro.         
 
Di chi sono quindi queste decisioni? E’ possibile raggiungere una completa consapevolezza, un coinvolgimento pieno della persona che assistiamo sulle decisioni finali? Tra queste due persone che si incontrano è possibile una paritaria assunzione di responsabilità, tra diritti e doveri, tra ruoli e competenze?
 
Se è vero che: “Il concetto di responsabilità è indissolubile dalla relazione di cura in quanto l'uno verso l'altro, il medico e il paziente, sono legati prima di tutto come persona” (il Collega Marco Ballico vedi QS del 26 aprile 2019) rimane una asimmetria evidente; il vero problema è come tradurre, attraverso la parola e la relazione, questo gap facendo partecipare la persona alle decisioni anche attraverso un consenso che non venga relegato al mero atto burocratico ma sia una vera traccia relazionale, un contratto etico-professionale tra diritti e doveri delle due persone.
 
La mediazione è un percorso che deve essere sempre affrontato ma il medico può pagare in termini di responsabilità professionale un eventuale errore e la persona lo può pagare in termini di Salute.
 
Ecco che “La decisione per la medicina della scelta è un momento conclusivo di un ragionamento deliberante nel quale il medico esprime il suo impegno verso una delle diverse alternative possibili – Tesi N°93.2”. Su questa asimmetria di competenze, di responsabilità e di possibilità di arrecare danno si svolge una rappresentazione che vede al centro della scena due persone immerse nella organizzazione aziendale che rappresenta ormai una variabile impazzita e che disorienta. Poco, d’altra parte, si parla dei doveri del cittadino nei confronti dei professionisti della salute e del Servizio; su questo campo delicato andrebbe svolta una analisi approfondita: oggi è vitale per la sopravvivenza del SSN e della nostra Democrazia riorientare tutti noi tra diritti e doveri.                                                                                                                                                                                       
 
La pervasione della Tecnica nella medicina ha depotenziato tantissimo gli aspetti simbolico-relazionali nel rapporto medico – paziente; la cura, attraverso la continua ricerca di dare senso alle proprie decisioni,  si attua anche attraverso l’atto clinico (Il Kline è un antico tipo di arredo, una sorta di divano o un letto che è stato utilizzato dagli antichi greci e poi dagli Etruschi e Romani durante i loro simposi) che è ascolto e attenzione verso la persona non un mero esercizio procedurale o la fotocopia di una linea guida.
 
Come liberarsi dalla procedure asettiche che hanno cancellato le nostre storie ed danno risposte elementari per soddisfare velocemente un utente?                                                                                         L’umanesimo ci salverà? L’Umanesimo si regge sul valore della memoria delle nostre tante storie e sulla curiosità verso l’Altro, in un ambiente accogliente e con tempi che favoriscono il percorso di cura e la qualità dei risultati.                                                                                                                                                                 
 
Oggi il paradigma vincente è la velocità, il tempario, l’ossessione delle linee guida: una velocità che divora la relazione.                                                                                                                                                                                       
 
In questo articolo desidero solo lasciare una traccia di discussione: il medico rimane comunque colui che indirizza la decisione, colui che, con il consenso della persona, finalizza il percorso di cura e si assume la responsabilità delle decisioni. Questa finale assunzione di responsabilità, in campo relazionale, etico, professionale e organizzativo pone sempre il medico come persona garante del percorso di cura e quindi come facilitatore nelle decisioni della persona ma sempre e comunque come soggetto che prende decisioni.                                                                                                                                                
 
Non è assolutamente paradossale affermare che, oggi più che mai, nel tempo della Tecnica, abbiamo bisogno di un Umanesimo che spieghi la complessità, che non la riduca a slogan commerciali o elettorali; la complessità è valore della vita, è sfida ed è cambiamento consapevole in una cornice di relazioni.                                                                                                                                                       
 
Il medico, in questo tempo, ha oggi ancora più doveri che diritti ed è per questo che nella assunzione di responsabilità ha bisogno di protezione sociale e giuridica.
 
Maurizio Scassola
Vice presidente OMCeO Ve

12 maggio 2019
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