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Decreto Banca dati Dat ottimo primo passo verso diritti del malato

di Marco Alfredo Arcidiacono

18 LUG - Gentile Direttore, 
il testamento biologico sta diventando realtà. Il Garante della Privacy ha infatti dato il benestare per il decreto che conferma, e di fatto crea, la banca dati per le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. Manca forse ancora qualche tassello che mi appresto a descrivere non prima di aver fornito alcune informazione sul Dat. 
 
Il Dat viene scritto da chiunque decida di porre dei limiti alle prestazioni sanitarie nel momento in cui potrebbero trovarsi incapace nell’intendere e nel volere. Nei momenti più critici della vita, forse meglio dire del possibile fine vita, potranno avere accesso a quel documento solo il medico curante e il fiduciario. Quest’ultimo altro non è che una persona identificata dal “testamentario” come di propria fiducia e quindi conservatrice dei valori dello stesso disponente il testamento biologico, in grado cioè di decidere le eventuali cure, esami diagnostici, scelte terapeutiche o trattamenti sanitari cui sottoporre la persona non in grado di autodeterminarsi.
 
Il Dat viene depositato gratuitamente all’ufficio dell’anagrafe del Comune di residenza, in caso di nomina di un fiduciario è lo stesso Comune che si preoccupa di contattarlo per far sapere della nomina a cui, ovviamente, la persona fiduciaria può rinunciare.
 
Il responsabile del rispetto delle disposizioni di cui al Dat è il medico curante mentre la banca dati nazionale ricade ovviamente sotto la responsabilità della Banca dati nazionale, che è poi la raccolta dei fascicoli sanitari elettronici, gestita dal Ministero della Salute.
 
In questo panorama, nel rapporto medico-paziente e medico-Ministero, entrano in gioco anche i soggetti non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale, fortunatamente viene da dire. Così le informazioni possono essere condivise nel modo giusto, senza per questo venire meno agli obblighi di privacy.
 
Resta però qualche problema e qualche cortocircuito, occorrerà una forma di mutuo aiuto nella condivisione delle informazioni senza però arrivare alla diffusione delle stesse. L’obiettivo è infatti la tutela del paziente e, in questo caso, il medico dovrà comunicare all’infermiere (spesso più di uno) quanto disposto nel Dat. Lo stesso vale anche per gli eventuali addetti all’assistenza, specie nelle case di cura.
 
Nel contesto territoriale, quindi al domicilio, potrebbe verificarsi un cortocircuito. Per esempio una persona potrebbe non volere le manovre di respirazione artificiale in caso di blocco cardio-polmonare. Potrebbero esserci casi in cui l’infermiere o l’addetto all’assistenza, inconsci di quanto scritto nel Dat, di fronte a un caso di emergenza intervengano prestando il soccorso del caso.
 
C’è poi la distinzione fra cure e trattamenti veri e propri. Sono chiari nella maggior parte dei casi ma con l’arrivo dei Dati si potrebbe creare confusione, in special modo, forse, riguardo all’idratazione o all’alimentazione. E’ chiaro che in caso di trattamento la decisione è del medico, se somministrare idratazione via flebo o meno.
 
Una parte di rischio di “appiattire” il proprio operato colpisce infatti i medici che da un lato sono portatori del giuramento di Ippocrate mentre, dall’altro, devono attenersi alle disposizioni del Dat. La verità probabilmente corre su un filo nel mezzo ma non sta a me definire regole, leggi e interpretazioni.
 
Ottima, infine, la possibilità di particolari modalità di espressione delle Dat nei casi limite, quelli più urgenti o di fronte cui si può trovare di fronte un medico nei momenti di emergenza. La dichiarazione può essere infatti videoregistrata dal medico alla presenza di due testimoni con modalità relativamente semplici e senza la necessità di particolare burocrazia. Non è difficile che un medico si trovi di fronte a un paziente che può rimanere cosciente e i proprietà delle proprie facoltà anche solo per pochi minuti, di fronte a una patologia fortemente invalidante o a causa di incidente.
 
Le sale di trattamento per le emergenze forse si attrezzeranno anche di piccole telecamere e brevi procedure per raccogliere le ultime volontà in fatto di trattamento sanitario, alla peggio si può provvedere con un telefono in grado di riprendere e quindi identificare le persone e il particolare momento così da avere validità.
 
Sempre più spesso, purtroppo, il paziente si trova incapace nel comunicare le proprie volontà nei momenti più difficili, a causa di gravi patologie, in condizioni non ottimali per prendere decisioni.
 
Il decreto composto da dodici articoli può forse contenere altre lacune ma, a mio modesto parere, si tratta di un ottimo primo passo verso un importante diritto del malato.
 
Marco Alfredo Arcidiacono
Infermiere, Ospedale Maggiore di Parma e professore a contratto, Università di Parma corso di Laurea in Infermieristica 


18 luglio 2019
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