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Sperimentazione animale, sì o no? 

di Manuela Cassotta

13 NOV - Gentile Direttore,
quando si parla di sperimentazione animale, si legge spesso di scienziati che reclamano l’ineluttabilità della pratica e ne elencano tutti i benefici per la ricerca biomedica, in risposta ad animalisti che invece vorrebbero bloccarla, per salvare gli animali.
 
Se da una parte è innegabile che la sperimentazione animale, soprattutto in passato, abbia contribuito all’avanzamento della ricerca e alla comprensione di processi biologici di base, è anche vero che oggi, considerate le potenzialità delle nuove tecnologie e la crescente consapevolezza circa i limiti scientifici e metodologici dei modelli animali, si potrebbe e si dovrebbe andare oltre la sperimentazione animale.
 
Non è tanto e non solo per una questione animalista, ma soprattutto scientifica e metodologica.
 
Che gli approcci tradizionali (tra cui i modelli animali) siano spesso inadeguati a predire le risposte alle cure e agli agenti tossici o a modellare le malattie umane e che sia necessario un maggior focus sulla biologia umana implementando nuove metodologie, non è infatti il parere degli animalisti di turno, come sembrerebbe di capire stando a ciò che passa la maggior parte dei media, ma è un dato di fatto sostenuto da ricercatori a livello internazionale, come ad esempio la collaborazione Biomed21, Alliance for Human Relevant Science e Human toxicology project consortium sulla base di dati e pubblicazioni scientifiche.
 
Non a caso l’Europa sta iniziando a investire sempre più in metodologie basate su cellule e tessuti umani, e tecnologie avanzate che, con un approccio integrato, sono già in grado in molti casi, e saranno sempre più in grado di modellare l’organismo umano, mirando a ridurre fino a sostituire l’impiego degli animali nella ricerca biomedica e tossicologica. 
 
Lo scorso 31 Ottobre si è svolto a Roma presso il Ministero della Sanità un importante convegno sui metodi alternativi alla sperimentazione animale, dal titolo “Il Principio delle 3R per una visione comune”. Durante l'incontro è stata data una panoramica della ricerca innovativa italiana, dando voce a importanti realtà nazionali come il centro 3R, IPAM (la piattaforma italiana sui metodi alternativi) e l’IZLER di Brescia (Centro di Referenza Nazionale per i Metodi Alternativi Benessere e Cura degli Animali da Laboratorio).
 
Nel corso dell’evento, è emersa la necessità di focalizzare la ricerca, attualmente troppo ancorata ai modelli animali, sulla biologia umana, nonché è stata lamentata da alcuni ricercatori la totale mancanza di informazione riguardo i limiti dei modelli animali, la scarsa considerazione delle nuove metodologie/approcci di rilevanza umana e del loro potenziale nell' animal replacement nell'ambito della ricerca biomedica italiana, creando un vivace dibattito tra i ricercatori in sala.
 
Sono stati dei ricercatori a sollevare il problema, sulla base di dati documentati e documentabili, non gli animalisti, e non per salvare i topi o le scimmie, ma per una questione prettamente scientifica.
 
Sono una biologa, mi sono recentemente specializzata in biotecnologie a Trieste, ho lavorato su metodiche in vitro avanzate per la riduzione/sostituzione degli animali nella ricerca, e posso confermare che è stata a dir poco un’impresa titanica: dal reperire una tesi in linea con il mio percorso, al trovare collaborazioni o persone interessate al problema dei metodi alternativi.
 
Con tutto il rispetto per l’eccellenza scientifica della mia città, che vanta un altissimo numero di ricercatori competenti e di alto livello, sono rimasta delusa da una visione della ricerca in generale troppo ancorata ai topi ed ai modelli tradizionali.
 
Tra mille difficoltà, alla fine ho dovuto rivolgermi all’estero, dove fortunatamente ho trovato maggior apertura in questo senso. All’estero sono infatti diverse le organizzazioni di ricercatori che supportano la necessità scientifica di un superamento dei test su animali e la conseguente adozione di metodologie più incentrate sulla biologia umana. Non mi sembrava quasi vero, di essere trattata come quella che sono, una biologa seriamente impegnata nella promozione di metodologie di ricerca di alto livello e non come una marziana in preda ad idee bizzarre.
 
Certo che attualmente non sempre esistono metodiche “alternative” pronte a rispondere ad ogni nostra domanda… con questa lettera vorrei solo far presente che nella sperimentazione animale esiste un problema di tipo scientifico, riconosciuto dalla comunità scientifica stessa, non solo etico o ideologico/animalista e che è tempo che ciò emerga con onestà e trasparenza anche attraverso la comunicazione mediatica.
 
E’  totalmente inutile disquisire sul tema “esistono o non esistono metodi alternativi” “abbiamo o non abbiamo ancora bisogno degli animali”. Quello che dovremmo fare, dopo aver ammesso con onestà i pro ed i contro dei metodi tradizionali, è impiegare quante più risorse economiche, sociali ed umane possibili nell’avanzamento delle nuove tecnologie e nel superamento di modelli scientificamente inadeguati, inclusi quelli animali, legati ad una concezione riduzionista della biologia che mal si sposa con le attuali conoscenze in tema di genomica, epigenetica, biologia dei sistemi, ecc. Perché tante più risorse dedicheremo al cambiamento, tanto prima esso avverrà, con beneficio per tutti, per primi i pazienti in attesa di cure. 
 
Le 3R (Refinement=Perfezionamento, Reduction=Riduzione, Replacement=Sostituzione) degli animali nella ricerca, dovrebbero essere infatti viste come una soluzione ad un problema in fase di recessione, non una sorta di “zuccherino” che ci diamo per continuare a mantenere e soprattutto alimentare la creazione di nuovi modelli animali, sempre più umanizzati, sempre più sofisticati e costosi, a discapito di una ricerca innovativa ed incentrata sulla biologia umana, che gode purtroppo ancora di scarsa considerazione, soprattutto in Italia.  
 
Manuela Cassotta
Biologa

13 novembre 2019
© Riproduzione riservata

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