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Hiv. Attenzione, l’equazione “non rilevabile-non trasmissibile”, non vale per le trasfusioni

di Cns, Simti, Avis, Cri, Fidas, Fratres

21 NOV - Gentile Direttore,
nella edizione del 18 novembre di Quotidiano Sanità viene riportato il messaggio che esce da una Consensus Conference promossa dalla Società di malattie infettive e tropicali (Simit) e da altre organizzazioni secondo il quale una persona HIV positiva in terapia da almeno sei mesi e con carica virale non rilevabile (< 200 copie/ml) e con controlli ogni 4-6 mesi non può infettare il/la proprio/a partner.
 
Questa affermazione è il risultato di studi scientifici di grande rilievo che hanno comportato l’osservazione di oltre 100.000 atti sessuali avvenuti, senza l’uso di preservativo, tra soggetti HIV positivi in terapia anti-retrovirale e partner, omo e/o eterosessuali, HIV negativi: in questi ultimi non si sono osservati casi di trasmissione di HIV.
 
Di qui lo slogan che ha sicuramente un grande valore scientifico e sociale e che viene lanciato in tutto il mondo con l’adesione di centinaia di organizzazioni (società scientifiche, istituzioni, associazioni di lotta all’AIDS) con lo scopo di combattere stigmatizzazioni, discriminazioni e pregiudizi: U=U undetectable = untrasmittable, U=U NON rilevabile = NON trasmissibile.
 
È però necessario sottolineare che se tale affermazione deve considerarsi acquisita per la trasmissione sessuale di HIV non può dirsi lo stesso per la trasmissione di questo virus per via trasfusionale perché la quantità di sangue, e quindi la quantità di virus, è molto maggiore e perché la via di somministrazione è endovenosa.
 
In un recente articolo pubblicato sulla rivista dell’International Society of Blood Transfusion viene infatti ricordato che la trasfusione di almeno 5 ml di plasma (in una unità di globuli rossi concentrati ci possono essere 20-30 ml di plasma) di un soggetto che abbia una carica virale di 199 copie per ml, quindi inferiore al limite indicato come sicuro per la trasmissione sessuale, può portare alla trasmissione della infezione da HIV per via trasfusionale.
E questo è uno dei motivi per cui, al fine di garantire la maggiore sicurezza possibile della terapia trasfusionale, i test di screening per HIV utilizzati per la selezione dei donatori di sangue ed emocomponenti hanno limiti di sensibilità molto più bassi di quelli citati negli studi inerenti alla trasmissione sessuale e sono quindi in grado di rilevare anche cariche virali più ridotte.
 
Inoltre, poiché esiste un periodo di giorni immediatamente successivo al contatto con il virus nel quale la carica virale è bassissima e nessun test è in grado di rilevarla (il cosiddetto periodo-finestra), è anche previsto che i partner sessuali di soggetti HIV positivi, anche se in terapia anti-retrovirale, e i soggetti che abbiano avuto recenti rapporti sessuali a rischio o con nuovi partner non siano idonei alla donazione.
 
Un altro ambito di utilizzo di farmaci anti-retrovirali è quello a seguito di incidenti, in contesti lavorativi sanitari, nei quali si verifica la contaminazione con sangue (HIV positivo) tra pazienti e operatori: anche in questi casi la terapia si è dimostrata efficace. In molti Paesi questo ha portato anche ad un utilizzo alternativo della terapia anti-retrovirale che viene assunta per brevi periodi in previsione di possibili rapporti sessuali a rischio: la cosiddetta profilassi pre-esposizione (Prep). In questi casi la carica virale in seguito al contatto con il virus HIV potrebbe abbassarsi anche sotto i limiti di sensibilità dei test, pur mantenendo la capacità di infettare un paziente trasfuso con una unità di sangue raccolta in quel periodo.
 
La preoccupazione che si vuole esporre è che l’entusiasmo, che noi condividiamo, per un grande risultato scientifico applicato ad un aspetto della vita sociale non porti a trasferire l’equazione U=U anche all’ambito delle donazioni e delle trasfusioni di sangue: sarebbe una generalizzazione fuorviante che potrebbe portare a false sicurezze.
 
Crediamo sia importante sottolineare il messaggio che ‘U non è uguale a U’ quando si tratta di donazione di sangue, per evitare che persone a rischio donino perché percepiscono erroneamente di non essere contagiose.
 
Con l’HIV, come con gli altri virus, in ambito trasfusionale non bisogna mai abbassare la guardia, anche per non perdere il buon lavoro fatto negli ultimi anni, come testimonia un rapporto in via di pubblicazione da parte del Centro Nazionale Sangue: negli ultimi dieci anni, infatti, il rischio di contagio da HIV ed epatiti tramite trasfusione si è quasi azzerato, grazie all’applicazione di criteri di selezione rigorosi, ai nuovi test più sensibili e alla scelta di affidarsi solo a donatori volontari, non remunerati, periodici e responsabili.
 
 
Giancarlo Maria Liumbruno
Direttore generale Centro nazionale sangue
 
Claudio Velati
Past-President della Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia (SIMTI) e responsabile scientifico del progetto di sorveglianza delle malattie trasmissibili con la trasfusione condotto dal CNS in collaborazione con SIMTI
 
Gianpietro Briola
Presidente nazionale AVIS
 
Paolo Monorchio
Referente associativo donatori sangue CRI
 
Aldo Ozino Caligaris
Presidente nazionale FIDAS
 
Sergio Ballestracci
Presidente nazionale FRATRES

21 novembre 2019
© Riproduzione riservata

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