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La chirurgia della prostata: un “affare” da governare?

di Claudio Maffei

25 NOV - Gentile Direttore,
in una lettera di pochi giorni fa Alberto Donzelli metteva molto efficacemente in guardia contro la diffusione dello screening del carcinoma della prostata col PSA dati i  molti casi inutilmente trattati per ogni caso utilmente trattato. I dati da lui citati ovviamente non li ripeto, ma mi limito a ricordare  che ci sarà un motivo per cui la patologia è un caso di scuola sui rischi (terribili) della sovradiagnosi come afferma lo stesso “inventore” del PSA, Richard Ablin, autore del libro “Il grande inganno sulla prostata” commentato un paio di anni fa in un editoriale di Recenti Progressi in Medicina? Si attribuisce in questo commento a Richard Ablin la affermazione secondo cui la scoperta del PSA è stato “il più grande errore della mia vita”.
 
E non è un caso che quello del carcinoma prostatico è un caso di scuola in tema di “sovradiagnosi”, espressione che ha dato il titolo ad un omonimo libro uscito alcuni anni fa anche in Italia.  Proprio su QA era uscito un commento di Laura Amato al libro, commento che  riportava una bella citazione da Ariosto (sì, proprio lui) sugli screening inutili e cioè la inutile ricerca di informazioni pericolose, citazione  tratta dalla prefazione di Gianfranco Domenighetti:
 
“Un cavaliere, racconta Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso, era avvezzo, al termine dei banchetti, a invitare gli ospiti a sottoporsi a quello che oggigiorno si chiamerebbe un test predittivo: la prova consisteva nel vuotare un gran bicchiere colmo di vino senza distogliere la bocca dal calice. Se qualcuno si sbrodolava, ciò significava che la sua donna lo cornificava. Stranamente, dice l’Ariosto, i commensali, forse già ben avvinazzati, con gioia facevano a gara nel sottoporsi a tale prova. Molti si sbrodolavano e allora il loro animo da gioioso si mutava in tetro ed ansioso. Rinaldo ha già il calice in mano e sta per accettare la prova, ma ci ripensa e decide di non farla, dicendo: «Ben sarebbe folle chi quel che non vorria trovar, cercasse. Mia donna è donna, et ogni donna è molle: lasciàn star mia credenza come stasse. Sin qui m’ha il creder mio giovato, e giova: che poss’io megliorar per farne prova?».
 
Stimolato dalla lettera di Alberto Donzelli e dalla contestuale mia partecipazione ad un Congresso dei Colleghi della Associazione di Urologia e Andrologia delle Marche sono andato a guardare nel sito del Programma Nazionale Esiti (PNE) i dati della mia Regione (le Marche) sugli interventi per patologia prostatica negli ultimi anni coperti dal Programma e cioè nel periodo 2015-2017.
Gli interventi per carcinoma della prostata sono passati nelle Marche dai 436 del 2015 ai 738 del 2017, mentre quelli per ipertrofia prostatica benigna sono passati da 705 nel 2015 a 1263 nel 2017. In entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, questi aumenti sono in larga misura legati alla forte crescita della casistica trattata nelle strutture private, passata tra 2015 e 2017 per i carcinomi da 33 a 178 interventi e per la iperplasia benigna da 172 a 564.
 
Certamente la disponibilità di approcci chirurgici con minore invasività e minori complicanze giustifica (forse) una parte di questo aumento che però nelle sue dimensioni lascia intendere la necessità di un governo dell’offerta. Il contributo delle nuove tecniche (si pensi alla chirurgia robotica per il carcinoma della prostata e ai trattamenti con i diversi tipi di laser nella ipertrofia prostatica benigna) trova appassionati sostenitori tra i professionisti confortati anche dal sostegno di autorevoli linee guida come quelle recenti dell’AIOM per il carcinoma della prostata e quelle della European Association of Urology del 2018 per i cosiddetti LUTS (Lower Urinary Tract Symptoms) di origine non neurogena e quindi associati all’ipertrofia prostatica benigna. Della spinta da parte delle case produttrici non è nemmeno il caso di parlare tanto sono scontate.

In conclusione, il “combinato disposto” di un ricorso indiscriminato allo screening col PSA e la spinta ad una introduzione sempre più diffusa di queste nuove tecnologie anche al di là delle loro indicazioni validate rischia di trasformare la truffa di cui parlava Ablin in un affare. O quantomeno in un affare per alcuni. Sullo sfondo, ma manco tanto, ci sono poi chiari segnali di progressivo trasferimento della attività urologica dalle strutture pubbliche a quelle private contrattualizzate. Un fenomeno che andrebbe a sua volta governato per evitare quello che in molte Regioni è già avvenuto con l’ortopedia.
 
Claudio Maffei
Medico in pensione già Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera Umberto I di Ancona, della ASL 3 di Fano e dell'IRCCS INRCA di Ancona

25 novembre 2019
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