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I medici e l’importanza di conoscere la lingua italiana

di Roberta Siliquini

10 DIC - Gentile Direttore,
prendo spunto dall’articolo a firma di Lorenzo Proia che lamenta un’eccessiva richiesta di certificazioni di conoscenza della lingua italiana per i medici stranieri che si sono laureati in Italia. Segnalo che non sempre questi Colleghi hanno svolto tutto il percorso di studi nel nostro Paese ma, spesso, ad essi viene riconosciuto quasi tutto il percorso di studi che è risultato nella laurea in altri Paesi, richiedendo di sostenere alcuni esami specifici del nostro (es. sanità pubblica, medicina del lavoro, medicina legale) e la tesi.
 
Pertanto capita, talvolta, di trovarsi davanti a Colleghi molto preparati ma con oggettive difficoltà linguistiche. Le situazioni sono ovviamente molto diverse ma va trovata una soluzione che non penalizzi nessuno ma, contemporaneamente garantisca un’ottima conoscenza della nostra lingua per chi intenda esercitare la professione.
 
Tema caldissimo anche se ci riferiamo agli studenti di origine italiana.
 
Un buon utilizzo della lingua italiana – come qualunque altra-, la capacità di trovare le parole giuste per far comprendere diagnosi e terapie, la capacità di trovare le parole giuste per far parlare i pazienti – elemento estremamente necessario in un’anamnesi-, la capacità di modulare i termini rispetto al livello culturale della persona che ci è davanti, sono elementi essenziali nelle professioni sanitarie.
 
Come docente di un corso di laurea in medicina che accoglie gli studenti con un corso di sanità pubblica all’ultimo anno (a 6 mesi dalla laurea), non posso non segnalare una frequente difficoltà (senza voler generalizzare) al dialogo, spesso rappresentata da termini impropri che potrebbero essere fuorvianti per i pazienti (e non mi riferisco a terminologia medica) o da scarsa capacità di costruire frasi chiare e dal significato univoco.
 
Sarebbe semplicistico dare la responsabilità alla scuola secondaria piuttosto che alle modalità di comunicazione via social.
 
Credo invece che l’Università abbia una grande responsabilità e che il sistema tutto (MIUR in primis) debba spendersi per adeguare le risorse ad una modifica delle strutture dei corsi di studi affinché si possano orientare verso un aumento delle occasioni di dialogo per gli studenti: meno esami a crocette e più formazione a piccoli gruppi utili ad appropriarsi del linguaggio corretto da utilizzarsi con i pazienti e i colleghi di altre professioni sanitarie.
 
Roberta Siliquini
Presidente Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Università di Torino

10 dicembre 2019
© Riproduzione riservata

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