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Il medico e il lavoro. Siamo entrati nel cuore delle “100 tesi” 

di Ornella Mancin

18 DIC - Gentile Direttore,
con la quarta tappa degli Stati Generali si è entrati nel cuore delle 100 tesi con il tema “Il medico e il lavoro”. È infatti sul lavoro che si gioca in massima parte la partita per un cambiamento significativo della professione. Il lavoro del medico è molto cambiato negli ultimi anni:
• l'attività clinica è sempre più controllata da vincoli finanziari che costringono il medico a muoversi in spazi sempre più ristretti,
• l'aumentato carico assistenziale in gran parte dovuto all'invecchiamento e al crescere delle patologie croniche e degli anni di disabilità ha reso necessario una contrazione dei tempi delle visite fino a pensare di introdurre i “tempari”,
• l'informatizzazione negli ultimi 10 anni ha cambiato il volto del nostro lavoro, agevolandolo per certi versi ma rendendolo sempre più “controllabile” (L'attività del medico è registrata nei minimi termini e nulla sfugge all'occhio del “Grande fratello”),
• l carico burocratico è diventato per molti di noi insostenibile e la legge sulla privacy, il consenso informato, le Dat si stanno rilevando un altro onere “burocratico” sulle spalle dei medici a “tempo invariato”,
• la tecnologia e la crescita di competenze di molti professionisti della sanità portano talvolta a inasprimenti nel lavoro di equipe con necessità di un riconoscimento dei ruoli non più procrastinabile, ma che non può non avvalersi di una necessaria “concertazione”,
• a tutto questo si aggiunge una uscita massiva dal mondo del lavoro per pensionamento o fuga verso il privato o all'estero di molti medici che sta creando situazioni di lavoro al limite in molte realtà,
•ultimo ma sostanziale è una retribuzione sempre meno consona al carico di lavoro e alla responsabilità di decisioni spesso complesse e delicate, mentre si favoleggia di compensi esorbitanti per chi se ne va a lavorare all'estero.
 
C'è n'è abbastanza per ritenere urgente ed essenziale affrontare il tema del lavoro del medico.
Quali riflessioni e quali risposte possono venire dagli Stati Generali? Se lo sono chiesto i rappresentati sindacali dei medici, protagonisti essenziali di questa giornata di lavoro, tutti concordi nel ribadire la necessità di un maggior riconoscimento del lavoro del medico, un lavoro che ognuno vuole svolgere al meglio con responsabilità e soprattutto con autonomia.
 
Il medico compie un lavoro sempre più complicato per il quale l'organizzazione attuale del lavoro e l'inquadramento giuridico (dipendente o  subordinato/convenzionato) sembrano per gran parte inadatti alla complessità che ci si trova a governare.
 
Per questo il professor Cavicchi torna a proporre un medico “autore” cioè “un operatore che in cambio di autonomia   garantisce responsabilità   accettando di essere misurato sia sul piano dei compiti professionali da assicurare, sia sul piano dei risultati professionali da garantire”.
 
Secondo Cavicchi questo darebbe al medico la possibilità di organizzare il proprio lavoro come meglio crede e in perfetta autonomia, con la possibilità di essere giudicato e retribuito sulla base dei risultati ottenuti, chiaramente accettando il rischio di impresa tipico di ogni attività autonoma. La retribuzione andrebbe così a premiare non solo le competenze acquisite   ma soprattutto le capacità e le abilità conseguite.
 
Un po' di questo già avviene nel lavoro convenzionato: i medici di famiglia vengono pagati i parte a quota capitaria e in parte a quota variabile con il raggiungimento di obiettivi concordati con la Regione e con la propria Asl di appartenenza, anche se questo sistema misto non mette sempre al riparo dall'attenzionamento spesso eccessivo sul nostro operato, attenzionamento che appare comunque inferiore   rispetto a quello della dipendenza.
 
Bene quindi ha fatto il segretario Nazionale Fimmg Silvestro Scotti a ribadire il no deciso e chiaro alla dipendenza per i medici di famiglia. Il medico di medicina generale basa il suo lavoro sul rapporto fiduciario con il paziente che lo “sceglie” in un rapporto  che vede coinvolto un soggetto terzo che è  l'Azienda sanitaria  che comunque, come ha riportato il dr. Scotti, secondo una sentenza della Corte di Cassazione non può avere  potere autoritario sul medico , di fatto riconoscendo che il medico  deve “curare le persone  secondo i suoi principi deontologici e le sue conoscenze per offrire le migliori cure, appropriate e sostenibili”.
 
Principio che dovrebbe valere sempre ma che di fatto viene spesso “contenuto” per tutti i motivi già descritti e potrebbe essere ritenuto “superato” dai medici del futuro che vengono oggi formati con l'obiettivo primo del contenimento della spesa e non della cura del malato.
 
Questo è un punto importante sottolineato da Scotti  che ha ribadito la necessità di una formazione adeguata per i giovani medici che permetta loro di mantenere le basi deontologiche dall'essere medico.
 
Necessaria quindi, come ha ribadito il Presidente Anelli, una “rivisitazione” del sistema organizzativo “non più idoneo a garantire quel diritto alla salute che tutti vorremmo” e che attualmente viene spesso disatteso in certe parti del nostro Paese e nelle periferie creando di fatto sempre maggiori diseguaglianze a cui è doveroso porre termine.
 
C'è molto da fare per dare risposte a un disagio crescente che parte dai medici, coinvolge le varie forme di assistenza e colpisce il cittadino.
 
Bisogna recuperare come ha detto il presidente dell’Enpam Oliveti il moto “Medice cura te ipsum”, perché certo il superamento delle criticità che rendono oggi problematico il lavoro del medico  e il recupero della dignità del suo lavoro  non possono che portare a un miglioramento dell'assistenza ai cittadini.
 
Dispiace che poco si sia parlato della necessità di ripensare al lavoro tenuto conto del forte cambiamento   che la femminilizzazione   sta producendo nella professione .
 
Ne ha fatto accennato solo il prof. Cavicchi ricordando la necessità di una organizzazione del lavoro che tenga conto delle problematiche di genere.
 
Come si fa a ripensare al lavoro del medico senza tener conto che la professione sta evolvendo al femminile, restando indifferenti a questa rivoluzione di genere? Possibile che non si capisca la necessità di rivedere i contratti, l'organizzazione del lavoro, i luoghi di lavoro (con la presenza per esempio di asili nido)?
 
Ricordo di aver partecipato a inizio anno a un convegno sulla feminilizzazione del lavoro e di aver sentito un direttore generale che ha fatto un sondaggio tra i suoi dipendenti  per decidere se scegliere di costruire un nuovo parcheggio o un asilo nido. Il direttore in questione vantava di aver ottenuto una risposta ampiamente  a favore del parcheggio e di non poter procedere quindi alla costruzione dell'asilo nido, richiesto in maniera minoritaria.
 
Ma quale buon dirigente  desideroso di cogliere le problematiche di genere avrebbe mai sottoposto questa decisione a un sondaggio di tale natura?
 
E' ben chiara  spesso la volontà di non  tener conto di un mondo che cambia, di una professione che si sta femminilizzando e se è vero che “Non si può parlare di lavoro medico senza parlare di dignità del suo lavoro” (Oliveti) questo lo è a maggior ragione per le donne medico.
 
Dr.ssa Ornella Mancin
Presidente Fondazione Ars Medica OmceoVe

18 dicembre 2019
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