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Assolta in Tribunale ma radiata dall’Ordine. L’importanza di conoscere il Codice deontologico

di Francesco Falli

19 DIC - Gentile Direttore,
in questo periodo sono numerose le giornate di formazione, gestite da vari Ordini delle Professioni Infermieristiche che vedono alcuni esperti descrivere il nuovo Codice Deontologico dell'Infermiere, approvato lo scorso 13 aprile dal Consiglio Nazionale della Fnopi.
 
Anche queste attività, come quasi tutto ciò che oggi fa parte delle nostre vita personali e professionali, vengono annunciate - e dunque commentate - sui social. Inevitabilmente scatta in alcuni casi, oltre a valutazioni tecnico professionali, qualche polemica sul senso di questi eventi, ritenuti da qualcuno ''inutili perché il Codice non vale in un Tribunale'', o proponendo in cambio un evento sulle retribuzioni non esaltanti (il che è un fatto, ma le due cose possono essere entrambe analizzate).
 
Lo scambio di pareri ed opinioni è sempre un bene, perché permette il confronto, perlomeno fin che si resta su piani di civiltà (e...non si vanno a violare gli articoli 28 e 29 del Codice!).
 
Il dibattito social, nel recente periodo, a tratti è diventato un po’ ruvido, con strane congetture e rimpalli su quanto potrebbe valere, o meno, il contenuto del Codice Deontologico in un procedimento giudiziario tradizionale: in tribunale, per capirci.
(E che conseguenze potrebbe avere quel professionista per le eventuali non osservazioni, riconosciute in quel contesto, del Codice stesso).
 
Ancora una volta mi pare di notare uno spreco di energie: lo dico senza nessuna presunzione e semmai dal punto di vista di chi, del tutto involontariamente, è ormai invecchiato con una lunga esperienza professionale ed anche ordinistica.
Siccome c'è un Codice Deontologico degli infermieri, penso che - se sei un infermiere - la prima cosa da fare è averne una idea abbastanza precisa ed attuale.
 
Se poi gestisci un Ordine - sia Nazionale, sia Provinciale - devi anche spiegarne i contenuti (del Codice) agli iscritti; questo, a mio parere, è un dovere....etico e istituzionale: quindi, penso che questi eventi siano utili e necessari, ottimi sul piano della divulgazione: ma entrando nella polemica ''se serve o no in tribunale'', direi che qualche volta conviene un ritorno, un ripasso, un appello ai fondamentali.
 
Intanto, una legge della Repubblica (la 42 del 1999, sorprendentemente approvata in un Parlamento pieno di medici) indica ''anche'' i codici deontologici delle professioni sanitarie come una componente determinante ''nel campo proprio delle attività e delle responsabilità''.
 
Recita la norma:''...Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30.12.1992, n. 502...è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base, nonché degli specifici Codici Deontologici...''
 
Ma, al di là di quanto un Codice può valere, o meno in tribunale, io penso che converrebbe conoscerlo bene, sia perché può essere utile al professionista stesso, sia per non stupirsi di fronte a determinate decisioni: un caso famoso che - nato sui social, e sui social ancora commentato - lo dimostra, e scorrendo le note di cronaca si può riassumere, tutto sommato in poche righe, l'intera questione sui versanti giudiziario ed ordinistico.
 
Una infermiera in servizio in Romagna pubblica sui propri spazi social alcune immagini forti, che vanno a ledere la dignità di alcuni pazienti appena deceduti nella corsia dove la stessa presta servizio. Da queste foto, nasce e si sviluppa un filone di indagine giudiziaria con l'ipotesi di gravi reati, per i quali la stessa infermiera viene in primo grado condannata ed in seguito assolta in appello.
 
L'Ordine professionale di appartenenza in un primo momento la sospende, atto automatico che deriva, in base al DPR 221/1950, dal provvedimento restrittivo stabilito dall'Autorità Giudiziaria; una volta assolta e scarcerata l'Ordine la convoca, per il procedimento disciplinare che va a valutare esclusivamente la pubblicazione di quelle fotografie: la sentenza è la radiazione.
 
Come dimostra questo caso, domandarci se e quanto il Codice viene considerato in un procedimento giudiziario lascia, in certe circostanze, il tempo che trova: sapere che certi limiti non vanno mai superati, pena – perfino - l'appartenenza stessa al corpo professionale probabilmente vale molto di più che ragionare di questioni, in fondo, piuttosto relative.
 
Come professionista sanitario il Codice lo devo conoscere, e bene: è un elemento in più, qualcosa che può essermi utile, qualcosa che mi aiuta ad avere chiari riferimenti sempre preziosi; può essere usato anche nella quotidianità.
 
Se (ovviamente) in caso di arresto cardiaco non potrò certo trovare sul Codice le mosse necessarie per affrontare l'emergenza, se conosco l'art. 32 (un esempio molto pratico, in un settore che frequento per lavoro) che mi impone di ''promuovere le migliori condizioni di sicurezza delle persone assistite'', ecco che non cercherò neppure di interpretare una prescrizione terapeutica scritta in maniera incomprensibile, astenendomi dal mettere a rischio il mio assistito, e documentando il perché.
 
Francesco Falli
Vice Presidente OPI La Spezia

19 dicembre 2019
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