La sanità pubblica a Cremona sta perdendo molto della sua eccellenza
di Pietro Cavalli
07 GEN -
Gentile direttore,
la sanità lombarda, continuano a dirci, è eccellente. Ma la sanità lombarda è buona perché ha buoni medici e infermieri, mentre il valore della politica è negativo (Alessandro Cè, già Assessore alla Sanità Regione Lombardia, intervistato da
linkiesta, febbraio 2016).
Magari questa affermazione non è per nulla vera, però non è difficile pensare che una buona sanità la fanno buoni medici e buoni infermieri. E tuttavia bisogna anche considerare che negli ultimi anni molti dei buoni medici ed infermieri, quelli che hanno garantito il funzionamento delle strutture sanitarie pubbliche, sono invecchiati. Altri invece non ce la fanno più. Di fatto, vuoi per pensione, vuoi per disaffezione, sono molti ormai quelli che hanno abbandonato la partita. Il risultato è che, politica o non politica, senza buoni operatori sanitari la sanità pubblica lombarda fatica a mantenere il livello per il quale è conosciuta ed a tenere il passo di quella privata.
Ovviamente questa situazione non riguarda i Centri sanitari di eccellenza, quanto quelli periferici, quelli che non saranno mai in condizioni di effettuare un trapianto d’organo, ma sono tuttavia in grado di fornire piena assistenza ai cittadini dei territori di pertinenza.
Ad esempio la città di Cremona, uno dei borghi più tranquilli della Lombardia (anche per una oggettiva marginalizzazione, certificata da scelte/non scelte politiche), è scesa recentemente in piazza per contestare la decisione regionale di trasferire le elevate competenze medico scientifiche della terapia intensiva neonatale dell’ospedale pubblico ad una struttura privata di Brescia.
La stampa locale ha ampiamente esposto le ragioni dei cittadini cremonesi e quelle delle autorità sanitarie regionali ed attualmente la situazione sembra in apparente stallo. Tuttavia, al di là del ridimensionamento della terapia intensiva neonatale, questa vicenda ha avuto anche il merito di far aprire gli occhi dell’intera comunità sulle condizioni dell’ospedale nel suo insieme, innescando una sorta di “controllo sociale” sulla intera struttura, oggi decisamente in condizioni precarie e assai problematiche.
Le numerose dimissioni da parte degli operatori (una decina gli apicali che nell’ultimo anno si sono dimessi) hanno determinato l’incapacità di fornire prestazioni di base in molti reparti, costringendo l’utenza a rivolgersi altrove e non necessariamente a strutture di eccellenza. Vengono segnalate difficoltà nella gestione delle apparecchiature (molte sono fuori uso e non riparate), che portano i cittadini a cercare altrove le prestazioni di cui hanno bisogno, mentre l’obsolescenza di alcune strumentazioni impedisce qualsiasi possibilità di aggiornamento tecnologico; in taluni settori la dotazione strumentale è insufficiente e costringe il personale a ridimensionare l’attività. La recente iniziativa di informatizzazione della cartella clinica si scontra con la realtà di una struttura con componente hardware non all’altezza. Ancora, la carenza di personale non riguarda solamente la componente sanitaria ma si fa sentire a tutti i livelli, mentre la struttura muraria degli edifici è caratterizzata da condizioni addirittura pericolose per l’incolumità di personale e visitatori.
A fronte della necessità di garantire gli strumenti indispensabili per svolgere un’attività sanitaria appena sufficiente, anche per non dover subire possibili conseguenze medico-legali, brilla l’allegra assenza dei vertici aziendali. E gli operatori hanno l’impressione di combattere con la fionda contro i carri armati.
D’altra parte gli indicatori parlano chiaro: bilancio economico in rosso per almeno tre milioni e mezzo di euro rispetto all’anno precedente, clienti/pazienti/utenti che abbandonano la struttura e si rivolgono altrove anche per problemi di modesta entità, personale demotivato quando addirittura non livoroso verso la direzione; assenza di comunicazione e di coinvolgimento dei dipendenti: quanto potrebbe durare una qualsiasi azienda in queste condizioni? Preoccupa soprattutto la disaffezione ed il conseguente rivolgersi dei pazienti ad altre strutture, che rappresenta un vero e proprio esodo. Ed è la perdita di fiducia il problema più rilevante, per la popolazione e per la struttura.
Si potrebbe continuare all’infinito, ma è evidente che, almeno a Cremona e nonostante la dedizione del personale, la sanità pubblica sta perdendo molto della sua eccellenza.
Il dubbio che i cremonesi si pongono è quello di comprendere se alla base di questa sconcertante situazione ci siano decisioni e precise scelte regionali, oppure se questi risultati siano il frutto di direzioni generali, sanitarie e amministrative non all’altezza del compito che è stato loro attribuito.
La prima ipotesi sembra poco plausibile. Appare infatti difficile anche solo immaginare una precisa scelta strategica da parte delle autorità regionali di affossare l’assistenza ospedaliera pubblica nel territorio cremonese. Se così fosse, sarebbe difficile comprenderne il motivo.
E però è altrettanto arduo pensare che i meccanismi regionali di sorveglianza/vigilanza non si siano resi conti della china scivolosa sulla quale da tempo l’ospedale di Cremona si è incamminato a seguito di scelte strategiche che hanno portato alla pesante situazione attuale.
L’alternativa all’ipotesi precedente descrive una realtà sanitaria nella quale manager eccellenti e con indiscutibili capacità convivono con professionisti meno capaci. Siamo sicuri che, almeno per l’ospedale di Cremona, qualche domanda, visti i risultati delle recenti gestioni, sarebbe opportuno porsela.
Pietro Cavalli
Medico
Cremona
07 gennaio 2020
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