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L’emergenza non esonera dalla tutela degli operatori sanitari

di Elisabetta De Castro

20 MAR - Gentile Direttore,
numerosi sono i medici prestati all’emergenza Covid-19 e che, ormai da settimane, sono passati dai loro reparti (ridotti o chiusi, a causa della sospensione delle attività meno urgenti) a quelli dedicati alla terapia del Coronavirus. In questi giorni hanno aiutato i colleghi, ad esempio assistendo i pazienti in pronto soccorso o delocalizzati in altre strutture. Conseguentemente, medici di differenti discipline e competenze, sono utilizzati per la gestione di urgenze.
 
In queste ore, diversi di loro che hanno fatto tutt’altro nella vita professionale, vengono formati (le amministrazioni ospedaliere devono formare) all’utilizzo di nuovi dispositivi e utilizzati in ragione delle nuove necessità. Rimane ovvio che nelle situazioni complesse di maggiore gravità è necessario assicurare l’intervento di personale altamente specializzato. Certamente, è comprensibile la preoccupazione responsabile di chi si presta ad affrontare l’emergenza al di fuori della propria specializzazione.
 
C’è dedizione e volontà di curare e, se possibile, salvare vite umane, ma i racconti di questi giorni ci mostrano medici spossati e sfiduciati, preoccupati di essere al fronte senza gli adeguati dispositivi di protezione. Un pericolo per loro e per le loro famiglie, ma anche per il contagio di chi può arrivare a loro non ancora infetto. L’Oms e l’ISS indicano con chiarezza le dovute protezioni secondo il livello di rischio nelle differenti mansioni e luoghi. I sanitari devono essere dotati non solo di mascherine appropriate, ma anche occhialini, guanti, camici monouso e sovrascarpe impermeabili.
 
La legislazione vigente rende sicuri i medici generosi, verso le cui tutele l’emergenza sembra derogare in tutto? (vedi riposi e turni senza soluzione di continuità quasi per un intero giorno).
 
Se è vero che i medici sono pronti a mettersi a disposizione e collaborare, sono preoccupati e hanno timore di cosa potrà accadere quando finirà questa bufera. Si paventano numerosi giudizi di responsabilità professionale, mentre SOLO I MEDICI, SOLO LORO, hanno rischiato in primis la loro vita, in alcuni casi anche mettendo a rischio quella dei propri cari. La cascata di responsabilità gerarchiche della organizzazione del SSN nulla sta operando per proteggere da tali problematiche.
 
Ogni singola azienda, pubblica, privata o convenzionata, ma direi il Governo e il Parlamento, oltre a dover garantire  a tutti gli operatori sanitari le giuste dotazioni dei DPI e a sanificare gli ambienti  in cui prestano servizio, devono  normare per l’organico a disposizione, limitazioni di responsabilità e di operatività  per esempio dell’art. 2236 c.c., “escludendo la responsabilità risarcitoria del medico, se questi ha agito senza negligenza ed ha operato in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà”, comprendendo, ove non vi sia dolo, che l’imperizia per chi lavora al di fuori della propria disciplina è dietro l’angolo. Occorre preservarli da possibili inopinate azioni di rivalsa della propria azienda. E’ una richiesta categorica e sacrosanta.
 
Un grande esempio di disponibilità giunge anche dai singoli medici e dalle loro sigle sindacali che, nell’emergenza, non stanno ponendo cavilli procedurali nell’organizzazione del lavoro. Si vuole soltanto che le norme contrattuali stimolino le attenzioni aziendali a ridurre i danni per medici e pazienti, ricordando, per esempio, lo spirito che sottende la contrattazione collettiva della dirigenza medica sanitaria (2016-2018), dove  per esempio all’art.14 commi 3 e 4 viene disciplinato ed evidenziato che per “I dirigenti medici in rapporto di lavoro esclusivo è prevista la totale disponibilità nello svolgimento delle proprie funzioni e nell’ambito dell’incarico attribuito e della competenza professionale  nell’area e disciplina di competenza”. Mentre il comma 4 prevede che “Il rapporto di lavoro non esclusivo comporta la totale disponibilità nell’ambito dell’impegno di servizio, per la realizzazione degli obiettivi istituzionali programmati e lo svolgimento delle attività professionali di competenza…”.
 
Così anche non si sta tenendo conto della normativa che disciplina i turni di  guardia (art.26 del CCNL 2016-2018) ma è evidente  che l’organizzazione  del servizio di guardia che coinvolga medici afferenti a discipline diverse e non raggruppabili in un’area specialistica, secondo la propria competenza, non può ritenersi aderente ai principi di omogeneità previsti dalla disciplina contrattuale, e sono in conflitto con il principio di appropriatezza delle cure sanitarie, esponendo i dirigenti coinvolti ad ingiustificati rischi sul piano della responsabilità professionale.
 
Oggi siamo in emergenza, i medici non si sottraggono ai loro doveri, ma le istituzioni hanno l’obbligo di assicurare loro le giuste tutele, per lavorare con i minori rischi possibili per l’oggi e per il domani, per loro, le loro famiglie e i loro pazienti.
 
Avv. Elisabetta De Castro
Consulente legale Nuova Ascoti

20 marzo 2020
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