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Coronavirus. Ospedali pieni, ambulatori vuoti

di Stefano Brillanti

27 MAR - Gentile Direttore,
leggo sempre con piacere ed attenzione QS e ritengo che, attualmente, rappresenti una delle tribune più vivaci e variegate sulla emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Mi permetto, pertanto, di condividere con Lei alcune riflessioni. I numeri dell’epidemia da nuovo Coronavirus non si discutono: 8.000 pazienti deceduti in poco più di un mese in Italia significa che, se il trend non si modifica, possiamo aspettarci oltre 60.000 decessi entro la fine dell’anno.
 
Questa è la potenzialità della malattia Covid-19. Il voler rimarcare che, in realtà, solo l’1,6% dei pazienti deceduti (fonte ISS) aveva l’infezione da Coronavirus come unica causa di malattia senza comorbidità, non riduce ai miei occhi la severità della patologia da Covid 19, ma bensì sottolinea un altro elemento a mio avviso fondamentale.
 
L’età media è significativamente aumentata ed il nostro paese è tra quelli con più altra prevalenza di abitanti con età superiore ai 70 anni. In maniera parafisiologica, l’aumentare dell’età comporta inevitabilmente l’aumento di patologie più o meno severe, tumori e malattie cardiovascolari in primis. Se la medicina ritarda la diagnosi precoce delle patologie tumorali o la prevenzione e la tempestiva terapia delle malattie cardiovascolari acute, la conseguenza è quella di avere sempre più pazienti con neoplasie avanzate, suscettibili solo di terapie sistemiche o di supporto, e cardiopatie croniche scompensate, susseguenti a sindromi coronariche acute non prevenute o adeguatamente trattate. E questi pazienti sono e saranno sempre il bersaglio primario e più debole di ogni malattia da infezione.
 
Le immagini delle strade deserte delle nostre città stanno diventando abituali e vengono generalmente contrapposte alle immagini frenetiche ed operative dei reparti Covid e delle rianimazioni degli ospedali, in particolar modo degli ospedali lombardi. Esistono tuttavia altre immagini che non vengono solitamente riportate e sono quelle dei corridoi vuoti degli ambulatori nei vari ospedali e nei poliambulatori.
 
In quasi tutta Italia, le Aziende Ospedaliere e le AUSL hanno dato disposizioni di disdire e/o rimandare a non prima del 7 giugno le prestazioni specialistiche ambulatoriali e di diagnostica non urgenti, e di accettare e svolgere solo le prime visite o le prime indagini diagnostiche ritenute urgenti. Se sommiamo la paura naturale che pervade l’animo di tutti i pazienti, questo si traduce in una riduzione delle visite mediche specialistiche e di diagnostica maggiore del 50-60%. In pratica, da fine febbraio, ben pochi pazienti eseguono visite o prestazioni diagnostiche ambulatoriali o si rivolgono ai Pronti Soccorsi degli ospedali se non per febbre ed insufficienza respiratoria.
 
È di qualche giorno fa una nota dei cardiologi della Società Italiana di Cardiologia circa una riduzione del 50% degli accessi ospedalieri attesi per sindrome coronarica acuta, nei primi 20 giorni di marzo. Non è inoltre ben chiaro come le misure adottate impattino la diagnosi precoce delle neoplasie, ma di certo molti controlli oncologici di follow-up vengono rimandati, con impossibilità di valutazione puntuale di progressione o di ripresa di malattia.
 
Ritengo che ogni reazione presa (dalla Sanità, in questo caso) debba essere proporzionale all’azione che ci troviamo di fronte (l’epidemia da nuovo Coronavirus, sempre in questo caso). Tale reazione, sotto l’impeto e l’impulso della situazione di necessità e delle giuste precauzioni per prevenire i contagi, non deve tuttavia venir meno ai principi ed alle finalità della Medicina, garante di prima ed ultima istanza della salute dei cittadini.
 
Ritengo, pertanto, che sia rischioso procrastinare visite mediche ed indagini diagnostiche che, se appropriate, potrebbero essere erroneamente giudicate, a priori, come non urgenti, ma risultarle, invece e purtroppo, a posteriori e con ritardo.
 
Quello che l’epidemia da nuovo Coronavirus ci insegna è che ogni paziente, tempestivamente ed appropriatamente diagnosticato e trattato per qualsivoglia patologia, potrà superare sicuramente meglio ogni malattia da infezione intercorrente, per quanto grave essa sia. Non voglia la prossima malattia da infezione trovare facili bersagli nelle vittime degli effetti collaterali della presente epidemia da SARS-CoV-2.
 
Prof. Stefano Brillanti
Università di Siena

 

27 marzo 2020
© Riproduzione riservata

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