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Medici non “attori” ma “registi” della salute pubblica


11 GIU - Gentile Direttore,
la diffusione esponenziale della pandemia, ufficialmente dichiarata l’11 marzo 2020 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha colto impreparato il sistema sanitario nazionale in termini di strutture, apparecchiature, materiali e risorse umane. Se analizzare nello specifico le criticità dei primi tre aspetti esula dalle nostre competenze, in quanto medici direttamente coinvolti nella gestione dell’emergenza, sentiamo nostro il nodo delle risorse umane.
 
L’insufficienza numerica del personale medico ed infermieristico è stato tra i primi problemi da affrontare: tutte le regioni, eccetto Valle d’Aosta e Sardegna, hanno avviato procedure di recruitment ad ampio raggio, selezionando personale specializzato e non oppure ancora in formazione specialistica.
 
Il personale medico è da sempre il trait d’union di due processi decisionali: da un lato è destinatario delle disposizioni emanate dagli organi sanitari regolatori, che stabiliscono modalità e tempistica per erogare le prestazioni necessarie, dall’altro è mittente del trattamento terapeutico. Il medico si trova incernierato in due frame work - la sanità e la clinica - spesso rispondenti a dinamiche, professionalità e necessità diverse: la pandemia ha svelato le debolezze di questo sistema bifasico proprio nel suo centro di mediazione, il medico, evidenziando la carenza di investimenti sulle risorse umane in termini numerici e di formazione.
 
L’attuale pratica dell’ultraspecializzazione vede il setting lavorativo caratterizzato da una conoscenza completa ma settoriale. L’emergenza COVID19 ha costretto molti di noi a confrontarsi con differenti quadri clinici e incerte strategie terapeutiche, in buona parte estranei alla propria area di competenza.
 
Tralasciando i contenuti medico-legali, la pratica medica in scienza e coscienza restituisce come imperativo categorico morale il bisogno di formarsi. Di recente, una delle parole più inflazionate è stata emergenza: per medici ed infermieri, per i dispositivi di protezione individuale, per i letti di degenza, respiratori, tamponi, farmaci, per le evidenze scientifiche.
 
La parabola dell’idrossiclorochina è esemplare: prima farmaco di scelta per il trattamento ospedaliero e domiciliare, poi principio attivo correlato con una riduzione della sopravvivenza quando utilizzato per trattare il COVID-19, infine riabilitato quando la stessa rivista The Lancet ha espresso dubbi circa lo studio precedentemente pubblicato.
 
Abbiamo quindi imparato che curare, far scienza ed estendere le proprie competenze è estremamente difficile durante una pandemia, soprattutto quando si è in pochi a rincorrere il nemico con mascherina, guanti e visiera.
 
La diffusione del SARS-CoV-2 è una puntata della serie che vede i coronavirus a contatto col mondo moderno e la centralità delle risorse umane è l’aspetto su cui investire: disporre di un congruo numero di professionisti formati a dovere potrebbe - o avrebbe potuto - fronteggiare meglio una pandemia; sicuramente i medici avrebbero avuto più tempo da dedicare allo studio dei meccanismi fisiopatologici ed alla raccolta e scambio dei dati grezzi che emergevano turno dopo turno, mentre erano impegnati a curare pazienti.
 
Se la disponibilità di apparecchiature e spazi esula dalle nostre competenze, riappropriamoci autenticamente del ruolo centrale che il sistema sanitario ci attribuisce: non più attori in una scenografia politica, ma registi della salute pubblica.
 
Mauro Del Giglio
Responsabile dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia presso Villa Torri Hospital - GVM Care&Research - Bologna 
        

Gabriele Tamagnini
Aiuto presso l’Unità Operativa di Cardiochirurgia di Villa Torri Hospital - GVM Care&Research - Bologna

11 giugno 2020
© Riproduzione riservata

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