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La pandemia e le fragilità del sistema di approvvigionamento

di Nicola Barni

24 FEB - Gentile Direttore,
l’esplosione della pandemia ha messo in evidenza tutta la fragilità del nostro sistema di approvvigionamento. Un utile punto di partenza è rappresentato dall’analisi del public procurement in Italia a confronto con i principali paesi europei: Francia, Germania e Spagna.
L’Osservatorio Gare Europee (OGE) per l’acquisto di dispositivi medici, coordinato scientificamente dal CEBIDA e supportato incondizionatamente da Confindustria Dispositivi Medici, evidenzia le analogie, le differenze e le tendenze del public procurement sanitario nel periodo pre-pandemia (2011-2019) in questi paesi. I risultati verranno presentati il prossimo 2 marzo nel webinar “L’analisi delle politiche pubbliche di acquisto dei dispositivi medici”.
 
In comune tra i diversi paesi il ricorso alla procedura aperta come modello prevalente, in aumento nel corso degli anni e scelto in Italia nel 97,2% dei casi. La durata media delle forniture ci introduce alle prime differenze essendo pari a oltre 3 anni in Italia, 2,5 anni in Francia e poco meno di 2 anni in Germania e Spagna, con un effetto sulla maggiore competitività in questi ultimi due paesi. Il ricorso alla procedura negoziata, inoltre, in Italia è molto più basso nel confronto con gli altri paesi. Questi dati, in prima battuta, sembrano identificare la strada di favorire la massima competitività. Obiettivo assolutamente condivisibile ma non del tutto raggiunto, se consideriamo che in Italia il numero medio di offerte per lotto è pari a 3,5 contro le 10 della Francia.
 
Relativamente ai criteri di aggiudicazione registriamo ovunque un uso diffuso dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEV), anche se con importanti differenze tra i paesi. In Italia, per esempio, il ricorso all’OEV è significativamente più basso che in Francia e Spagna. A questo, va aggiunta la nota dolente dei tempi di aggiudicazione, dove purtroppo l’Italia necessita di tempi quasi doppi rispetto alla Germania.
 
È lecito domandarsi se questa concomitanza di fattori influisca sulla decisione strategica delle aziende di delocalizzare gli investimenti su siti produttivi e in ricerca e sviluppo fuori dall’Italia piuttosto che a livello locale.
 
Se infatti molte delle condizioni appaiono comuni a quelle degli altri paesi, il nostro sistema di procurement non sembra preparato per acquisire beni complessi, né tantomeno sembra idoneo a valorizzare l’innovazione tecnologica. E non pare essere un tema di codice degli appalti, che comunque deriva dalla stessa normativa Europea. Manca, piuttosto, il coraggio (o la competenza?) per utilizzare istituti giuridici diversi, premiare il valore generato da una tecnologia, sostenere l’attrattività del nostro sistema Paese e accelerare il reshoring.
 
Passando, invece, all'analisi dei principali risultati che emergono dal confronto fra le regioni italiane, si registra la conferma di trend già presenti da tempo: crescita consistente del valore complessivo dei bandi (10.912 mln. nel 2019 rispetto a circa 7.500 nel 2017 e 2018), incremento del valore medio dei bandi (10,2 mln nel 2019 rispetto a 7,6 mln nel 2018), trascinato dal maggiore ricorso ad acquisti centralizzati regionali (5.121 mln su 10.912 mln.) e Consip (1.100 mln). Interessante anche il dato relativo alla dimensione media dei bandi di gara per tipologia di acquisto, dove si osserva, tra il 2018 e il 2019, un aumento da 15,5 mln a 21,2 per acquisti regionali, da 42,7 mln a 137,6 mln per Consip, da 2,2 mln a 4,1 mln per gli acquisti dei singoli enti, mentre diminuisce da 15,2 mln a 13,7 mln l’importo delle unioni di acquisto.
 
Sussiste un’ovvia correlazione fra la dimensione media del valore del bando di gara e il tipo di stazione appaltante.
Tre regioni - Toscana, Lazio e Lombardia - hanno rappresentato nel 2019 il 40% del valore bandito. Se aggiungiamo Emilia-Romagna, Sicilia e Campania arriviamo a coprire il 60% del totale bandito.
La lettura di questi dati evidenzia la difficoltà persistente in tutte le regioni a indire e concludere gare in tempi rapidi. Nessuna, eccetto il Lazio, riesce a ottenere un valore inferiore a 1.000 giorni, e ben 13 regioni mostrano valori superiori a 1200 giorni.
 
Un altro indice interessante emerge dal confronto tra il valore totale bandito per regione con il valore medio del bando che ci restituisce il numero medio di procedure e, indirettamente, una misura dello sforzo amministrativo compiuto. La quantità, però sappiamo, non va necessariamente di pari passo con la qualità e l’efficacia dei risultati ottenuti.
 
L’analisi del report, più in generale, conferma la necessità di un cambio strategico del procurement sanitario rispetto al quale restano valide le considerazioni sopra esposte. Bisogna cambiare paradigma, dove chi compra abbia competenze e conoscenza del mercato di riferimento, in modo che si possa, a posteriori, valutare non tanto l’aderenza al capitolato di quanto acquistato, ma rispondere alla domanda principale, ovvero se i bisogni di cura siano stati soddisfatti.
 
Nicola Barni
Presidente Assobiomedicali di Confindustria dispostivi medici

24 febbraio 2021
© Riproduzione riservata

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