Garantire serenità ai professionisti sanitari vaccinatori anche senza ricorrere allo scudo penale
di Daniele Rodriguez
16 MAR -
Gentile Direttore,
propongo alcune riflessioni connesse a quanto sottolineato dal presidente della Fnomceo: “
Piano vaccini potrebbe essere compromesso se medici non si sentono al sicuro”. Serve uno “scudo penale” per i vaccinatori”. Il testo si riferisce ai medici vaccinatori che partecipano alla campagna contro il Covid-19 e considera specificamente l’eventualità di una loro iscrizione nel registro degli indagati, qualora si manifesti un evento avverso dopo la vaccinazione. Osservo che questa eventualità grava su qualsiasi componente dell’equipe vaccinale, quindi anche su infermieri, infermieri pediatrici ed assistenti sanitari.
Le mie riflessioni partono dalla premessa che
è da garantire la tutela dei professionisti sanitari che esprimono il loro impegno professionale e la loro solidarietà umana dedicandosi alla attività di somministrazione dei vaccini anti Covid-19. Non condivido la logica dello “scudo penale” selettivo e propongo altri strumenti di tutela dei professionisti sanitari che si dedicano all’attività vaccinale.
L’esercizio dell’azione penale è obbligatorio quando sorga il sospetto che una morte sia causalmente riferibile ad un’azione umana, dolosa o colposa. Di fronte ad un siffatto sospetto in caso di somministrazione vaccinale, occorre in primo luogo stabilire se vi sia rapporto causale fra la morte e il vaccino e, in caso affermativo, se si tratti di morte non prevenibile, valutando in particolare se sussista una condotta colposa (in genere non è da prendere in considerazione il dolo) riconducibile alla produzione o alla conservazione o al trasporto o alla somministrazione del vaccino.
In questi casi, ritengo improponibile:
- sia limitare l’ambito dell’indagine penale, escludendo gli accertamenti relativi alla condotta dei professionisti sanitari e focalizzando l’attenzione solo sui responsabili dell’azienda produttrice o di quella incaricata del trasporto o della conservazione;
- sia escludere dal campo di indagine solo i medici e non gli altri professionisti dell’equipe vaccinale;
- sia non ammettere alcuna azione penale, non svolgendo quindi alcun accertamento neppure in merito alle responsabilità nelle fasi di gestione del vaccino precedenti la sua somministrazione alla persona venuta a morte.
Gli ordini professionali e le relative federazioni nazionali hanno, per legge, la funzione istituzionale di promuovere la responsabilità delle professioni al fine di garantire la
tutela della salute individuale e collettiva e non svolgono ruoli di rappresentanza sindacale. In questa prospettiva, l’ordine professionale che sostenga la tesi che non vadano accertate le responsabilità penali dei propri iscritti nella somministrazione del vaccino anti Covid-19 ammette di fatto, in questo ambito, la liceità di condotte colpose a danno della persona: il che non pare coerente con la finalità di tutela della salute individuale e collettiva.
In questa evenienza potrebbe talora sorgere un possibile paradosso: uno dei requisiti della colpa (art. 43 del codice penale), oltre alla negligenza, all’imprudenza, all’imperizia, è l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, fra i quali è compreso anche il codice deontologico, che è elaborato proprio dall’ordine professionale: vi sarebbe quindi la possibilità, in determinate circostanze, che venga addirittura riconosciuta dall’ordine professionale la legittimità della violazione di alcune norme del codice deontologico.
Non comprendo la tesi proposta alla fine dalla Fnomceo, cioè che esimere i medici dalla responsabilità penale di carattere colposo tuteli i pazienti.
Come puntualizzato nell’articolo,
l’obiettivo, è “tutelare la Professione medica da attacchi ingiustificati e restituire la serenità”. Questo obiettivo è
condivisibile a condizione che sia esteso a tutti i professionisti sanitari.
Questo obiettivo è raggiungibile con strumenti diversi dallo “scudo penale” e che non contrastano con la tutela della salute individuale e collettiva.
Resta fermo che alla magistratura inquirente deve essere lasciata libertà di indagine proprio per comprendere se siano giustificati i sospetti iniziali circa le morti correlate alla somministrazione di un vaccino anti Covid-19.
Il magistrato competente saprà vagliare razionalmente se le circostanze sono tali da generare un sospetto fondato a carico dei medici e degli altri professionisti sanitari vaccinatori oltre che dei responsabili di tutte le altre attività connesse alla precedente gestione del vaccino.
I diversi strumenti di tutela dei professionisti sanitari, ai quali poco sopra ho fatto cenno, possono essere identificati, con riferimento alle sequele giudiziarie relative alle morti post-vaccinali, nei seguenti:
- assicurare dal punto organizzativo la
sicurezza delle persone in relazione alla pratica delle vaccinazioni;
- organizzare a livello locale un efficace
sistema di clinical risk management connesso alla pratica vaccinale e alle fasi precedenti di gestione dei vaccini;
- stabilire il
divieto assoluto ai giornali di menzionare e agli inquirenti di far trapelare i nomi dei professionisti sanitari iscritti nel registro degli indagati, con la previsione di pene particolarmente gravi in caso di violazione del divieto;
- garantire la
copertura assicurativa, in ambito sia penale sia civile, per tutti i professionisti coinvolti nelle vaccinazioni per quanto riguarda la tutela legale e medico-legale, con esplicita previsione anche del riconoscimento di consulenze da parte di medici specialisti e di professionisti sanitari competenti (in caso di indagini relative a professionisti sanitari), con facoltà di scelta da parte dell’interessato dei professionisti dei quali avvalersi per le varie tutele e consulenze;
- prevedere
adeguati indennizzi per il professionista sanitario che abbia dovuto vivere l’esperienza delle indagini preliminari e/o di un procedimento penale o civile risoltosi senza il riconoscimento di una sua responsabilità;
- introdurre per la valutazione della responsabilità penale e civile del professionista sanitario una norma analoga a quella già contemplata nell’articolo 9 della legge 8 marzo 2017, n. 24 , cioè:
tener conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l'esercente la professione sanitaria ha operato.
Daniele Rodriguez
Professore ordinario di medicina legale i.q.
16 marzo 2021
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