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Ancora sui rischi dell’infodemia

di Lucio Romano

24 MAR - Gentile Direttore,
dai terrapiattisti e dai sostenitori delle scie chimiche fino alle fake news sulla pandemia il percorso è stato celere e per certi versi prevedibile. Così dai negazionisti, come i no-mask e i no-vax, alle teorie complottiste. La drammatica diffusione della Sars-Cov-2 rappresenta la pandemia nel tempo della globalizzazione che non è solo l’abbattimento di barriere spaziali ma il radicale cambiamento indotto dalle tecnologiche dell’informazione e della comunicazione.
 
Come ha evidenziato Luciano Floridi, una delle voci più autorevoli della filosofia e dell’etica dell’informazione, tali tecnologie modificano la nostra autocomprensione, cambiano il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con noi stessi, trasformano la nostra interpretazione del mondo in maniera pervasiva e incessante. La vita trascorre onlife, dove tutto è sempre connesso, all’interno dello spazio digitale e analogico dell’infosfera, un luogo nuovo fatto della circolazione delle informazioni in cui chi le controlla ha le chiavi di tutto.
 
In questa infosfera dove “ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale”, come coniugare rigorosa informazione scientifica e giustificate spiegazioni ai problematici interrogativi posti dalla pandemia?
 
Risulta evidente assistere in questi mesi alla circolazione di una gran quantità di notizie dedicate alla pandemia: una vera e propria infodemia una circolazione di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi per la complessità nell’individuare fonti affidabili. Si deforma la realtà, si manipolano verità scientifiche, si elaborano teorie senza fondamenti logici. Nelle camere dell’eco (echo chamber), alimentate dalla forte interattività dei social media, opinioni su fatti reali o spesso inventati sono ripetutamente condivise selezionando le notizie su cui si concorda a priori a discapito della verità dei fatti che vengono deformati. Si marginalizzano visioni e interpretazioni divergenti sebbene accreditate dall’autorevolezza delle fonti.
 
In questo contesto, le fake news trovano il più favorevole terreno di diffusione. Informazioni in parte o del tutto non corrispondenti al vero, divulgate intenzionalmente e prevalentemente attraverso le tecnologie digitali di comunicazione dei social media. Apparentemente plausibili, alimentano in maniera strumentale e distorta le aspettative dell’opinione pubblica, ne amplificano i pregiudizi, ne assecondano le inclinazioni più emotive a discapito di quelle razionali. Impermeabili ad una rapida verifica delle fonti, si propagano rapidamente in maniera virale nonostante l’assoluta improbabilità della tesi assunta. Anzi, proprio una clamorosa e fascinosa proposizione – per quanto falsa – è il motivo ulteriore per la diffusione e l’acritica accettazione di tanti.
 
L’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negriha dedicato una particolare attenzione al tema, fornendo un’informazione accurata e tempestiva. Ricordiamo solo alcune che hanno maggiormente girato sui social media e non solo: i gargarismi con la candeggina proteggono dall’infezione; c’è una correlazione tra epidemia da nuovo coronavirus e rete 5G; il virus è sensibile all’alcol, quindi bere alcolici per non ammalarsi Covid-19; gli extracomunitari sono immuni al Covid-19 grazie al vaccino contro la tubercolosi; per sapere se si è contagiati dal nuovo coronavirus basta pungersi un dito e guardare il colore del sangue, se anziché rosso vivo è scuro il contagio è avvenuto.
 
Le fake news fanno più presa della ragione. Si alimentano sia dell’attraente paradosso dell’irragionevolezza sia della mancanza di conoscenza da parte del destinatario. Forniscono risposte facili e non vere a fronte di problemi complessi. Diventano mere asserzioni ideologiche che manipolano l’opinione e l’assecondano. In definitiva la percezione prevale sulla realtà dei fatti.
 
Come si rileva dalla recente relazione annuale “Sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza della Repubblica”la pandemia da Covid-19 ha fatto registrare "una elevatissima produzione di fake news e narrazioni allarmistiche, sfociate in un surplus informativo (cd. infodemia) di difficile discernimento per la collettività. Il fattore di rischio intrinseco al fenomeno della disinformazione online ha continuato a risiedere nelle logiche e negli algoritmi alla base dello stesso funzionamento dei social media, tendenti a creare un ambiente autoreferenziale ed autoalimentante, fondato sulla condivisione dei contenuti e delle relazioni di interesse che, polarizzando l’informazione disponibile, ne alimenta quindi la percezione parziale e faziosa".
 
Gli effetti dell’infodemia possono essere devastanti. Il quadro che emerge pone criticità da non sottovalutare e una premessa è necessaria. L’angoscia è sempre un terreno fertile e la diffusione delle fake news nella pandemia si alimenta della vulnerabilità sociale indotta da un virus nuovo e dai tempi imprevedibili per approntare gli interventi richiesti, in particolare sul versante sanitario.
 
Pertanto, qual è il ruolo di una informazione autorevole e accreditata? È possibile coniugare metodo scientifico e canoni della comunicazione sui media o sui social? La ricorrente presenza di scienziati ed esperti, sui giornali e in video, ha rappresentato un unicum della comunicazione durante la pandemia. Risposte necessarie ad un bisogno diffuso di informazioni basate su fonti riconosciute e inerenti agli aspetti più problematici e drammatici. Si è creato però in alcuni casi un corto circuito tra comunicazione e metodo scientifico. In questa criticità si sono inseriti negazionisti e complottisti, per giungere perfino al discredito di alcuni nei confronti del sapere scientifico.
 
La risposta è essenzialmente riconducibile alle caratteristiche proprie della metodologia scientifica che devono essere ben chiare nella comunicazione altrimenti il rischio concreto è confusione e perdita di credibilità. Ogni conoscenza, infatti, è suscettibile di cambiamenti che sono il risultato di dubbi e interrogativi, nonché soggetta a una costante valutazione critica tra pari (peer review). Presentare posizioni diverse sui media significa da un lato riportare una modalità di confronto che è propria della ricerca e dall’altro evidenziare la progressività del processo di conoscenza. È sostanziale, però, sottolineare la mancanza di evidenze disponibili, ove necessario, piuttosto che ipotizzare teorie o risultati senza il supporto di dati concreti che, in alcuni casi, hanno creato non poco sconcerto nell’opinione pubblica. Il rilievo è ancor più pertinente per ricerche su di una pandemia che appena pochi mesi orsono risultava del tutto sconosciuta e ancora tutt’oggi dalle rapidissime evoluzioni.
 
Su altro versante, poi, i fatti e i dati – per quanto verificati – si scontrano con i bias cognitivi, vale a dire la tendenza a creare una propria realtà, non necessariamente corrispondente all'evidenza, sviluppata sulla base delle sole informazioni in possesso. La conseguenza è che il dato scientifico è accettato se è funzionale alla conferma di posizioni preconcette, di pregiudizi. Ciò significa anche che lo scienziato sappia acquisire modalità di comunicazione idonee a limitare, almeno, gli effetti dei bias cognitivi.
 
In definitiva, la vera scienza vuole innanzitutto conoscere. Eppure, questa drammatica pandemia ha indotto a chiedere alla scienza, ancor più di prima, certezze e stabilità. Essenzialmente un necessario bisogno di speranze.
 
Lucio Romano
Medico chirurgo e docente universitario
Componente Comitato Nazionale per la Bioetica

24 marzo 2021
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