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La riforma della sanità non è più appannaggio degli addetti ai lavori, di sinistra o destra che siano

di Antonio Panti

31 MAR - Gentile Direttore,
ho seguito l’interessante e nutrito dibattito su QS scaturito dal libro di Ivan Cavicchi. Premetto che non ho letto il libro e intervengo quindi non sul testo, che non conosco, ma sul confronto tra i diversi interlocutori, dedicato ai necessari cambiamenti del SSN, resi ancor più urgenti dalla crisi pandemica. Il tema sotteso è l’atteggiamento politico della sinistra rispetto all’evoluzione del servizio sanitario.
 
In una visione d’insieme si delineano alcune questioni. La prima è “cosa fare”, cioè quali sono i punti nodali del cambiamento: finanziamento, regionalismo, governance, territorio ecc. ecc. Grosso modo vi è un accordo generale sui principali temi critici di un servizio che ha resistito anche alla pandemia ma ormai mostra la corda e la cattiva manutenzione degli ultimi decenni.
 
Maggiori difformità si notano intorno al “come fare” a avviare il cambiamento, ad esempio tra accentramento e localizzazione, tra tipologie di governance, tra dipendenza e convenzione dei medici generali e così via. Differenze importanti ma non tali da non essere risolte da una politica abile, che si muova all’interno di una visione condivisa della tutela della salute.
 
La discussione su QS ha meno approfondito un tema che, invece, sembra affrontato da Cavicchi, cioè se si debba parlare di una vera riforma del servizio sanitario oppure di aggiustamenti sia pur vistosi. Scegliere tra la politica dei “piccoli passi” o quella di un drastico rinnovamento dipende anche dalle condizioni sociali e economiche e quindi, al di là di ogni auspicio, occorre misurarsi con la realtà.
 
A mio parere è proprio questo il punto dolente del dibattito. Tutti questi problemi, di per sé assai complessi e complicati, sono visti nell’ottica di ciò che avrebbe potuto fare la sinistra e non ha fatto o, peggio, di ciò che non avrebbe dovuto fare e invece ha fatto. Una severa critica da sottoscrivere ma che rappresenta solo una parte della verità che deve esser vista da più angolature (vedi Rashomon o Pirandello) e diventa un bias se vista con una sola luce di taglio.
 
Dai più accreditati sondaggi la sinistra riscuote il consenso di non più di un italiano su cinque. E che pensano gli altri quattro? I partiti non di sinistra, che non son pochi, che idee hanno sulla sanità? Sul regionalismo, sul finanziamento, sul ruolo del privato, sui LEA, sui professionisti, sul rapporto di lavoro, insomma sulle tante questioni sul tappeto? E la gente sente il problema della riforma del servizio sanitario, cioè qualcuno è in grado di suscitare un grande dibattito pubblico?
 
La mia impressione è che gli intellettuali o gli esperti, che tali sono i partecipanti a queste disturne, abbiano perso la voglia di misurarsi con la gente come si usava ai tempi del dibattito che sfociò nella 833. Se il confronto verte soltanto sulla sinistra si perde il senso delle cose: con quale Parlamento si cambiano le leggi?
 
Ma vi è un’altra questione, la consueta autoreferenzialità del mondo sanitario. Qualcuno pensa tuttora che le questioni sanitarie possano risolversi all’interno del mondo della sanità, tra medici e pazienti, tra professionisti e amministrazione. Oggi la sanità è uno dei componenti dell’economia globale e ha una parte assai significativa nella società e tutto quel che è accaduto in questa pandemia lo dimostra.
 
Già assai prima della vicenda vaccini era chiaro come gli stekeholders coinvolti nella sanità fossero, oltre ai medici, ai cittadini, agli amministratori, anche i produttori di beni. Cosa pensano sulla sanità post pandemica la Silicon Valley, le multinazionali del farmaco, i grandi investitori internazionali? Il che vuol dire che i problemi della sanità debbono essere affrontati tenendo realisticamente conto del peso di tutti i soggetti coinvolti. La discussione sul futuro del servizio avverrà non nei Ministeri della Salute ma in quelli dell’Economia anzi nei Governi e nelle sedi decisionali internazionali.
 
Se, infine, come appare indispensabile, si vuol orientare il servizio sanitario alla promozione della salute e, quindi, al rispetto della biodiversità, alla sanità one health, insomma far sì che la medicina dell’antropocene sia volta alla tutela della salute dei singoli all’interno della sanità come sicurezza globale, all’economia green, quanto può fare il Ministro della Salute?
 
Il dibattito su QS è essenziale per individuare una linea condivisa di proposte per la sopravvivenza del SSN, che è quel che interessa, ma occorre prendere atto che le decisioni sono prese in un’arena più vasta di quella consueta e che, se manca il coinvolgimento della società, il confronto rischia di rimanere sterile.
 
Antonio Panti
 
Vedi gli altri interventi relativi a questo Forum: CavicchiBonacciniMaffeiRossiTestuzza, SpadaAgnolettoZuccatelliMancin, PepeAsiquasGiannottiAgnettiGianni, Agneni.
      

31 marzo 2021
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