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Alla Dottoressa Dubini dico che la legge 194 ha fallito

di Francesca Romana Poleggi

01 GIU - Gentile Direttore,
vorrei rispondere alla Dottoressa Dubini che, nella rubrica della posta del suo Giornale, il 28 maggio scorso, mi ha chiamato in causa, pur senza nominarmi. È rimasta «amareggiata», la Dottoressa, «per il fatto che sia poi una donna a chiedere la sospensione di una legge di diritto che tutela l’autodeterminazione delle donne». Vorrei tanto poterle parlare, da donna a donna, guardandola negli occhi.
 
La sua amarezza è la mia amarezza, perché questa legge, la 194 del ‘78, è tutto fuorché una legge che tutela l’autodeterminazione delle donne e il loro sacrosanto diritto alla salute.
 
È una legge sessista e maschilista. Tralasciando il fatto che legittima il padre del bambino a lavarsi le mani della gravidanza imprevista, la 194 deresponsabilizza del tutto anche la società. Essa di fatto offre alla donna in difficoltà un’unica possibilità, cioè l’aborto. Sappiamo bene, infatti, che nessuno (a parte il volontariato, che però viene sistematicamente escluso dai consultori) offre aiuto alla donna che volesse portare a termine la gravidanza. Che scelta è, allora, la scelta che prevede un’unica opzione?
 
Senza contare che poi quella donna si ritroverà con gli stessi problemi socio-economici che aveva prima dell’aborto e in più scoprirà di essere madre di un bambino morto.
 
Perché la Dottoressa, esercitando la professione, saprà bene che ci sono milioni di donne ferite nel corpo e nella psiche da quella scelta disgraziata. E sa bene anche, che nessuno informa le donne delle possibili conseguenze dell’aborto volontario.
 
Non posso credere che - da donna e da professionista - ella si contenti delle cifre sottostimate e delle lacune contenute nelle Relazioni ministeriali sulla 194. Ma anche a voler prendere per buoni quei numeri, a pag. 50 della Relazione ministeriale sui dati 2018, e nella tabella 27, si riportano solo le complicanze fisiche immediate dell'aborto (quelle psichiche e quelle fisiche non immediate - placenta previa, successivi parti prematuri, sterilità, cancro al seno - sono del tutto ignorate).
 
La Relazione, poi, parla di 5,6 complicanze (immediate) per 1000 IVG, ma si tratta solo di complicanze rilevate durante il ricovero. Anche quelle rivelatesi dopo il ricovero non sono registrate. Comunque, se i numeri in termini percentuali appaiono trascurabili, in termini assoluti abbiamo in un solo anno 414 donne che sono state curate per emorragie, infezioni e «altro» (214 “altre” problematiche la cui gravità non è dato conoscere). E in più abbiamo ben 1621 casi in cui non è stato rilevato il dato. Quelle 414 donne non contano?
 
Contano anche le donne che vengono a piangere dicendo «se avessi saputo, cos’è l’aborto non l’avrei fatto». Conterebbero anche se fossero un “numero basso”, ma in questo caso assicuro che sono davvero tante.
 
Quanto alla mortalità materna, la Relazione a pag. 51 dice che il numero di «morti la cui causa è in qualche maniera collegabile all’IVG, da quando è in vigore la legge 194, è molto basso»: vogliamo accontentarci di questo dato? Che vuol dire “molto basso”? Si tratta di donne morte. Per me le donne contano. Contano tutte e ciascuna.
 
Inoltre, la Dottoressa saprà controllare i dati dell’Oms (che non è certo un’associazione prolife): a parità di sviluppo del sistema sanitario, la più bassa mortalità materna, molto più bassa di Paesi dove l’aborto legale è libero e senza limiti come Stati Uniti e Canada, è della Polonia (come era fino a poco tempo fa dell’Irlanda), cioè di un Paese che ha la legge sull’aborto molto restrittiva. E questo non è l’unico elemento che collega in modo diretto l’aborto legale alla mortalità materna. Altrimenti non si spiega perché l’Istituto superiore di sanità si rifiuta di fornire ai ricercatori i dati delle donne morte post aborto volontario.
 
Altra questione. Certamente, non vogliamo l’aborto clandestino, l’aborto fai-da-te. Ma le fonti ufficiali (Istat e Relazioni del Ministero) stimano che ancora oggi ci sono dai 10.000 ai 15.000 aborti clandestini l’anno, in Italia (senza contare l’aumento spropositato e sproporzionato di sedicenti aborti “spontanei”...). Evidentemente la legge 194 ha fallito - e di molto - uno dei principali obiettivi che aveva. Piuttosto, però, chiederei al Ministro Speranza cosa pensa dell’aborto clandestino, visto che lui promuove l’aborto chimico fai-da-te in casa, lontano dal controllo di un medico.
 
Circa il decremento demografico, che è una piaga di immani proporzioni sociali, ma anche economiche, nessuno di noi ha «incolpato le donne». La nostra ricerca, però, ha notato un dato statistico interessante: nelle Regioni dove ci sono più aborti, c’è il maggior calo demografico. Sarà una coincidenza…
 
Un’ultima considerazione. La Dottoressa scrive: «ancora una volta un attacco al corpo delle donne». E il bambino? Un medico lo sa che dentro il corpo della madre c’è il corpo del figlio, di un individuo autonomo, un essere umano che dal giorno del concepimento è «un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro» (British Medical Journal, editoriale del novembre 2000).
 
Prof. Francesca Romana Poleggi
Comitato Direttivo, Osservatorio Permanente sulla legge 194/'78

 

01 giugno 2021
© Riproduzione riservata

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