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Le dipendenze non devono essere inserite nel settore psichiatrico

di Gianni Testino

23 LUG - Gentile Direttore,
il direttivo della Società Italiana di Alcologia concorda con quanto affermato da quello della Società Italiana Tossicodipendenze (SITD). Le dipendenze non devono essere inserite nel settore psichiatrico e ciò è ancora più vero per l’alcologia. Sorprende che nel 2021 ci sia ancora qualcuno che pensa di risolvere un problema in costante crescita attraverso un format anacronistico e dannoso. Con imbarazzo siamo costretti a ricordare elementi clinici elementari.
 
Da sempre i pazienti con disturbo da uso di alcol e sostanze  vengono spesso psichiatrizzati. La valutazione puntiforme delle manifestazioni psicopatologiche induce spesso ad “etichettare” il paziente come psichiatrico quando in realtà è semplicemente intossicato. Ciò segna ineluttabilmente la vita del soggetto e della famiglia.
 
È altresì vero che alcol e sostanze si sovrappongono a quadri psichiatrici (È  nato prima l’uovo o la gallina? di A Quartini e V Patussi, MDD 2021; 42: 19). Dopo un congruo periodo di astensione certamente, se presente, l’aspetto psichiatrico deve essere trattato, ma non per risolvere “il legame con alcol e sostanza” che trova la soluzione in altro modo e cioè attraverso l’integrazione di farmacologia dedicata, psicoterapia (per affrontare i traumi ed altre problematiche che sostengono il “legame”) e la frequenza ai gruppi  di auto mutuo aiuto.
 
La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato che questi ultimi nel lungo termine sono vincenti non solo nel mantenimento della sobrietà, ma anche nel rafforzare la rete di relazione e di sostegno che è mandatoria in questo tipo di disciplina che rinchiude aspetti sanitari e socio-sanitari.
 
L’alcologia è ancora più lontana dall’area psichiatrica. I disturbi da uso di alcol rappresentano la causa diretta o indiretta di circa il 20% dei ricoveri ospedalieri. Ciò non sorprende se pensiamo che la l’alcol è causa di duecento diverse patologie e quattordici tipi di cancro. È la prima causa di trapianto di fegato e la seconda di cuore.
 
Inoltre, anche noi ricordiamo come “la sacca” da rimuovere per debellare l’epatite C entro il 2030 (indicazione OMS) la ritroviamo nel settore della patologia delle dipendenze (PD).
 
È chiaro che tale attività non può rientrare in un contenitore a direzione psichiatrica. Come già affermato dal direttivo SITD questa affermazione non è dovuta per sete di potere, ma semplicemente per non danneggiare i nostri pazienti e loro famiglie. E anche per tutelare l’elevata professionalità di medici, infermieri, operatori socio-sanitari ed altre professioni che si muovono in questo settore.
 
Il fenomeno della PD in questi anni è diventato sempre più articolato e complesso e necessita quindi, oltre che di specializzazione, anche di un’organizzazione più adatta alle varie forme di PD (non solo da sostanze) ma anche alla necessità di produrre risposte unitarie sia per il consumo di sostanze stupefacenti, per l’uso di alcol, per il tabagismo, per l’abuso di farmaci non prescritti e per i comportamenti compulsivi. L’attuale organizzazione, infatti, ha generato talvolta risposte non sempre ben coordinate a cui provvedono spesso strutture sia del pubblico che del privato sociale che del volontariato che hanno necessità di essere inserite in un’organizzazione che permetta loro di essere meglio orientate, valorizzate ma nello stesso tempo rese più integrate sia da un punto di vista strategico che da un punto di vista operativo.
 
La necessità di creare e sostenere quindi assetti dipartimentali strutturati, stabili, autonomi e con una propria e precisa identità nasce, oltre che da un bisogno di creare un miglior utilizzo delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche anche per la necessità di assicurare interventi omogenei su tutto il territorio che possano garantire continuità assistenziale, l’erogazione omogenea dei LEA, l’adeguatezza dei trattamenti e nel contempo un buon livello di sicurezza di tali terapie
 
È  quindi da evitare, in quanto palese errore strategico ed organizzativo, l’accorpamento (asservimento?) della PD alla psichiatria con la quale andrà comunque ricercata la collaborazione di una sinergia, ma all’interno di uno sviluppo delle attività nell’ambito della PD sempre più specialistico data l’alta complessità della materia sia da un punto di vista diagnostico, terapeutico, riabilitativo e delle gravose responsabilità derivanti anche a causa degli aspetti medicolegali correlati, sia dal punto di vista deli accertamenti tossicologici, sia dell’attività in carcere, sia nei tribunali.
 
Le esperienze di accorpamento fino ad oggi portate avanti, hanno dimostrato non solo l’estrema difficoltà di tale scelta organizzativa ma anche le rilevanti problematiche emerse sia nell’ambito della motivazione e del disorientamento del personale, ma soprattutto della perdita di competenze specialistiche acquisite in questi anni.
 
La raccomandazione chiara, quindi, è quella di dare seguito a forme organizzative  che prevedano dipartimenti delle dipendenze con  una precisa autonomia e quindi responsabilità delle azioni perseguite, con una propria identità tecnico-scientifica e operativa.
All’interno di questi, per la riconosciuta specificità, le equipe alcologiche devono essere interdipendenti, ma autonome.
 
Vi è la necessità, però, di intercettare un numero maggiore di utenti in fase precoce per migliorarne la qualità di vita e per ridurre i costi.
È noto che solo il 10% dei pazienti con consumo dannoso di alcol viene intercettato.
Inoltre, alcune patologie correlate al consumo di alcol e/o sostanze vengono diagnosticate con diversi mesi di ritardo (per esempio cirrosi epatica ed epatocarcinoma).
 
Emerge una carenza formativa che può essere affrontata attraverso l’inserimento di insegnamenti specifici nei corsi universitari come per esempio previsto dalla Legge 125/2001 relativamente all’alcologia. Comunque la medicina delle dipendenze deve trovare dal punto di vista formativo una collocazione autonoma dalla clinica psichiatrica.
 
Infine, la prevenzione. I dati continuano a peggiorare e quindi ne deriva che i programmi vanno rivisti. Sono presenti molti ottimi progetti che raggiungono però soltanto una parte ridotta, anzi ridottissima dei nostri ragazzi, mentre invece il nostro obiettivo è quello di raggiungerli tutti al di sotto dei 14 anni! È l’unico modo per cambiare la comunità!
 
È come se noi volessimo risolvere il problema Covid19 con qualche centinaia di vaccinazioni! Tutti devono essere vaccinati contro il Covid19 e così tutti i nostri ragazzi devono essere vaccinati contro ciò che “gli fa male” (alcol, sostanze, alimentazione scorretta, pericoli dei social, ecc).
 
Gianni Testino
Presidente Nazionale Società Italiana di Alcologia

23 luglio 2021
© Riproduzione riservata

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