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Farmacie di comunità: presidi di prossimità parte integrante del Servizio sanitario nazionale

di Marco Cossolo

14 SET - Gentile Direttore,
mi spiace dover rispondere alle considerazioni fatte dal dottor Livio Garattini (figlio dell’esimio professor Garattini già direttore dell’Istituto Mario Negri, ndr) su temi che pensavo che fossero stati superati nel tempo, anche alla luce delle esperienze e del lavoro svolto dalle farmacie durante la pandemia. A ogni buon conto, non tutti sono ugualmente attenti a ciò che è successo in questo difficile periodo, vediamo di chiarirlo.
 
Prima inesattezza: le normative sulla farmacianon sono assolutamente recenti, ma risalgono alla Costituzione di Melfi voluta da Federico II di Svevia nel 1231, che separava la professione del medico cui spettava la diagnosi e la prescrizione della terapia da quella farmacista al quale veniva conferita la possibilità di allestire e dispensare il medicamento con l’obiettivo di evitare possibili conflitti di interesse. Da allora, la professione di farmacista si è evoluta e si è adeguata ai contesti sociali del periodo: il farmacista è stato un “camaleonte”, nel senso che ha saputo ben adeguare la propria professionalità e metterla a disposizione dei bisogni di salute dei cittadini e all’evoluzione della scienza che ha portato all’innovazione della preparazione industriale dei farmaci.
 
Seconda inesattezza: la durata del corso di studidi laurea in Farmacia è stata elevata da quattro a cinque anni proprio su richiesta della Comunità Europea, che ha voluto equiparare tutti i corsi di laurea proprio per favorire il libero scambio tra professionisti nel circuito europeo, come previsto dal trattato di Maastricht. Quindi, questa equiparazione scaturisce da una norma di natura europea, assolutamente condivisibile. Appare contraddittorio pensare di predisporre un corso di laurea triennale per dispensare il farmaco nel momento in cui dal Ministero della Salute giunge l’istanza di elevare la professionalità del farmacista per attribuirgli nuovi compiti.
 
La situazione della distribuzione del farmaco in Europaè necessariamente eterogenea, in quanto più volte la Corte di Giustizia europea ha ribadito che l’organizzazione della distribuzione dei servizi sanitari in generale, e del servizio farmaceutico in particolare – per quanto riguarda la dislocazione sul territorio dei presidi e le regole di erogazione del farmaco - sia appannaggio dei singoli Stati membri. Noi condividiamo questa posizione e riteniamo, pur essendo europeisti convinti, che ci sono dei punti che devono rimanere di stretta pertinenza nazionale. Unico elemento di omogeneità a livello europeo è che in tutti i paesi UE la distribuzione del farmaco con ricetta è competenza esclusiva del farmacista in farmacia. Altro elemento comune a tutti gli Stati europei, tranne l’Italia, è la figura del farmacista, presente – oltre che in ambiente ospedaliero – solo in farmacia. In Italia è prevista la figura del farmacista anche per distribuire i farmaci senza obbligo di ricetta, mentre nel resto d’Europa la distribuzione di tali farmaci, ove è possibile, avviene senza che sia obbligatoria la presenza di un farmacista. Occorrerebbe inoltre chiarire che nei vari paesi europei vengono registrati come farmaci da banco sostanze o prodotti che in Italia sono già classificati come integratori alimentari e quindi di libera vendita, ma questo è un altro discorso. Mi stupisce che un economista di ispirazione liberale come il dottor Garattini non abbia evidenziato questa anomalia italiana.
 
In un contesto in cui la scarsa aderenza alla terapia,come sottolinea l’OMS, rappresenta uno dei principali problemi dell’utilizzo dei farmaci, e dei costi diretti e indiretti a esso connessi, mi sembra fuori luogo non investire in un professionista sanitario che distribuisce il farmaco e, di conseguenza, non investire nella sua attività di counseling, come invece prevede il PNNR relativamente alle farmacie rurali. Tutti quanti sono convinti che l’investimento principale da fare sia sull’aderenza alla terapia, considerando che essa è pari al 40%.
 
E veniamo alla remunerazione.Federfarma, da quando sono presidente, si è sempre battuta perché la remunerazione della farmacia venga sganciata il più possibile dal prezzo del farmaco. È di tutta evidenza che se il farmaco è comprato e stoccato dalla farmacia, con tutti i rischi connessi, si debba tenere in considerazione una minima quota percentuale a valere sul prezzo del farmaco, relativa alle operazioni di acquisto e stoccaggio. Ma noi abbiamo chiesto più volte che, fatta 100 la remunerazione dell’attività professionale del farmacista, almeno il 70-75% sia una quota fissa sganciata dal prezzo e legata alla tipologia di farmaco e all’importanza dell’atto professionale connesso con la sua distribuzione. Siamo soddisfatti per la remunerazione integrativa recentemente approvata con apposito decreto ministeriale, che prevede esattamente questo, segnando un cambio di paradigma: la remunerazione aggiuntiva non è più calcolata sul prezzo del farmaco, ma è determinata per tipologia di farmacia e per tipologia di farmaco.
 
Per quanto riguarda la titolarità, questa può essere in capo a imprese, a società di capitale, a titolari di singole farmacie. È una norma che certamente non ha voluto Federfarma, ma alla quale ci adeguiamo. Nel momento in cui soci di capitale possono entrare all’interno delle farmacie, è del tutto distante dalla realtà pensare a qualsiasi presunto impedimento al trasferimento di un bene, che può essere anche di proprietà di una società, da un soggetto all’altro.
 
Trovo grave, oltre che offensivo, mettere in discussione il ruolo delle farmacienel processo di territorializzazione della sanità: sminuire il lavoro svolto durante la pandemia, riducendolo al fatto che le farmacie sono state l’unico punto di riferimento perché erano gli unici esercizi commerciali ai quali era consentito restare aperti, è offensivo nei confronti dei trenta farmacisti che hanno perso la vita e degli oltre 1.000 che sono rimasti contagiati nello svolgimento della propria professione, così come nei confronti degli 88mila farmacisti, collaboratori e dipendenti che con spirito di servizio hanno continuato a lavorare mettendo a rischio la propria salute e quella dei propri cari. Il ruolo svolto dalle farmacie come unico presidio sanitario aperto sul territorio durante la pandemia è stato riconosciuto da tutti, a cominciare dal Ministro della Salute Roberto Speranza, le cui parole pronunciate recentemente a Cosmofarma ci hanno onorato, per non dire commosso (“19.000 farmacie sono un pezzo straordinario del nostro Ssn che dobbiamo mettere a valore, se la riforma di fondo è quella di un rafforzamento del territorio”). Probabilmente, il dottor Garattini, durante la pandemia, ha vissuto in un altro mondo.
 
Le farmacie si sono battute per poter vendere a un prezzo calmierato le mascherine, che inizialmente hanno subito aumenti vertiginosi per l’incremento dei costi all’interno dell’intera filiera produttiva e distributiva. Ancora, le farmacie si sono rapidamente attrezzate per allestire nei loro laboratori galenici l’indispensabile gel disinfettante quando quello di produzione industriale era introvabile o venduto online a prezzi esorbitanti. Hanno fatto da argine agli accessi impropri ai pronto soccorso, consigliando e orientando i cittadini impauriti e disorientati di fronte al dilagare del nuovo virus. Ora, contribuiscono fattivamente al tracciamento dei contagi effettuando i tamponi e all’aumento della copertura vaccinale somministrando i vaccini.
 
Infine, in merito all’entità del reddito medio dei titolari di farmacia, occorre precisare che stiamo parlando del reddito di un’impresa, non di un singolo professionista: il reddito a cui si riferisce il dottor Garattini – e mi stupisce che un economista faccia un errore di questo tipo – è riferito all’impresa farmacia e questa non necessariamente è proprietà di un solo soggetto. Per conoscere il reddito del singolo Titolare bisognerebbe conoscere nel dettaglio tutte le voci del suo Modello Unico. Credo che questi dati non siano nella disponibilità del dottor Garattini. In ogni caso, considerare l’equa remunerazione di un’attività professionale un profitto inadeguato è un po’ come demonizzare il profitto. Ma un economista dovrebbe sapere che senza equo profitto non c’è servizio.
 
Detto questo, ribadisco la disponibilità delle farmacie italiane ad essere componente proattiva del Servizio Sanitario Nazionale per continuare a svolgere il ruolo di presidio territoriale di sanità, di socialità e – mi permetta il dottor Garattini – anche di legalità, perché non dimentichiamo che durante il periodo di lockdown abbiamo intensificato la collaborazione con le Istituzioni a supporto delle donne vittime di violenza domestica.
 
Marco Cossolo
Presidente di Federfarma nazionale

14 settembre 2021
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