Dubbi scientifici e soprattutto etici sull’opportunità della terza dose per gli operatori sanitari
di Salvatore Mazzeo
13 OTT -
Gentile Direttore,
pochi giorni fa, l’AIFA e il Ministero della Salute hanno aperto la possibilità, per il personale sanitario, di accedere alla terza dose di vaccino anti-COVID 19. Molte colleghe e colleghi in queste ore hanno già o stanno per prenotare la loro dose di richiamo. Tuttavia, da fermo sostenitore dei vaccini e favorevole all'obbligo vaccinale, mi permetto di avanzare alcune obiezioni riguardo la fondatezza scientifica di questa decisione e, soprattutto, sulla sua opportunità in termini di salute globale.
Per quanto possa essere comprensibile l’approccio preventivo in stile “la sicurezza non è mai troppa”, per quanto possa essere condivisibile l’ipotesi che a distanza di tempo l’immunità possa ridursi e possiamo di nuovo essere soggetti ad infezione, la prima rimane un modo di dire, la seconda soltanto un’ipotesi. Come donne e uomini di scienza, non possiamo limitarsi né all’una né all’altra, ma dobbiamo 1) attenerci alle evidenze 2) agire nell’interesse della comunità.
Per quanto riguarda il primo punto: se è stato dimostrato che una terza dose di vaccino (a poche settimane di distanza dalla seconda) favorisce lo sviluppo dell’immunità contro il virus nei soggetti immunocompromessi, non è dimostrato che una dose di richiamo (booster) riduca il rischio di infezione nei soggetti immunocompetenti. I dati su cui si basano le agenzie del farmaco derivano da
uno studio su 306 soggetti che ha mostrato che una terza dose di vaccino aumenta il titolo anticorpale.
Tuttavia,
un altro studio (l’unico) svolto su lavoratori della salute, pur mostrando una riduzione del titolo anticorpale nel tempo, ha riportato un solo caso di infezione da SARS-CoV 2 sintomatica su 201 soggetti monitorati nell’arco di 6 mesi. Ciò significherebbe che a un calo del titolo anticorpale non corrisponde un aumento del rischio di contagio. Allo stesso tempo, nessuno studio ha ancora dimostrato che aumentare il titolo anticorpale con una terza dose di vaccino aumenti la protezione.
In conclusione, non c’è nessuna evidenza al momento che dimostri l’utilità della terza dose nei soggetti immunocompetenti. La stessa FDA, nel comunicato con cui annunciava l’autorizzazione alla terza dose negli immunocompromessi, precisava che “altri individui completamente vaccinati non hanno bisogno di una dose aggiuntiva di vaccino in questo momento”.
In più, anche ponendo che una terza dose possa essere efficace nel ridurre l’incidenza di COVID-19 negli immunocompetenti e che venga pubblicato uno studio che lo dimostri, sarebbe comunque giusto somministrare una terza dose in soggetti comunque già immunizzati, quando il 97% della popolazione dei paesi a basso reddito non ha ancora ricevuto neanche una dose? Secondo Mike Ryan, direttore del programma di emergenza sanitaria dell’OMS, sarebbe come “distribuire giubbotti di salvataggio a persone che ne indossano già uno, mentre lasciamo annegare tutti gli altri sprovvisti di qualsivoglia protezione”. Personalmente mi trovo d’accordo lui.
E qui arriviamo al secondo punto: come mediche e medici, siamo chiamati ad agire in scienza e coscienza, non solo nei confronti dei nostri pazienti, ma di tutta la comunità. E con comunità non intendo solo il nostro ambulatorio, il nostro ospedale o il nostro paese, ma tutta la popolazione mondiale. Se in Italia il 73,13% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale, nei paesi a basso reddito solo il 2,5 % ha ricevuto almeno una dose, con stati in cui si va a valori inferiori all’unità (https://ourworldindata.org/covid-vaccinations).
“
In un periodo di continua carenza di fornitura globale di vaccini, le considerazioni sull'equità a livello nazionale, regionale e globale rimangono una considerazione essenziale per garantire la vaccinazione dei gruppi ad alta priorità in ogni paese. Il miglioramento della copertura della prima dose di vaccino dovrebbe essere prioritario rispetto alla vaccinazione di richiamo”.
Non sono parole mie, ma dell’OMS (
vedi testo completo), che continua così: “
Le decisioni politiche del programma nazionale di vaccinazione per aggiungere una dose di richiamo dovrebbero tenere conto della forza delle prove riguardanti la necessità di queste dosi, la loro sicurezza ed efficacia, nonché la disponibilità globale di vaccini. Offrire dosi di richiamo a un'ampia parte della popolazione quando molti non hanno ancora ricevuto nemmeno una prima dose mina il principio dell'equità nazionale e globale. Dare priorità alle dosi di richiamo rispetto alla velocità e all'ampiezza nella copertura della dose iniziale può anche danneggiare le prospettive di mitigazione globale della pandemia, con gravi implicazioni per la salute, il benessere sociale ed economico delle persone a livello globale [...]. Nel contesto delle attuali limitazioni alla fornitura globale di vaccini, la somministrazione su vasta scala di dosi di richiamo rischia di esacerbare le disuguaglianze nell'accesso ai vaccini aumentando la domanda e deviando l'offerta”).
In conclusione, la corsa alla terza dose per medici immunocompetenti potrebbe essere un eccesso di precauzione sul piano individuale con effetti dannosi a livello di società globale.
I vaccini, purtroppo, sono una risorsa limitata. Le case farmaceutiche che ancora ne detengono il monopolio (nonostante le mozioni per le sospensioni dei brevetti avanzate in più sedi, soprattutto dai paesi poveri e ripetutamente affossata, soprattutto dai paesi ricchi) continuano a destinare le proprie dosi ai migliori offerenti. In questa gara all’accaparramento di dosi, i paesi a basso reddito rimarranno per sempre sconfitti. Come medici non possiamo renderci complici di questo gioco impari. Come medici dobbiamo mirare alla salute di tutti, indipendentemente dal paese di appartenenza.
Dobbiamo chiedere che i vaccini vengano prodotti e distribuiti secondo le esigenze della popolazione mondiale e non sottostare alle logiche del profitto. Dobbiamo correre a
firmare la l’ICE sulla sospensione dei brevetti, non a prenotare la terza dose. Dobbiamo prendere parte e posizione, svolgere il nostro ruolo non solo di sanitari ma incidere nel dibattito pubblico come scienziati. Non a favore della nostra categoria o della comunità più stretta a cui apparteniamo, ma nell'interesse della salute della popolazione a livello globale.
Dott. Salvatore Mazzeo
Neurologo, dottorando di ricerca in Neuroscienze
13 ottobre 2021
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