Negli ultimi anni si è assistito a una crescente offerta di master universitari rivolti alle professioni sanitarie, proposti come opportunità di aggiornamento, avanzamento di carriera o sviluppo di competenze specialistiche. Tuttavia, a fronte di un’offerta formativa in costante espansione, la reale spendibilità di questi titoli all’interno delle organizzazioni sanitarie pubbliche e private rimane, salvo rare eccezioni previste dalla normativa, estremamente limitata.
Per molte professioni sanitarie – infermieri, fisioterapisti, tecnici sanitari, logopedisti e altri – il conseguimento di un master universitario di I o II livello è spesso vissuto come un investimento, oneroso, personale e professionale, motivato dalla volontà di crescere, acquisire competenze gestionali o cliniche avanzate e, possibilmente, accedere a ruoli ulteriormente valorizzati o specialistici all’interno delle strutture sanitarie.
Tuttavia, nella maggior parte dei contesti organizzativi, tali titoli non si traducono in un riconoscimento formale: né in termini economici, né in termini di carriera. Le aziende sanitarie, vincolate a profili professionali normati rigidamente e a organigrammi cristallizzati, difficilmente prevedono ruoli o funzioni corrispondenti a queste nuove competenze, con il risultato di una netta frattura profonda tra il sistema formativo e quello lavorativo, nonostante che il contratto nazionale in attuazione dell’articolo 6 della legge43/06 lo abbia previsto quale incarico professionale di professionista specialista.
In questo alveo, risulta strategico il ruolo delle Direzioni Aziendali che a modesto parere degli scriventi dovrebbero assumere un ruolo più attivo e coraggioso nella ridefinizione dell’assetto organizzativo e professionale. Spetta infatti a loro il compito – oggi sempre più urgente – di proporre nuovi modelli organizzativi, che valorizzino non solo la dimensione gestionale, ma anche quella professionale e specialistica dei singoli ruoli. Questo significa andare oltre la mera gestione dell’esistente e investire in strutture flessibili, in team multidisciplinari avanzati, in percorsi di carriera realmente innovativi (basti pensare alla pervasività dell’AI in ambito sanitario).
Va da sé che professionisti sanitari con formazione post-base rappresentano una risorsa preziosa per fronteggiare le nuove sfide della persona assistita: cronicità, complessità, digitalizzazione, medicina territoriale. Non riconoscerne il valore e non collocarli in strutture adeguate rischia di tradursi in una perdita di capitale umano, economico e culturale: oggi la sanità non può più permetterselo.
A quanto sin qui esposto occorre non trascurare il ruolo concertativo delle organizzazioni sindacali, che dal nostro punto di vista, anch’esse, come i decisori, dovrebbero promuovere e concertare, in sede contrattuale e di contrattazione decentrata, la possibilità di incasellare queste nuove figure all’interno delle organizzazioni. Serve una nuova visione contrattuale che riconosca formalmente i titoli acquisiti post laurea come criteri validi per il riconoscimento di specifiche attività con ruoli specifici ben definiti riconoscendone un dignitoso valore economico delle competenze.
E’ importante avviare una riflessione seria e partecipata tra Università, Ordini professionali, Direzioni generali, organizzazioni sindacali e decisori politici per ristrutturare il ruolo e la funzione dei master universitari all’interno della carriera dei professionisti della salute.
Di seguito proponiamo una serie di possibili linee di intervento:
- Mappatura dei fabbisogni reali delle organizzazioni sanitarie, per proporre percorsi formativi coerenti con i nuovi bisogni di salute della popolazione anche in virtù dell’evoluzione scientifica e tecnologica in ambito sanitario, attraverso l’attivazione di tavoli tecnici Regionali e Accademie;
- Concertazione sindacale attiva per l’inquadramento di nuove figure specialistiche all’interno dei profili del SSN.
ConclusioniLa formazione post base rimane un valore aggiunto, ma va accompagnata da un sistema capace di riconoscerla e valorizzarla. In un momento storico in cui si invoca la personalizzazione delle cure, l’innovazione e la qualità dei servizi, è indispensabile che le organizzazioni sanitarie e il sistema contrattuale si aprano a una nuova idea di professione sanitaria: competente, formata, riconosciuta.
Solo così i master universitari potranno smettere di essere titoli “sospesi” e trasformarsi in strumenti di vera crescita – per i singoli professionisti, per le organizzazioni, e per la salute pubblica.
Saverio Proia e Roberto Di Bella