Anche al detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41bis dell'Ordinamento Penitenziario, nell'ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, deve poter essere applicato l'istituto della detenzione domiciliare umanitaria o in deroga.
E' quanto previsto dalla sentenza del 5 luglio 2019 n. 29488 della Corte Suprema di Cassazione sezione prima penale, per una persona ristretta dal 2008 con fine pena nel 2033.
La Cassazione, in particolare, richiama a sostegno della sua decisione, la recente sentenza della Corte Costituzionale 99/2019 che ha stabilito la possibilità di curarsi al di fuori del carcere per i detenuti con grave infermità psichica sopravvenuta, anche se la pena supera i 4 anni.
Il Giudice dovrà valutare caso per caso le modalità più adeguate della detenzione, che non è da individuarsi necessariamente nell'abitazione, ma anche, ad esempio, in un luogo pubblico di assistenza o accoglienza.
Dovrà comunque prendere in considerazione sia la tutela della salute sia le esigenze di sicurezza collettiva.
"Si tratta di una decisione" – sottolinea a QS
Massimo Cozza, psichiatra, direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 2 - "conseguente all'attuazione del giusto principio del diritto alla salute non solo fisica ma anche psichica delle persone ristrette negli Istituti penitenziari."
"I percorsi attuativi" - ha aggiunto - "dovrebbero essere condivisi dalla Magistratura con i Dipartimenti di Salute Mentale, tenendo sempre presente che la responsabilità della psichiatria è di attuare i possibili trattamenti terapeutici riabilitativi a fronte di diagnosi appropriate. La stessa sentenza della Corte Costituzionale richiamata dalla Cassazione ha infatti sancito in virtù delle riforme legislative, “un cambiamento di paradigma culturale e scientifico nel trattamento della salute mentale, che può riassumersi nel passaggio dalla mera custodia alla terapia”.