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QS Edizioni - giovedì 18 aprile 2024

Lavoro e Professioni

Assistenza in carcere, infermieri in prima linea. Sileri: “Un problema di nicchia su cui bisogna accendere i riflettori”

immagine 17 settembre - Voluta dal Viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, si è svolta a Roma una tavola rotonda con gli infermieri membri della sezione infermieristica della S.I.M.S.Pe. Sileri: "Al centro dell'agenda di Governo un cronoprogramma sulle emergenze: carenza di medici e infermieri, retribuzioni, carceri, salute mentale, territorio". Pateri (FNOPI): "Presto un tavolo tecnico della Federazione sull'assistenza negli ambienti confinati". 
"Il problema carceri e sanità mi è sempre stato a cuore: sono nicchie su cui è necessario accendere i riflettori”. 
A dirlo è il Viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, che ha promosso, assieme alla  senatrice Bruna Piarulli, della Commissione Giustizia di Palazzo Madama, una tavola rotonda con la partecipazione degli infermieri membri della sezione Infermieristica della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (S.I.M.S.Pe. Onlus).
 
“Manca personale – ha proseguito Sileri - e al centro della nostra agenda, dell'agenda di Governo, dovremo stilare un cronoprogramma che si occupi delle emergenze: carenza di medici e infermieri, retribuzioni, carceri, salute mentale, territorio. Ad esempio, per le carceri è fondamentale organizzare ciò che poi c'è fuori per una vera riabilitazione e per un'assistenza a tutte quelle problematiche che sono subentrate con la detenzione".
 
"Il carcere è ambito fortemente patogeno - ha detto la sentarice Piarulli - e il rischio di salute è maggiore dell'ambiente extracarcerario: dipendenze,  infezioni, patologie psichiatriche, cronicità.  I detenuti fanno parte a tutti gli effetti del Snn, ma spesso chi li assiste non sono figure omogenee all'interno delle strutture come dovrebbero essere. C'è un disallineamento nel rapporto giuridico ed economico e c'è necessità di avere all'interno dei carceri dotazioni organiche precise". 
 
Durante la tavola rotonda, Pierpaolo Pateri, presidente dell’OPI di Cagliari e in rappresentanza della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, ha sottolineato che se in generale, l'infermiere è l'unica figura professionale che, occupandosi di assistenza, quotidianamente entra in contatto con il detenuto, è anche quello che corre quotidianamente  il rischio nello svolgimento del proprio lavoro: non sempre l'assistito è persona tranquilla con il quale è possibile effettuare un percorso assistenziale senza problemi e spesso l'infermiere è minacciato dal detenuto con lo scopo di ricevere farmaci non prescritti. 
 
“È fondamentale – ha sottolineato Pateri - avere una preparazione adeguata nell'affrontare un contesto lavorativo come quello presente all'interno dei penitenziari, per salvaguardare se stessi e soprattutto, cosa più difficile, per erogare un'assistenza sanitaria, e in particolare infermieristica, adeguata. Da questo punto di vista sono insufficienti gli strumenti per realizzare una formazione adatta”.
 
Pateri ha anche annunciato la decisione della FNOPI di riattivare il tavolo tecnico della Federazione per approfondire tematiche peculiari dell'assistenza infermieristica all'interno delle comunità confinate,  ma non solo, individuare criticità e fornire elementi utili agli organi nazionali e al Comitato centrale della Federazione per formulare proposte operative ma anche promuovere confronto continuo tra operatori sul piano nazionale col coinvolgimento Opi, diffondere le buone pratiche e studiare possibili soluzioni a criticità evidenziate. 
 
Da un’analisi effettuata nel 2015 proprio dalla Società italiana di Medicina Penitenziaria e Sanità Penitenziaria (SIMPSe-Onlus), su una popolazione di riferimento di quasi 100.000 detenuti transitati nelle carceri italiane, circa la metà non sapeva di essere malato; nel 60-80% dei casi era presente almeno una patologia e almeno due persone su tre erano malate, come ha rilevato  nel 2015 Sergio Babudieri, direttore scientifico Simspe-Onlus, consulente infettivologo della Casa circondariale di Sassari e direttore malattie infettive università di Sassari.
Nell’ambito della sanità penitenziaria le competenze infermieristiche sono di natura tecnico specialistica, organizzativo-gestionale e relazionale-comunicative proprie del profilo dell’infermiere e devono integrarsi con l’interfaccia organizzativa del ministero di Giustizia e il rispetto delle esigenze di sicurezza degli istituti penitenziari.
 
In questo senso gli infermieri della Simpse identificano sei aree specifiche di competenza:
 
1. rispetto dei diritti dei soggetti detenuti, riflessioni deontologiche e considerazioni etiche, transculturalità, educazione sanitaria del detenuto e gestione del counselling;
2. valutazione del profilo epidemiologico e della domanda di salute dei detenuti e analisi delle situazioni prevalenti che in penitenziario richiedono l'intervento infermieristico;
3. gestione della assistenza infermieristica nel contesto penitenziario, in relazione alla legislazione penitenziaria e alla normativa sanitaria vigente;
4. integrazione interprofessionale, abilità di mediazione e cooperazione;
5. definizione delle opportunità di cura da parte del SSN e di percorsi assistenziali negli ambiti d'intervento di promozione, prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione;
6.gestione delle terapie farmacologiche, con particolare riferimento a farmaci sostitutivi e gestione di terapie per salute pubblica comunitaria, medicina interna, odontoiatria, cardiologia, malattie infettive, oncologia.
 
In queste il ruolo dell’infermiere potrebbe manifestarsi nel programmare e garantire una corretta presa in carico del detenuto; garantire le fasi del processo assistenziale; garantire processi assistenziali applicando i principi legislativi che regolano l’ambito penitenziario; programmare e gestire l’assistenza in un contesto multiculturale; gestire problematiche assistenziali peculiari della popolazione detenuta; programmare e gestire interventi di tipo educativo e relazionale; definire e applicare le norme in materia di igiene ambientale, valutare e gestire situazioni di sanità pubblica e igiene ambientale nel contesto specifico degli istituti penitenziari; gestire le situazioni di urgenza e di emergenza, ed eventi critici.
 
Per sottolineare l’importanza dell’assistenza infermieristica in questi ambienti confinati, Pateri ha ricordato alcuni articoli del nuovo Codice deontologico che ben illustrano la volontà di prendersi cura.
 
All’articolo 3, infatti, il Codice prevede che l’Infermiere cura e si prende cura della persona assistita, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere, senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale. Si astiene da ogni forma di discriminazione e colpevolizzazione nei confronti di tutti coloro che incontra nel suo operare.
 
Ed è essenziale accanto a questo la prescrizione dell’articolo 4: “Nell’agire professionale l’Infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali. Il tempo di relazione è tempo di cura”.
 
Il tutto, visti gli argomenti affrontati e le soluzioni possibili, supportato dall’articolo 7 dove si stabilisce, appunto, che l’Infermiere promuove la cultura della salute favorendo stili di vita sani e la tutela ambientale nell’ottica dei determinanti della salute, della riduzione delle disuguaglianze e progettando specifici interventi educativi e informativi a singoli, gruppi e collettività.
 
“Anche confinate ovviamente”, ha sottolineato Pateri.
17 settembre 2019
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