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QS Edizioni - giovedì 28 marzo 2024

Lettere al Direttore - Lazio

Risarcimenti. Cosa si può fare per scoraggiare le liti temerarie e le intimidazioni

di Arnaldo Capozzi
Gentile Direttore,
in questi ultimi anni, in Senato, è stata discussa la problematica riguardante la tutela dei giornalisti. Contestualmente al sopraggiungere della situazione emergenziale determinata dalla pandemia da Covid-19, tutto si è apparentemente arenato. Le proposte di alcuni nostri Senatori (che oggi ritroviamo di nuovo alleati) riguardante la categoria dei giornalisti potrebbe comprendere anche la categoria professionale dei sanitari.

L’articolo 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha introdotto il comma terzo dell’art. 96 c.p.c. in cui si prevede che, in ogni caso, il giudice, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91 può condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

A partire dal 28 ottobre 2014, data in cui è si è provveduto all’esame in Senato del disegno di legge n. 1119-B - recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione con il mezzo della stampa – è iniziata a maturare l’idea di una maggiore tutela ex lege anche sul piano civilistico della professione di giornalista.
Di lì a poco tempo infatti è stata avanzata l’innovazione in un disegno di legge consistente sostanzialmente nel fissare nelle ipotesi di temerarietà della lite, in tema di risarcimento per diffamazione a mezzo stampa, un parametro preciso in grado di orientare il giudice nella sua valutazione equitativa ai sensi dell’art. 96, III co. c.p.c., risultante nella liquidazione di una somma non inferiore alla metà dell’oggetto della domanda risarcitoria.

La ratio della previsione della proposta normativa è evidentemente quella di scoraggiare eventuali domande risarcitorie non solo infondate ma anche palesemente esorbitanti, di natura intimidatoria nei confronti del giornalista.

Nel disegno di legge d’iniziativa dei senatori Di Nicola ed altri si legge all’articolo 96 del codice di procedura civile, dopo il primo comma è inserito il seguente: «Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche online o della radiotelevisione, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del richiedente di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria».

La Commissione, esaminato il disegno di legge nel dicembre 2019, espresse, per quanto di competenza, parere non ostativo aggiungendo una modifica « … il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del convenuto di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore ad un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria».

Qualora la tematica fosse ripresa, all’articolo 96 del codice di procedura civile, dopo il primo comma si potrebbe inserire “commesso nell’esercizio medico”: «Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche online o della radiotelevisione o commesso nell’esercizio medico, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per il risarcimento del danno, il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del convenuto di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore ad un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria».

Quanto vale per la categoria dei Giornalisti altrettanto si potrebbe dire per quella dei Medici ovvero: è necessario scoraggiare eventuali domande risarcitorie non solo infondate ma anche palesemente esorbitanti, di natura intimidatoria. Si tratta di fissare un criterio certo ed univoco per la determinazione del quantum della condanna equitativamente disposta dal Giudice per la temerarietà della lite ex art. 96 cpc, norma già vigente nell’Ordinamento.

La stessa Corte Costituzionale, peraltro, con la recentissima pronunzia num.139/2019  ha riconosciuto la legittimità dell’articolo 96 co.3 cpc sul presupposto che i criteri per la liquidazione della condanna per la temerarietà della lite sono stati specificati dall’attività maieutica della giurisprudenza che ha definito quindi il precetto legale.

A rigore, quindi, si potrebbe ritenere, almeno in astratto, legittima una disposizione di legge che preventivamente determini l’ammontare del risarcimento. Nell’ipotesi, poi, del contenzioso in materia di responsabilità professionale medico - sanitaria, personalmente ritengo una siffatta legge una notevole opportunità. Basti pensare che, statistiche alla mano, il medico risulta vittorioso nella maggior parte dei contenziosi civili e che esistono le domande palesemente infondate. Queste ultime azioni giudiziarie trovano, evidentemente, il proprio presupposto su di una perizia medico-legale compiacente, spesso non accompagnata dalle specifiche competenze tecniche richieste per il fatto esaminato.

Non è un caso che la Corte di Cassazione con la sentenza 1600/2021, abbia confermato la violazione deontologica dell’art. 62 codice deontologico dei medici, da parte del perito, medico-legale, che nell’espletamento dell’incarico ricevuto, non si sia avvalso della comprovata esperienza e competenza di un medico specialista nella disciplina coinvolta.

Se il Legislatore assumesse consapevolezza di questi cambiamenti, si potrebbe compiere un ulteriore passo in avanti verso la deflazione del contenzioso  paziente / medico.

Arnaldo Capozzi
Medico, Roma
13 aprile 2021
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