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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Lettere al Direttore

Quale vaccino per la salute mentale?

di Pasquale Califano
7 novembre -

Gentile Direttore,
la salute mentale, diversamente da altri comparti della medicina e della salute pubblica in generale, non richiede ingenti e sofisticate risorse strumentali. Oggi, la scelta di destinare delle risorse in specifici ambiti, piuttosto che in altri, ovviamente nel campo della salute mentale, fa notevolmente la differenza.

Pensare esclusivamente in termini di organizzazione, strategie aziendali e o protocolli attuativi, può diventare un problema serio, sia per coloro che ricevono prestazioni sia per coloro che le erogano, se non valutato (l’intero impianto) con attenzione e, prima di tutto, se non è doverosamente ancorato al bagaglio di esperienze e conoscenze teoriche, tecniche e cliniche acquisite fino ad ora (da più di un centinaio d’anni).

Altresì, se non attentamente valutato (interrogandosi spietatamente!) in che modo un tipo di organizzazione è al servizio del paziente e non esclusivamente a favore (in modo difensivo) dello stesso Istituto. I noti avvenimenti di cronaca, che coinvolgono oramai spesso le istituzioni e le strutture sanitarie, dovrebbero indurre gli addetti ai lavori a volgere uno sguardo al passato - che non va negato in nome di un fantomatico e idealizzato futuro "iper scientifico" - dove non è relegato soltanto l’impietosa e lunga stagione manicomiale, ma dove si può attingere ad un ricco patrimonio fatto di notevoli contributi scientifici che attendono di essere sapientemente utilizzati.

Faccio notare che, sebbene esista una vasta letteratura circa il rapporto tra ‘istituzione e salute mentale’, a partire dagli anni ‘70, (si legga per es. (1971). Rivista Psicoanal., (17)(1):67-81 "Approccio semeiologico all'istituzione psichiatrica" di Dario De Martis and Fausto Petrella) capace di gettare un po’ di luce sull’ intrigante, articolato e poderoso complesso funzionamento mentale gruppale (o di un organizzazione), non si sfrutta adeguatamente e ci si adagia all’uso di "modalità strategiche" spesso rassicuranti , però, disumanizzanti . Invece, essa se tradotta in prassi potrebbe fornire l’arma per fare una seria prevenzione ai conflitti, alle forti e gravi tensioni, che spesso si trasformano in atti di violenza, in una comunità , in reparti ospedalieri per pazienti psichiatrici etc!

Ci si accorge, soltanto in queste occasioni, che i protocolli standard, le strategie superficialmente adottate, solo apparentemente tranquillizzanti, evaporano, perdendo dunque di consistenza, lasciando sgomento e miseria.

Quando capita ciò, la domanda da porsi non dovrebbe essere: "ma cosa non ha funzionato da un vertice organizzativo …? Oppure "ma quale protocollo non è stato osservato? Ma, invece: "cosa è successo nella mente dell’operatore sanitario o più di uno (un gruppo) da spingere a perdere la necessaria sensibilità ricreando, inconsapevolmente e progressivamente, tutte quelle condizioni che hanno riprodotto un clima manicomiale?"

Malgrado l’imperante necessità di affrontare la questione da un vertice psichico e soprattutto in una cornice interpersonale e intersoggettiva, la spiegazione di questi fenomeni, tuttavia, glissa e prende la stessa comune piega, ubbidendo ad uno "schema pre-stabilito", mostrandosi, e venendo accolta, per ciò che sembra ma non per ciò che è. Di solito (leggo) questi problemi sono attribuibili o riconducibili alla mancanza di fondi, ad aspetti di natura organizzativa ed altro. Può anche darsi che i motivi sono questi, ma, a mio avviso, ci andrei molto cauto ad attribuire tutto a questo!

Si trascura un elemento fondamentale (che desidero mettere in risalto e suggerire) che dovrebbe essere preso in seria considerazione, che potrebbe fare la differenza tra un buono e/o un cattivo funzionamento dell’istituzioni sanitarie che si occupano della salute mentale: la formazione dell’operatore sanitario. Gran parte del budget dovrebbe essere destinato soprattutto a quest’ambito. Una formazione assai diversa da quelle che notoriamente vengono, però, offerte e svolte.

Parlo di un tipo di formazione ancora di "nicchia" per pochi perché ritenuta poco o per nulla importante dalle istituzioni (tralascio altre motivazioni che risiedono a livelli più profondi). Una formazione che ha come obiettivo la tutela della salute mentale dell’operatore sanitario e contemporaneamente dell’ assistito.

Vengo al punto. Purtroppo, è ancora poco riconosciuto il ruolo fondamentale di un'analisi personale (individuale e/o di gruppo). È ancora troppo ignorato che durante la relazione con i pazienti psichiatrici molto gravi vengono necessariamente attivate angosce psicotiche; se non sono affrontate in modo esaustivo attraverso l'analisi personale, possono creare confusione e provocare un blocco nella relazione, oltre che gravi tensioni e addirittura il crollo dell’ operatore sanitario.

Questo tipo di paziente spesso proietta con violenza i propri sentimenti e problemi, e un operatore che tema tale contatto potrebbe a sua volta finire gravemente disturbato nel corso dei suoi tentativi di assisterlo. L'angoscia più frequente, anche se spesso inconscia, è quella di essere portato alla follia dal paziente. E per questo motivo che l' operatore deve sottoporsi a un'analisi personale particolarmente approfondita, il che ovviamente comporta la messa a nudo delle sue aree psicotiche, affinché le angosce e le difese psicotiche possano essere elaborate in misura sufficiente buona durante il periodo di formazione.

Talvolta potrà rendersi necessaria anche una seconda analisi, una terza…. Se l’operatore ha conflitti psicotici scissi o repressi, pur sentendosi ottimamente a livello conscio, tenderà a essere insensibile o sulle difensive; inevitabilmente il paziente percepirà, consciamente o Inconsciamente, i disturbi presenti nell’operatore e reagirà di conseguenza o interagirà con essi.

Esiste inoltre il pericolo che il contatto con pazienti gravi stimoli e attivi il conflitto latente nell’operatore. Per esempio, le tendenze a svolgere una funzione onnipotente e onnisciente possono essere notevolmente esasperate sfociando in forme di violenza. Dobbiamo renderci conto che, nel trattare questi pazienti (ancor più di quanto avvenga normalmente con altre psicopatologie meno gravi ), i principali strumenti di lavoro sono la nostra personalità, e perciò la nostra salute mentale è un fattore di estrema importanza sulla quale necessariamente bisogna investire. Solo in questo modo si può reagire al paziente con empatia, ma senza lasciarci coinvolgere eccessivamente, e mostrarsi sensibili, ricettivi, ma senza essere sopraffatti dalla sua proiezione.

È fondamentale considerare (aldilà dei diversi orientamenti e modelli di riferimento o delle diverse posizioni teoriche e, a volte, ideologiche) l’analisi personale come una forma di protezione contro quegli "impetuosi, silenti e catastrofici movimenti emozionali" al pari (considerato da un vertice biologico) della vaccinazione anti Covid alla quale tutti gli operatori sanitari devono sottoporsi per tutelare la propria e l’altrui salute fisica.

Ultima nota. Se poi destinassimo grandissima parte del budget all’infanzia, all’adolescenza e alla famiglia, mettendo in opera una massiccia capacità di prevenzione, potremmo addirittura evitare che una persona diventi un paziente psichiatrico, perché una delle psicopatologie più grave e severa , la psicosi, nasce proprio nella prima se non addirittura nella primissima infanzia. La destinazione delle risorse fa enormemente la differenza!

Dr. Pasquale Califano
Psicoanalista Infantile
Psicoterapeuta specialista in Infanzia, Adolescenza e Famiglia
Membro Ordinario dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile

7 novembre 2022
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