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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Lettere al Direttore

Controllo della sofferenza, una valutazione di civiltà

di Marco Ceresa
7 marzo -

Gentile direttore,
storicamente viene considerata, come valutazione positiva di una civiltà, la devozione riservata ai defunti. Ora, sarebbe ora anche di considerare come misura di maggior civiltà, il trattamento riservato ai sofferenti, includendo certamente i morenti, ma anche coloro che patiscono cronicamente.

Purtroppo appare invece impietoso il recente rapporto Ocse, “Time for Better Care at the End of Life”, che svela una situazione grave “in tutti i paesi dell'OCSE l’accesso tempestivo ad adeguate cure di fine vita per alleviare i sintomi per le persone con malattie terminali come dolore, dispnea e angoscia, è basso: è infatti meno del 40% la percentuale di chi riceve cure palliative, percentuale che in Italia scende intorno al 35%” (). Temo che dati analoghi, se non peggiori, potrebbero trovarsi relativamente al controllo della sofferenza in generale.

Pertanto anche in Italia, nonostante normative che dovrebbero essere all’avanguardia (l. 38/2010 e seguenti atti evidentemente non abbastanza efficaci), occorre prendere atto di un quadro complessivo sconfortante, pur non mancando certamente luminosi esempi di ottime cure palliative (CP), territorialmente localizzate. Infatti nel 65% dei casi la sofferenza del fine vita resterebbe NON adeguatamente lenita. In tali casi il morente dovrà fare i conti con la fase finale della vita e con sé stesso, senza la serenità necessaria ed in preda a sofferenze inutili, che potranno portare anche i familiari vicini, a vivere un successivo lutto patologico talora anche grave (con possibile impatto sulle generazioni future). Un buon controllo della sofferenza nel fine vita è anche medicina preventiva per chi resta …

Nel rapporto Ocse viene sottolineato anche che “uno dei nodi da sciogliere è quello della scarsa conoscenza sulle CP da parte del personale sanitario in generale, che spesso può rappresentare un ostacolo all’accesso a queste cure da parte di molti pazienti.”

È stigmatizzata la carenza nella formazione in CP del personale, per l’assenza di corsi obbligatori di CP nel corso di laurea in medicina, ma è anche evidenziata la grave carenza formativa in CP del personale che lavora nelle lungodegenze, inferiore al 20%.

Questo è senz’altro anche un gap culturale che cela una vera e propria diffidenza verso l’attivazione di CP precoci, erroneamente viste come “abbandono terapeutico” e non come necessaria simultaneità, a beneficio della qualità di vita del malato ed anche della miglior risposta terapeutica a cure eziologiche (per la riduzione del distress da sintomatologie non controllate, che erodono inutilmente la riserva funzionale residua).

Uno dei modi per superare questo impasse potrebbe essere quello di implementare, in ogni setting sanitario, la “cura della sofferenza” al di là della fase di malattia e della sua prognosi, per gestire sia la sofferenza legata alle fasi finali di vita, che quella delle fasi precoci o cronica, che, se non controllata, può deteriorare una vita intera.

Probabilmente, vista anche la grave carenza di personale medico, ben difficilmente sanabile nel breve termine, sarebbe necessaria l’unione od almeno la vera sinergia, di tutti coloro che si occupano del soffrire, in primis Cure Palliative e Terapia del Dolore (cronico e non).

Il nodo ospedaliero delle reti di cura, inclusivo sia del regime di ricovero che di quello ambulatoriale e consulenziale specialistico, resta fondamentale per una diagnosi precoce dei bisogni del malato relativi a qualsiasi stato di sofferenza legato o meno a molteplici patologie in varie fasi di evoluzione delle stesse; solo potenziandolo si potrà individuare precocemente il paziente da indirizzare verso prese in carico territoriali adeguate, limitando ospedalizzazioni ulteriori.

Sarebbe auspicabile che le tematiche relative al miglior controllo della sofferenza, vengano riprese dall’attuale parlamento, visto che in precedenza avevano spesso ottenuto l’accordo di tutte le parti politiche, come accadde ad esempio per quella mozione voluta dall’On Trizzino nel 2021, che impegnava il governo “a garantire un servizio di cure palliative ambulatoriali e di consulenza per ogni ospedale di base ed un hospice ospedaliero per ogni presidio ospedaliero di primo livello”. A tal fine si spera che si riprenda in mano anche la necessaria modifica, iniziata dal precedente governo, del “regolamento degli standard ospedalieri”, DM 70/2015, che aveva escluso proprio le CP dagli ospedali (vulnus poi solo teoricamente sanato dai LEA del 2017 con l’art 38 comma 2 volto a garantire le CP e la terapia del dolore durante i ricoveri ordinari, ancora in attesa di decreti attuativi …).

Marco Ceresa
Medico

7 marzo 2023
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