8 settembre -
Gentile Direttore,sembra che l’attenzione dei decisori politici, specie a livello regionale, sullo stato della sanità italiana sia monopolizzata, ancora una volta, dalla questione del numero chiuso al Corso di Laurea in medicina e Chirurgia, di cui si parla tanto, e troppo, come fosse IL PROBLEMA su cui agire subito e concentrarsi. Numero chiuso che rischia di trasformarsi da sbandierato esempio di diritto allo studio negato in sicura illusione di diritto allo studio, una soluzione facile a un problema complesso. Peccato sia sbagliata.
Che poi le modalità di selezione e i contenuti dei test di ingresso alla Facoltà di Medicina siano da rivedere ci trova assolutamente concordi, ma questa è tutta un'altra storia e concordiamo sulla stretta necessità di rivedere urgentemente le modalità di selezione.
Tra l’altro, esistono troppe inesattezze in una narrazione che assume spesso l'aria di un proclama populistico.
Proviamo, a fare chiarezza.
1. In anni lontani (Legge 02/08/1999, n. 264) nel nostro Paese si decise in seguito a pressioni da parte della comunità europea, di introdurre un numero programmato di accessi a Medicina, da stabilire anno per anno in base alle necessità del sistema sanitario, vista la pletora di iscritti e le conseguenti difficoltà a garantire una qualificata didattica teorica e pratica. A differenza della vulgata, quindi, il numero di accessi a medicina nel nostro paese non è mai stato chiuso, bensì programmato di volta in volta in base alle mutevoli esigenze di cura. O meglio, così avrebbe dovuto essere. Che poi i vari governi non siano stati all’altezza del compito, arrendendosi alle esigenze contabili, è sotto gli occhi di tutti, con i risultati che viviamo. Perciò, confondere l’incapacità di programmazione con la negazione del diritto allo studio ci sembra improprio e scorretto.
2. Oggi si dice che mancano medici, anche se i dati rivelano che siamo nella media OCSE in rapporto al numero di abitanti. Il fatto è che mancano medici intesi non come laureati in medicina e chirurgia, ma come specialisti, soprattutto in alcune discipline. E non perché ci siano pochi laureati o pochi contratti di formazione specialistica, visto che 'grazie' agli ultimi due ministri nel giro di un triennio i posti a medicina sono aumentati del 30% e quelli nelle scuole di specializzazione sono raddoppiati, ma perché il SSN, e il lavoro ospedaliero, non è più appetibile, avendo perso negli anni il ruolo di destino naturale di 6 anni di studio. Se il problema, ancora una volta, è la qualità del lavoro pubblico, insistere sul numero di accessi è come guardare il dito che indica la luna e non la luna stessa.
3. Un recente studio Anaao ha posto in evidenza come dal 2025-2026 la gobba pensionistica si avvii all’esaurimento, facilitando il raggiungimento dell’equilibrio tra numero di specialisti che possono entrare nel mondo del lavoro e numero di specialisti medici che ne usciranno. Al netto dell’aumento degli occupabili, conseguenza dell’estensione del Decreto Calabria al secondo anno di iscrizione al corso di specializzazione e del boom di contratti di formazione specialistica registrato dal 2019 in poi.Il punto è che non è scontato che questa accresciuta platea resista alle sirene del privato o dei Paesi arabi, se non si rende concorrenziale, per condizioni e retribuzioni, il lavoro nel Ssn.
4. Aprire oggi il numero programmato a medicina, vorrà dire non solo raggiungere i risultati millantati tra 11 anni, quindi a futura memoria e senza avere niente a che vedere con le “soluzioni prontamente attuabili e idonee ad affrontare nell’immediato la carenza di personale sanitario” chieste dalle regioni. Ma anche rinnovare i fasti della pletora medica degli anni 80, fornendo al mercato sanitario forza lavoro a basso costo e con un potere contrattuale azzerato. Il trionfo del lavoro precarizzato e a cottimo, ma con retribuzioni e diritti molto più bassi di oggi. Che sia questo il vero obiettivo celato dietro l’apologia del diritto allo studio?
5. Posto che si voglia seguire il modello francese, oggetto di ripensamenti nella stessa Francia, ovvero che si accettino 70.000 studenti al primo anno per rinviare la selezione al secondo, occorre dare risposta a due interrogativi elementari. Come faranno le università, che hanno problemi di organico non molto differenti da quelli del SSN visto che già oggi lamentano una carenza di docenti e infrastrutture, a soddisfare le esigenze formative di un corso di studi fondamentalmente pratico? Si insegnerà attraverso il metaverso? O sorgeranno ologrammi di docenti che si agiteranno in cinema e palazzetti dello sport reclutati alla occorrenza?
E poi, che fine faranno gli studenti (80% in Francia) che non superano lo sbarramento al secondo anno? Perderanno un anno? O saranno dirottati, loro malgrado, su un binario di seconda scelta?
Troppi gli interrogativi per non pensare che dietro talune proposte non ci sia la volontà di assestare il colpo di grazia a una professione da tempo in crisi e a un sistema sanitario in stato preagonico perché definanziato e marginalizzato rispetto alle scelte della Politica.
Il problema non è solo di chi oggi sta, male, dentro il sistema, ma di chi ci dovrà entrare prossimamente per garantire il disposto dell’articolo 32 della Costituzione. Ci auguriamo che i giovani non si facciano illudere da una proposta che mira solo a distogliere l'attenzione dai reali problemi del mondo del lavoro nella sanità pubblica di oggi, uno specchietto per le allodole che prepara per loro un futuro da sottooccupati se non disoccupati.
Insomma, l’abolizione del numero programmato a Medicina e Chirurgia è un provvedimento sbagliato, incapace di rispondere alla grave criticità attuale perché temporalmente sfasato, foriero di ulteriore spesa per la necessità di aumentare parallelamente gli investimenti nella formazione post laurea, per assicurare che per ogni laureato sia disponibile un contratto di formazione specialistica o una borsa di formazione in medicina generale.
Condizioni di lavoro, stipendi, depenalizzazione atto medico, una spesa sanitaria ultima tra i Paesi del G7 di cui ci accingiamo ad assumere la Presidenza, investimenti in risorse umane, ruolo sociale e politico dei professionisti: questi sono problemi che gradiremmo venissero affrontati con la stessa verve con cui si propaganda l’abolizione del numero programmato, nel nome di un diritto allo studio che troppo somiglia a una pura illusione se non a un’arma di distrazione di massa.
Pierino Di SilverioSegretario Nazionale Anaao AssomedGiammaria LiuzziResponsabile Nazionale Anaao Giovani