11 settembre -
Gentile Direttore,a seguito dei fatti accaduti all’ospedale di Foggia, vi sono stati diversi interventi sul tema della sicurezza degli operatori. Tra le proposte una sorta di “Daspo sanitario”, la richiesta di rendere più facili gli arresti, di mandare l’esercito arrivando a minacciare di chiudere gli ospedali. Siamo arrivati ad un punto molto grave. Proprio per questo occorre provare ad abbozzare un’analisi.
Pare evidente che la risposta al problema non può essere costituita solo dalle pur necessarie richieste di un pronto intervento delle Forze dell'Ordine, dalle denunce e dall’incremento delle pene. Interventi che sembrano tardivi e non paiono avere un effetto dissuasivo. Temo vadano nella stessa direzione misure come il “Daspo sanitario” cioè rendere a pagamento prestazioni non urgenti. Il che vorrebbe dire, tra l’altro, aumentare la platea degli esclusi dalle cure come se la salute non fosse un bene relazionale.
Credo occorra ripartire dalla riformulazione del patto sociale ponendo l’attenzione sulla questione della verifica dell’accesso al sistema di welfare pubblico universale che non è gratuito come frutto di una indefinita beneficenza ma pagato dalle tasse dei cittadini, che così si assicurano reciprocamente il diritto alla salute, condividendo benefici e rischi. Anche quelli che in un’ottica diversa, privatistica, non verrebbero assicurati come ad esempio i danni da fumo o lo sarebbero con premi molto elevati.
Ai cittadini viene dato il messaggio che il sistema pubblico sia gratuito sia nel momento dell’erogazione delle attività e sia per quanto attiene le entrate necessarie per sostenere le spese. Un approccio che deresponsabilizza una parte dei cittadini e li rende titolari di soli diritti, esigenti e rivendicativi. Non partecipi di un patto sociale al quale contribuire attivamente, secondo le proprie possibilità. Su questo potrebbe essere utile una riflessione su flat tax, evasione ed elusione fiscale, in altre parole su equità e le fratture del patto fiscale. Senza questi impegni di fondo viene minata alla base l’idea stessa di servizio pubblico.
La via del recupero al Servizio Sanitario della dovuta compartecipazione è una strada da intraprendere subito e con forza verificando i titoli di accesso. Viene fatto per molto meno nell’utilizzo del patrimonio pubblico, basta parcheggiare nelle righe blu per rendersene conto.
L’uso del servizio sanitario richiede un’educazione dei cittadini. Se uno compra un elettrodomestico trova le istruzioni in più lingue, se una persona accede ad una organizzazione così complessa, specializzata e articolata come il Servizio Sanitario lo fa con poche informazioni. In questo modo viene sprecata la prima grande risorsa che è l’apporto dei cittadini all’autocura, autodeterminazione e uso appropriato delle risorse. La carente cultura sanitaria si vede nei tassi di adesione alle vaccinazioni e agli screening oncologici, agli sprechi di farmaci e richieste di esami e visite.
Insegnare ad usare il servizio, educare a corretti stili di vita, all’uso appropriato dei farmaci, ai corretti iter diagnostici e alle relative terapie significa promuovere cittadini competenti e responsabili.
Certo serve tempo ma verificare i titoli di accesso ed educare all’uso dei servizi evidenziando l’apporto del cittadino e della comunità alla salute rilanciando la cultura del servizio pubblico può consentire di uscire dalla logica prestazionale, della pretesa, della incapacità a tollerare l’insuccesso e purtroppo anche la morte. A questo possono contribuire i media con una comunicazione equilibrata, che eviti scandalizzazione, “malasanità” ma anche la medicina “miracolistica”.
La sanità è una casa di vetro: il medico vive tra burocrazie, controlli interni, NAS, guardia di finanza, possibili cause risarcitorie, magistratura, i possibili danni erariali, richieste di cartelle e documentazione… tutti elementi, probabilmente enfatizzati, che possono creare un vissuto di insicurezza e spesso di solitudine rispetto a direzioni distanti e una normativa ambigua per la quale anche nel pubblico occorre avere un’assicurazione privata. Sono questi non detti che si aggiungono all’ingratitudine, alla svalutazione del ruolo del medico e che richiedono una ricostituzione del patto professionale e dell’immagine pubblica del lavoro in sanità.
La costruzione della sicurezza è un processo che richiede un insieme di interventi coordinati e continuativi come ricorda il Ministero della Salute nel "Protocollo per il Monitoraggio degli Eventi Sentinella". “L'evento può essere dovuto a scarsa vigilanza, sottovalutazione dei pazienti a rischio di compiere aggressioni fisiche, difficoltà relazionali tra operatori e utenza. Il riconoscimento dell'evento è importante per procedere alla definizione di interventi sotto il profilo organizzativo e logistico, per la revisione dei protocolli in uso e avviare un'attività di formazione". Viene fatto? Poi piove sul bagnato quanto a dotazione di personale, composizione dei turni, i presidi individuali di sicurezza, vie di fuga, la possibilità di chiedere aiuto anche con le nuove tecnologie. Occorre eliminare i passaggi bui, presidiare le sedi isolate, evitare il lavoro individuale e solitario, decongestionare gli spazi sovraffollati.
Occorre organizzare il lavoro per ridurre i tempi di attesa e rassicurare con specifici operatori coloro che stanno attendendo. E’ necessario farsi carico dei bisogni di cura mediante l'ascolto e la responsabilità ed un'adeguata formazione alla gestione delle relazioni e dei comportamenti problema, riducendo lo stress del personale e favorendo il lavoro di gruppo e almeno in coppia.
Va vietato l’ingresso con armi, coltelli ed altri oggetti pericolosi facendo adeguati controlli all’accesso. Non bastano gli istituti di vigilanza privata ma occorre investire in figure professionali diverse, non deputate a proteggere beni materiali ma a relazionarsi con le persone. Nell’accoglienza, orientamento e vigilanza si può coinvolgere il volontariato. In un clima sociale di tensione, rabbia e intolleranza è importante dare esempi di gentilezza, moderazione, mediazione e rispetto reciproco.
Infine diversi problemi e crisi familiari, sociali riverberano in sanità, nei PS e nei servizi di salute mentale e dipendenze. Le difficoltà familiari, educative, economiche, i problemi dei giovani, senza tetto, l’uso di droghe e alcool e l’antisocialità…. hanno visto una progressiva e impropria “sanitarizzazione”. Un miglioramento della risposta di comunità ai problemi sociali e familiari può aumentare salute e sicurezza.
La solidarietà a parole non basta servono atti concreti, contratti e riconoscimenti economici adeguati, indennità per il personale creando condizioni attrattive per i giovani.
Pietro PellegriniDirettore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma