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QS Edizioni - mercoledì 4 dicembre 2024

Lettere al Direttore

Quando il danno in sanità non è di ordine medico

di Fernanda Fraioli
immagine 30 ottobre -

Gentile direttore,
la disciplina generale dettata dall’art. 15 septies del D. Lgs. n. 502/1992 in materia di contratti a tempo determinato e con rapporto di lavoro esclusivo, era chiara. Eppure, il Direttore Generale e quello Sanitario, hanno causato all’Azienda Sanitaria Provinciale di appartenenza un danno di € 775.370,98 per aver conferito illegittimamente la nomina e la conferma del Direttore Amministrativo e aver adottato provvedimenti di proroga di cinque incarichi dirigenziali conferiti a soggetti estranei all’Amministrazione.

Come, altresì, chiaro era l’art. 3, co. 1 quinquies e 7 del D. Lgs. n. 502/1992, laddove dispone che il Direttore Sanitario partecipa, unitamente al Direttore Generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'azienda, assumendo diretta responsabilità delle funzioni attribuite e concorrendo, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della Direzione Generale.

Non a caso il Direttore Generale aveva sottoscritto la deliberazione e il Direttore Sanitario aveva reso sulla stessa un parere favorevole “con osservazioni” a riprova che il parere reso sulla deliberazione di proroga degli incarichi dirigenziali rientrava senz’altro nelle competenze di quest’ultimo, perché si trattava sia di materia del personale, sia di attività volte ad accertare una riduzione di posti letto e degli altri presupposti incidenti sui LEA.

Eppure, in sede di giudizio d’appello, il Direttore Sanitario ha eccepito l’assenza di incidenza causale della propria condotta, ritenendo di essersi soltanto rimesso alle richieste determinazioni del Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie e al parere preliminare fornito dal Collegio Sindacale.

A nulla valendo, però, in quanto il Collegio giudicante ha ritenuto piena tale incidenza causale nell’assunzione della citata deliberazione che, sia nella parte inziale sia nel corpo, riporta prima del contenuto dispositivo, il riferimento all’acquisizione del parere, circostanza per la quale i giudici sono giunti alla conclusione che il Direttore Sanitario è tenuto ex lege a fornire supporto decisionale al Direttore Generale e che quest’ultimo non avrebbe firmato la delibera senza il parere positivo del Direttore Sanitario che, peraltro, era a conoscenza delle possibili situazioni di illegittimità, tant’è che l’efficacia sia della deliberazione che del parere, risultavano condizionati alle determinazioni regionali.

Tanto premesso, veniamo alle specifiche del caso.

Ad attivare il giudice contabile sono state due note di provenienza sindacale, con cui si lamentava l’asserita illegittimità dei provvedimenti di nomina, nonché la trasmissione del fascicolo penale dalla parte della locale Procura della Repubblica e la segnalazione di danno erariale da parte della Guardia di Finanza.

La conclusione del giudizio è stata di condanna in quanto ritenuto sussistente, a carico di entrambe le parti (Direttore Generale e Sanitario), l’elemento soggettivo della colpa grave dal momento che la proroga dei contratti di conferimento di incarichi dirigenziali non risultava supportata né da specifiche disposizioni normative, né da adeguati presupposti motivazionali.

Sul piano normativo, la legge finanziaria 2013 consentiva alle Amministrazioni Pubbliche di prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in essere al 30 novembre 2012 e che superavano il limite dei 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, dapprima sino al 31 luglio 2013 e poi, in seguito alla modifica apportata, soltanto sino al 31 dicembre 2013.

Nello specifico, numerosi pareri e molteplici interlocuzioni sono intervenute con l’Amministrazione Regionale che segnalavano come non emergesse affatto la possibilità di “prorogare” sic et simpliciter tali contratti, né può reputarsi sufficiente, ai fini motivazionali, l’astratto riferimento alla necessità di garantire i LEA, seppure richiamati dalle direttive ministeriali, dovendosi, invece, motivare, in via specifica, le ragioni che inducevano a tale proroga, risolvendosi, altrimenti, il semplice riferimento ai LEA, in una mera affermazione di principio palesemente elusiva della disciplina vincolistica in materia di personale.

Senza contare che alla data di assunzione della delibera, gli incarichi dirigenziali in questione, erano oramai cessati e che, con note sottoscritte anche dai due Direttori, era stata comunicata agli interessati la anomala “sospensione” dei rapporti di lavoro.

È risultato, allora, evidente che, trattandosi di rapporti lavorativi oramai cessati, non di proroga potesse trattarsi, ma eventualmente, del conferimento di nuovi incarichi dirigenziali e quindi di nuove assunzioni.

Ma i due Direttori erano anche perfettamente al corrente che la Regione era sottoposta a piano di rientro, con conseguente assoggettamento al divieto di effettuare spese non obbligatorie ed al “blocco del turn over”, a pena di nullità dei contratti eventualmente stipulati, come sancito dall’art. 1, co. 174, della L. 30 dicembre 2004 n. 311.

Come anche erano edotti che vigeva in merito una disciplina derogatoria (dettata dall’art. 1, co. 23 bis, del D.L. 13 agosto 2011 n. 138) la quale prevedeva, però, specifici iter procedurali che coinvolgevano anche appositi interventi ministeriali, proprio in considerazione della necessità di garantire l’osservanza degli obiettivi di finanza pubblica di contenimento della spesa del personale sanitario e non sanitario.

Infatti, per le Regioni sottoposte ai piani di rientro a cui era applicato il blocco automatico del turn over del personale del SSR, con DM della Salute, di concerto con il MEF, sentito il Ministro per i rapporti con le Regioni e per la Coesione Territoriale, su richiesta della Regione interessata, poteva essere disposta la deroga a detto blocco, previo accertamento, in sede congiunta, da parte del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei LEA e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, (come da intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005) e sentita l'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, della necessità di procedere alla suddetta deroga al fine di assicurare il mantenimento dei LEA, il conseguimento di risparmi derivanti dalla corrispondente riduzione di prestazioni di lavoro straordinario o in regime di autoconvenzionamento, nonché la compatibilità con la ristrutturazione della rete ospedaliera e con gli equilibri di bilancio sanitario, come programmati nel piano di rientro, ovvero nel programma operativo e ferma restando la previsione del raggiungimento dell'equilibrio di bilancio.

Parimenti, l’art. 4 bis del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, convertito dalla L. 8 novembre 2012 n. 189, recava una normativa derogatoria consentendo alle Regioni nelle quali era intervenuto per l'anno 2012 il blocco automatico del turn over, di disapplicarlo nel limite del 15 % ed in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei LEA, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani avessero accertato il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi.

La disapplicazione doveva, quindi, essere disposta con decreto ministeriale del MEF, di concerto con il Ministro della Salute e con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport.

La normativa vigente all’epoca dei fatti, prevedeva la possibilità di prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato soltanto per il personale sanitario, ivi compresi i dirigenti, in connessione alla necessità di garantire la costante erogazione dei servizi sanitari ed il rispetto dei LEA precisando che la proroga dei contratti non costituiva nuova assunzione.

I limiti così posti dal legislatore risultavano in piena assonanza con quanto affermato dalla Corte costituzionale, in merito ad una loro iscrizione in un quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni dell’assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario.

Da ultimo, ma non certo per ordine di importanza, va considerato che l’art. 15, co. 13, lett. c), del D. L. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, non consentiva il conferimento ed il rinnovo degli incarichi dirigenziali di cui all’art. 15 septies del D. Lgs. n. 502/1992 fino all’avvenuta realizzazione del processo di riduzione dei posti letto e delle corrispondenti unità operative complesse.

Ed i due Direttori non potevano, per la specifica rilevanza della funzione ricoperta, non avere la piena conoscenza della normativa in materia di cui, in ogni caso, conoscevano posto che era stata espressamente illustrata dal parere ministeriale relativo ad analoga e precedente delibera che presentava simili criticità ed irregolarità e che, nel corso dell’iter procedurale finalizzato all’adozione, il competente Dipartimento Regionale Tutela della Salute aveva trasmesso quale “contributo interpretativo”, proprio il predetto parere con espresso invito ad attenervisi.

Quindi, dal momento che alcuna applicazione derogatoria prevista da detta normativa risultava essere stata seguita e che, in ogni caso, quattro contratti, conferiti ai sensi dell’art. 15 septies del D. Lgs. n. 502/1992, ricadevano pienamente nel divieto di cui all’art. 15, co. 13, lett. c), del D. L. n. 95/2012 che impediva il conferimento ed il rinnovo proprio di tali incarichi dirigenziali mentre, per il contratto libero-professionale, trovavano applicazione i limiti ed i vincoli previsti dall’art. 7, co. 6, del D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, trattandosi, comunque, di spesa non obbligatoria e come tale non consentita dal su citato art. 1, co. 174, della L. n. 311/2004 alle Regioni, come quella in esame, assoggettate a piano di rientro, regole di prudenza e diligenza avrebbero dovuto indurre i due Direttori a non dare corso alla delibera assumendo così il personale.

Delibera che, peraltro, non si sofferma affatto sulla particolare qualificazione professionale del personale dirigenziale esterno da prorogare, né sull’interesse strategico dell’azienda sanitaria in merito alla proroga, elementi assolutamente necessari da indicare su precisa segnalazione dei Ministeri della Salute e dell’Economia e del Dipartimento regionale, sollecitato per il rilascio di un eventuale nulla-osta, il quale nel comunicare la mancata previsione legislativa di tale nulla-osta, invitava l’azienda sanitaria all’osservanza di quanto prescritto dal parere ministeriale.

Ai sensi dell’art. 15 septies del D. Lgs. n. 502/1992, il conferimento di incarichi dirigenziali da parte del Direttore Generale deve essere finalizzato allo svolgimento di “funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico” ed è riservato a laureati di particolare e comprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche, o con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali apicali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro.

La deliberazione in questione veniva, allora, sottoscritta dal Direttore Generale in palese violazione del quadro normativo in materia caratterizzato da specifici vincoli assunzionali finalizzati al contenimento della spesa e che prevedeva, per le Regioni sottoposte a piano di rientro, possibili deroghe soltanto mediante l’adozione di apposite procedure atte a sfociare in decreti ministeriali che non sono state ritualmente attivate e giunte a positiva conclusione, emergendo, invece, la richiesta di pareri o nulla-osta non aventi, peraltro, quale specifico oggetto la proroga dei contratti o le nuove assunzioni a tempo determinato per i cinque dirigenti esterni del ruolo professionale tecnico peraltro cessati dal servizio.

Non bisogna neppure sottovalutare che in merito esistevano note rese dal Collegio Sindacale e dalla Regione che non contenevano alcun riferimento alla specifica questione dei cinque incarichi dirigenziali, ma solo in via generale indicazioni sulla prorogabilità dei contratti.

La deliberazione veniva, pertanto, assunta nonostante il richiamato parere dei Ministeri della Salute e dell’Economia ed il parere del Collegio Sindacale che ribadiva “i rilievi e le perplessità”, già espressi con riferimento alla precedente ed analoga delibera e che richiamava i limiti vigenti per le Regioni in piano di rientro.

Del medesimo tenore, anche la direttiva del Ministero della Salute, peraltro espressamente riportata in stralcio dalla deliberazione che, nel richiamare il disposto dell’art. 5, co. 10, del D.L. 31 agosto 2013 n. 101 in tema di prossima predisposizione di un DPCM per il personale del SSN, concludeva che: “il ricorso a nuovi contratti di lavoro a tempo determinato deve essere circoscritto ai soli casi eccezionali” apparendo, quindi, evidente che l’individuazione dell’eccezionalità e necessità delle asserite proroghe/nuove assunzioni avrebbe dovuto essere supportata da adeguata ed articolata motivazione, dovendosi, peraltro, ribadire l’impossibilità di “sospendere” contratti di lavoro comunque scaduti per poi “prorogarli” a distanza di oltre cinque mesi dalla scadenza.

La delibera, invece, effettua un generico richiamo al decreto-legge n. 101/2013 in tema di proroga di contratti a tempo determinato trascurando, tuttavia, che i contratti in questione risultavano cessati da circa cinque mesi e che, quindi, si realizzava, di fatto, una nuova assunzione.

E d’altronde, tanto emergeva anche dal dispositivo della delibera ove si prendeva atto che, per il periodo decorrente dal 1 agosto 2013, “non essendo stata prestata alcuna attività lavorativa” non era possibile computarla quale anzianità di servizio ed ai fini economici.

E come se non bastasse, in merito esisteva anche un parere della locale Sezione regionale di controllo contabile, la quale con apposita deliberazione richiamata dal Commissariato al piano di rientro, su apposita richiesta del Presidente della Regione circa la problematica concernente le assunzioni di personale nell’ambito del SSR e, dopo aver analiticamente illustrato la normativa vincolistica in tema di spesa del personale, precisava, tra l’altro, che le norme statali che perseguono in vario modo la finalità di contenimento della spesa sanitaria sono da qualificare come principi di coordinamento della finanza pubblica escludendo la possibilità di deroghe per nuove assunzioni, proroghe del personale o mobilità, fatta eccezione per le categorie c.d. “protette”.

Elementi tutti questi che hanno portato i giudici contabili a ritenere che i due Direttori, con grave superficialità e negligenza hanno sottovalutato la peculiare situazione del SSR sottoposto alle regole fissate per il piano di rientro, nonché alla disciplina generale in materia, insistendo, peraltro, con il riferimento a pareri che non analizzavano la specifica questione.

Di interesse, infine, in questa vicenda anche un istituto tipico della giurisdizione contabile ,invocata dal Direttore Sanitario, ma respinta dal Collegio giudicante: il c.d. principio della “compensatio lucri cum damno”, per il vantaggio che l’azienda sanitaria avrebbe conseguito per effetto delle prestazioni lavorative ottenute e per essere state evitate eventuali azioni giudiziarie dinanzi al competente Giudice del lavoro da parte dei soggetti che non vedevano rinnovarsi i propri contratti di lavoro.

Anche se espressamente previsto dal legislatore, secondo la consolidata giurisprudenza contabile, il riconoscimento giudiziale della “compensatio” risulta subordinato al riscontro della sussistenza di rigorosi presupposti: identità causale tra il fatto produttivo del danno e quello produttivo dell’utilitas; effettività dell’utilitas conseguita; corrispondenza dell’utilità ai fini istituzionali dell’Amministrazione; appropriazione dei vantaggi da parte della stessa.

La vicenda in oggetto, invece, difetta dell’elemento della corrispondenza dell’utilità ai fini istituzionali dell’Amministrazione considerato che trattasi di evento dannoso conseguente alla violazione di specifiche norme tutte poste a tutela dell’evidente interesse di finanza pubblica volto al contenimento dei costi delle Aziende Sanitarie.

Di rilievo assolutamente notevole, poi, il particolare contesto nel quale verteva, all’epoca dei fatti, la Regione in questione sottoposta com’era, a piano di rientro che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, “è ispirato all’esigenza di assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e al superamento della grave crisi strutturale della finanza regionale, nella prospettiva di un sicuro ritorno alla fisiologia gestionale dell’ente territoriale e delle sue aziende” e, quindi, l’incidenza sul bilancio dell’azienda sanitaria dei costi dovuti alle proroghe o nuove assunzioni del personale dirigenziale di cui alla delibera in commento non rinveniva il proprio fondamento nel pieno rispetto delle disposizioni legislative in materia, né in un’adeguata motivazione.

E, con particolare riferimento alla Regione di cui trattasi, nello scrutinare la normativa recata dal decreto-legge n. 150/2020 in tema di misure urgenti per il rilancio del SSR, ha rilevato che soltanto in tale Regione “le irregolarità registrate nella gestione regionale della sanità hanno assunto livelli di gravità mai riscontrati in precedenza”.

Ma in ogni caso, in presenza di una situazione di dissesto della ASP, di commissariamento e di piano di rientro, risultava del tutto irragionevole, diseconomico e quindi illegittimo prorogare incarichi esterni retribuiti, con aggravio di spesa.

Fernanda Fraioli
Presidente di Sezione della Corte dei Conti
Procuratore regionale per il Piemonte

30 ottobre 2024
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