Lettere al Direttore
Mmg e dipendenza, i primi segnali del prevedibile flop ci sono già
di Giuseppe BelleriGentile Direttore,
nella turbolenta fase che sta attraversando il SSN si manifestano alcuni effetti imprevisti di due disequilibri tra domanda ed offerta, concomitanti a livello sistemico.
Da un lato quello dei tempi d’attesa per prestazioni ambulatoriali, per il rebound della domanda post pandemia, che ha aperto ampi spazi al business del mercato sanitario ed assicurativo. Dall’altro il disequilibrio tra domanda ed offerta sul mercato del lavoro medico ed infermieristico, sia a livello ospedaliero che territoriale, con posti vacanti nelle scuole, nei concorsi, in zone cronicamente carenti di MMG, borse di studio non assegnate al corso regionale etc...
La combinazione di questi due disequilibri, a causa dall’esodo pensionistico della generazione della prima riforma sanitaria non compensato da nuovi ingressi, catalizza un nuovo fenomeno: le dimissioni volontarie di dipendenti, specializzandi e convenzionati, per il cosiddetto quiet quitting, ovvero l’ondata di rinunce per demotivazione emersa nella fase post pandemica. Così dall'accoppiamento tre i due disequilibri ne emerge un terzo inatteso, per gli effetti (inintenzionali) macro sistemici delle scelte (intenzionale) micro dei singoli professionisti, secondo il classico schema euristico delle scienze sociali.
Un numero consistente di medici ed infermieri non è più disposto a sacrificare la propria qualità di vita e di relazioni in cambio dell’impiego pubblico o di quello convenzionato e getta la spugna alla ricerca di altre opportunità offerte dal mercato. Questa tendenza si innesta sul gap tra domanda ed offerta di lavoro e offre inedite via di fuga da occupazioni frustranti e demotivanti: il dipendente ospedaliero passa alla convenzione, il convenzionato alla libera professione, c’è chi emigra e chi opta per il gettonismo, chi passa da una specializzazione all’altra, chi dalla dipendenza all’attività accreditata, o chi tiene in piedi entrambe le opzioni e così via.
Se la posizione non soddisfa più le alternative non mancano, basta firmare la lettera di dimissioni e imboccare un’altra strada. Insomma si afferma una mobilità professionale sconosciuta prima della pandemia per una disaffezione dal “ruolo missionario”, caro ad una fetta della popolazione, che passa in secondo piano rispetto alle preferenze personali, anche per lo sfilacciamento della relazione di cura e dell’alleanza terapeutica del passato, sottoposta alle tensioni della medicina amministrata e burocratizzata.
Nell’ambito della medicina territoriale l’ampia disponibilità di posti carenti, la mancanza di concorrenti, il deficit vocazionale delle iscrizioni al corso regionale hanno messo in crisi il monopolio pubblico, che fino a pochi anni fa dettava i “rapporti di forza” sul mercato del lavoro e nelle relazioni sindacali. Sembra proprio che i decisori pubblici non si siano ancora resi conto di questa lenta trasformazione; gli effetti sistemici delle preferenze individuali, innescate dal combinato disposto dei due disequilibri sopra descritti, segnano una fase di erosione dei vincoli di appartenenza e di fidelizzazione al SSN.
La diaspora dei dipendenti pubblici e dei convenzionati sembra inarrestabile e forse è messa nel conto di una transizione accettata fatalisticamente. Lo scotto da pagare però è elevato: PS e corsie sempre più sguarnite mentre nell’assistenza primaria desertificata cresce il malcontento della gente, abbandonata a sé stessa, che sfoga la propria frustrazione con il malcapitato medico che ha di fronte, oberato da un numero ingestibile di scelte.
Per arginare una situazione cronicamente emergenziale, anche per l’ennesimo mancato rinnovo di un ACN triennale già scaduto, si profila la soluzione del passaggio alla dipendenza gradita ad una parte della categoria, irta di incertezze e imprevisti a partire dai tempi e dagli oneri finanziari necessari ad assumere 60mila professionisti convenzionati, di cui peraltro nessuno sembra preoccuparsi. L’obiettivo prioritario è quello di popolare le case della comunità, per ridurre gli accessi impropri in PS e soprattutto colmare i vuoti assistenziali, spostando i medici dipendenti dove servono, come nelle intenzioni dei governatori, con la tipica fungibilità dell’organizzazione sanitaria a scapito della personalizzazione della relazione fiduciaria, peraltro ormai in crisi per gli effetti dei due disequilibri.
Per i futuri MMG dipendenti questa prospettiva comporterà benefici e rischi in cambio delle tutele del rapporto di subordinazione: la fine della scelta della zona dove esercitare la propria attività, l’obbligo di presenza in sedi, orari e con modalità organizzative stabilite gerarchicamente per coprire zone disagiate e difficili o i turni scoperti, per malattia, ferie, gravidanza etc., dove svolgere compiti burocratici, standardizzati e a basso contenuto clinico, indicati dalla catena di comando regionale.
Nel mentre si profilano i primi segnali del prevedibile flop del ruolo unico, obbligatorio solo per i neo-inseriti dal 2025, ecco i possibili esiti sistemici di una riforma caldeggiata dalle regioni, di cui si parla da anni senza che si sia ancora concretizzato un articolato progetto di massima
- incentivo al pre-pensionamento qualora il rapporto convenzionato fosse ad esaurimento, con conseguente passaggio dell'ENPAM all'INPS;
- scarsa attrattività della dipendenza imposta ai nuovi MMG, nonostante il raddoppio della borsa per la futura specializzazione e le tutele;
- prevedibili incertezze finanziarie e sui tempi per l’avvio della specializzazione universitaria e per una transizione epocale da uno stato giuridico all’altro, che potrebbe coinvolgere 100mila professionisti convenzionati;
- ulteriore peggioramento del gap tra uscite e nuovi ingressi dei futuri medici dipendenti con ulteriori ripercussioni sul territorio.
Il rischio è quello paventato dal proverbio: La strada della perdizione è lastricata di buone intenzioni.
Dott. Giuseppe Belleri
Ex MMG - Brescia