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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Lettere al Direttore

I medici del 118 e la drammatica situazione in Puglia

di Maria Patimo
13 luglio - Gentile redazione,
sono un medico che opera nel 118 nel nord barese da circa vent’anni. Scrivo questa lettera in merito alla situazione drammatica della sanità italiana, in particolare di quella pugliese. Spesso dagli organi di comunicazione non viene chiarita a dovere la condizione della regione Puglia, in cui i problemi sono tanti e per certi aspetti anche superiori rispetto a quelle di altre regioni citate.
 
Turni massacranti, carenze di organico, un contratto in convenzione ai limiti della legalità, turn over praticamente assente, un continuo aumento di richieste spesso non riguardanti motivi di emergenza, oltre agli ulteriori aggravi da parte di case di cura private, di case per anziani, carceri, il percorso HUB dagli ospedali, tutto concordato con la Regione, senza mai interpellare gli operatori del settore. Si lavora con la febbre, ma non si ricorre a malattia perché non si possono lasciare i colleghi in difficoltà e poi la 'malattia' non viene riconosciuta, se non secondariamente ad una copertura assicurativa che il medico si paga personalmente, non ci spetta la tredicesima, né ci viene riconosciuta la legge 104, non ci viene riconosciuto un lutto familiare e tantomeno un TFR.
 
Nessuna tutela e nessun riconoscimento per una professione a rischio di infortuni altamente usurante. Basterebbero delle modifiche contrattuali per far sì che più giovani medici possano accettare tali condizioni. In quel caso, ci sarebbero molti più candidati alle convocazioni. E intanto noi che siamo dentro questo sistema ci facciamo sanguinare addosso, vomitare, urlare, aggredire da matti, o ci tagliuzziamo fra le lamiere di una Punto ridotta a un puntino, senza un tetto sulla testa, una porta chiusa alle spalle che ci protegge dall'aggressività di qualche parente convinto che le ambulanze possano arrivare in tempo reale.
 
Lavoriamo all'esterno, e per forza di cose, in situazioni complesse e pericolose, inoltre noi rappresentiamo il terminale dell'intero sistema sanitario. Se c'è qualche disfunzione, è con noi che il cittadino arrabbiato se la prende e spesso, se pur preparati, mettiamo a repentaglio la nostra incolumità. Con troppa ignoranza e troppa malafede in quindici anni di lavoro mi sono beccato appellativi di ogni genere: dallo spazzino (per via della divisa rossa) al trasportatore di sacchi di patate da buttare, sempre, nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Si, è vero il nostro turno può essere fatto da tre ore di noia (sempre meno per la verità), ma anche da tre ore di inferno.
 
Il nostro è un percorso extraospedaliero temporo-correlato dettato dalla stima di criticità dell'evento, spesso coinvolgente più pazienti o maxi-eventi, senza disponibilità di supporto specialistico, con diagnostica limitata, interventi terapeutici inderogabili salvavita, fondati più spesso su ipotesi, correlato all'ambiente, ai presenti, a modalità di lavoro "in parallelo": non solo "lavoro sanitario" (coordinazione con VVF, forze dell'ordine...), impatto con problematiche di natura psicosociale, patologie rare, capacità operativa in ambienti ostili ed estremi con utilizzo di competenze non sanitarie: radiocomunicazioni, cartografia, telemedicina etc.
 
Eppure siamo ignorati nei diritti, esclusi da ogni provvedimento legislativo che migliori la nostra condizione contrattuale, subiamo da anni un processo lento, graduale, ma inarrestabile, di denigrazione e squalifica. Stremati da turni massacranti, senza diritti, abbruttiti dal susseguirsi di notti insonni, senza personale, schiacciati dalle responsabilità, veri paria della categoria medica, come i prigionieri di un lager pensiamo alla fuga, e molti medici dell'emergenza hanno abbandonato questo difficile lavoro, preferendo altre strade. I politici non hanno voglia di capire che la "convenzione" nell'emergenza territoriale, seppur a tempo indeterminato, rappresenta uno "status da precario a vita" e che i medici del 118 non vogliono più subire questa condizione. Ora la politica regionale si piange addosso perché non trova medici dell'emergenza, ma in realtà, non è stata in grado di fare una congrua programmazione. In un futuro non molto lontano i medici di strada scompariranno, allora senza di noi non vi resta che sventolare un fazzoletto dal finestrino e pregare.
 
Le porgo, a sostegno di quanto da me rilevato, anche alcune osservazioni di colleghi. “Sono molto amareggiata, non credo che passeremo mai alla dipendenza. Dobbiamo aspettare solo le sentenze, la politica non farà niente e i sindacati nemmeno e purtroppo la responsabilità è solo nostra.
 
Non ci siamo mai fatti sentire abbastanza!  Il medico del 118 è stato un ruolo politico per permettere la chiusura degli ospedali, ma ormai che i politici hanno ottenuto il loro scopo. Noi non serviamo più. È emblematico il fatto che più di nuova volta sono stati fatti degli emendamenti per noi, ma alla fine sempre ritirati”.
 
Ma non solo, riporto anche il pensiero di Alessandro Carriero, professore ordinario di Radiologia Uni Po: “C’è stato un concorso per entrare in specialità a cui erano attesi 20.000 medici che per 8000 posti in specialità. Il risultato sarà che 12000 nostri allievi laureati rimarranno senza specializzazione, intanto le regioni si preparano ad assumere medici specialisti dall’estero, a risolvere la carenza con i medici Militari (non so neanche se ci sono specialisti militari) ed a richiamare i pensionati. Questo è il delirio della razionalità ed un insulto all’intelligenza. Distruggere ed umiliare la cultura dei nostri giovani medici laureati per incapacità a gestire il loro futuro è il peggior danno che una nazione può fare ai propri figli: la vergogna della vergogna”.
Nella speranza di una risposta e di una trattazione più precisa della condizione della sanità in Puglia, Le auguro buon lavoro.
 
Maria Patimo
Medico del 118
13 luglio 2019
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