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QS Edizioni - martedì 23 aprile 2024

Lettere al Direttore

Sicurezza nelle trasfusioni. Si può fare di più

di Pierluigi Berti
20 settembre - Gentile Direttore,
si può morire nel 2019 per un errore trasfusionale dovuto allo scambio di una sacca di sangue? Sembra incredibile, eppure è accaduto. L’episodio si è verificato presso  l’Ospedale di Vimercate e sembrerebbe che l’incidente sia stato causato dalla trasfusione di un’unità di sangue destinata ad un’altra persona con lo stesso cognome ricoverata presso lo stesso reparto di Ortopedia.
 
All’origine del tragico evento sembra che ci sia stato un errore umano. In Italia esiste una precisa normativa (D.M. 2 novembre 2015) che regolamenta in maniera puntale e precisa le procedure che devono essere adottate per la corretta identificazione del paziente da sottoporre a trasfusione e i controlli a cui devono essere sottoposte le unità di sangue da trasfondere.
 
Tali controlli sono fatti nei diversi momenti del processo trasfusionale e vanno ripetuti poco prima della trasfusione al letto del paziente da due operatori sanitari (in genere un medico e un infermiere). 
 
Il paziente deve essere identificato in maniera attiva (chiedendo a lui stesso di declinare le proprie generalità, naturalmente se il paziente è vigile) e attraverso il controllo di un braccialetto da applicare al polso in cui sono riportati i suoi dati anagrafici.
 
Ulteriori controlli di corrispondenza devono essere eseguiti sulle unità di sangue da trasfondere e sulla documentazione allegata che riportano sempre i dati anagrafici (nome, cognome e data di nascita) del paziente a cui è destinata quell’unità di sangue. 
 
Non sappiamo di preciso cosa sia successo a Vimercate, saranno le indagini in corso ad accertarlo, ma è verosimile che qualcuno di questi controlli sia saltato, con il risultato di aver trasfuso una unità di sangue ABO incompatibile che ha causato il decesso della paziente.
 
Più della metà degli incidenti trasfusionali riportati in letteratura sono il risultato di errori umani e la  mancata applicazione di una corretta procedura di identificazione durante una delle diverse fasi del processo trasfusionale (prelievo del campione per le prove pre-trasfusionali, esecuzione dei test pre-trasfusionali, trasfusione degli emocomponenti) rappresenta un importante fattore di rischio che può determinare il verificarsi dell’evento fatale. 
 
Già dal 2005, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva focalizzato l’attenzione sull’errata identificazione del paziente come causa principale di molti errori in Sanità. I momenti in cui si può verificare un’errata identificazione di un paziente sono la somministrazione di farmaci, i prelievi venosi, gli interventi chirurgici e la trasfusione di sangue ed emocomponenti.
 
Gli errori sono inevitabili in quanto insiti alla natura umana (livello di attenzione non sempre costante, omissione di procedure, distrazione, stanchezza, scarsa comunicazione del personale), ma, come indica l’OMS e la Joint Commission, possono e devono essere messe in atto tutte una serie di misure per limitarlo ed intercettarlo, impedendo di fatto che da quell’errore si possa generare un incidente trasfusionale, con esiti a volte fatali per il paziente.
 
Per prevenire l’errore trasfusionale ABO, oltre alle procedure e ai programmi di formazione, è necessario avvalersi dell’uso di tecnologie informatiche, come ad esempio lettori portatili di codici a barre, sistemi di lettura RFId, sistemi di identificazione biometrica.
 
Tali sistemi elettronici devono essere in grado di controllare in maniera completa l’intero processo trasfusionale e in caso di problemi  devono allertare l’operatore sanitario con allarmi visivi ed acustici.
 
Cosa importante inoltre e che questi sistemi devono tracciare tutte le operazioni eseguite e devono inviare dei messaggi di allarme al responsabile dell’emovigilanza nel caso in cui non fossero utilizzati.
 
Dal 2005 la Legge 219/2005 che regolamenta in Italia le attività dei Servizi Trasfusionali, che ha tra gli obiettivi fondamentali il conseguimento dei più alti livelli di sicurezza, al capo VIII, articolo 21, comma 6, prevede, che “Ai fini della prevenzione dell’errore trasfusionale deve essere adottata ogni misura di sicurezza anche attraverso strumenti informatici, ove possibili, per l’identificazione del paziente, dei suoi campioni di sangue e unità assegnate, sia nel Servizio Trasfusionale che nel reparto clinico”. 
 
Nella realtà, purtroppo, non è sempre così. Da informazioni ricavate da alcune Survey promosse dalla SIMTI, sembra che questi sistemi di sicurezza siano utilizzati solamente in un’esegua minoranza di ospedali. SIMTI già da tempo sostiene come l’adozione in maniera capillare su tutto il territorio nazionale di questi sistemi di sicurezza possa aiutare ad intercettare gli errori commessi al momento del prelievo dei campioni o al momento della trasfusione. 
 
Durante la recente Maratona Patto per la salute 2019-2021, organizzata lo scorso luglio dal Ministero della Salute, una delle proposte avanzate dalla nostra Società per garantire a tutti i pazienti una trasfusione sicura  è stata quella di favorire su tutto il territorio nazionale l’adozione di tali sistemi elettronici di sicurezza trasfusionale, come peraltro raccomandato dagli Standard SIMTI di Medicina Trasfusionale. 
 
Come è noto in Italia, da diversi anni il rischio di contrarre un’infezione con la trasfusione è veramente molto basso e negli ultimi 10 anni non si sono registrati casi di infezioni dovute a trasfusione, almeno per gli agenti biologici testati (HCV, HBV, HIV e sifilide).
 
Lo stesso non si può dire per il rischio di ricevere una sacca di sangue sbagliata. Su questo aspetto fondamentale bisogna quindi investire risorse e promuovere la formazione di tutti gli operatori coinvolti, al fine di poter garantire a tutti i nostri pazienti una trasfusione sicura e per non dover ancora morire per un errore così banale.
 
Dott. Pierluigi Berti
Presidente Società italiana di medicina trasfusionale ed immunoematologia (SIMTI  
20 settembre 2019
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