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QS Edizioni - giovedì 28 marzo 2024

Lettere al Direttore

La vita e la salute della piccola Tafida Raqeed

di M.Iannucci e G.Brandi
15 gennaio - Gentile Direttore,
è piuttosto curioso: nell’esaminare un caso tanto delicato come quello di Tafida Raqeed, ci si accanisce (usiamo intenzionalmente tale verbo, appropriato nel caso in esame) ad esprimere opinioni muovendo da vertici “ideologici”. Così facendo si giunge, inevitabilmente, a dei paradossi che confondono e paralizzano.
 
Da un lato, infatti, vi sono coloro che, facendo le viste di difendere la “scientificità” delle loro posizioni, si schierano contro l’accanimento terapeutico. Dall’altro lato si dispongono i paladini della vita ad ogni costo, anche a costo di sofferenze inenarrabili e intollerabili per una persona. Questi, ultimi, così come fa l’avvocato Boccardi in suo articolo, arrivano ad accostare la difesa della vita di una persona in stato vegetativo permanente alla difesa della vita di un feto alle prime settimane di vita, così mischiando la lotta contro l’aborto e la difesa della vita della piccola Tafida. Se si parte da posizioni “ideologizzate”, i casi diventano irrisolvibili.
 
Guardiamo infatti la vicenda della piccola Tafida. Non conosciamo nei particolari le condizioni fisiche della bambina, ma ci sentiamo autorizzati a parlarne, in termini generici, perché talune sommarie notizie sono state fornite alla stampa e diffuse sui media. La piccola Tafida dunque, colpita da una grave lesione vascolare cerebrale, è da tempo in coma vegetativo. I medici inglesi hanno ritenuto irreversibile tale coma e, fornendo argomenti “scientifici” ritenute dai Giudici convincenti, hanno indotto tali Giudici a prendere la decisione di “staccare la spina” agli ausili elettromedicali che tenevano in vita la bambina.
 
I genitori della bambina, a quanto ci pare di capire, si opponevano a tale decisione e quindi, essendo diventata irrevocabile la decisione della Corte britannica, hanno stabilito di trasferire la loro figlioletta nell’ospedale Gaslini di Genova, che l’ha accolta, l’ha mantenuta in vita e addirittura, stabilizzando le condizioni fisiche di Tafida, ha reso possibile approntare una assistenza domestica della piccola.
 
C’è da presumere che l’Ospedale Gaslini abbia fornito gratuitamente le cure a Tafida, le stesse che il sistema giuridico/sanitario britannico aveva invece deciso di interrompere. Quest’ultimo lo aveva fatto, ovviamente, non per motivi etico/ideologici, ma in una ottica “economica”: la “scienza” medica mi informa - aveva probabilmente detto il Giudice inglese - che il coma vegetativo di Tafida è profondo e irreversibile, quindi io ritengo che non ci sia ragione per tenere ancora in piedi una inutile ma costosissima assistenza sanitaria. Questo il ragionamento utilitaristico dello Stato britannico e del suo Giudice.
 
Ci sono però da chiarire preliminarmente alcuni punti. Siamo “scientificamente” sicuri che un coma cerebrale profondo da estesa lesione vascolare intracranica sia sempre irreversibile? Sappiamo (e lo avranno sicuramente saputo i Colleghi inglesi) che le probabilità che si possa uscire da un coma cerebrale di quel tipo, per recuperare almeno un barlume di coscienza e uno stato di vita autonoma (senza il supporto costante delle macchina) sono bassissime.
 
E tuttavia nessun clinico si sentirebbe di affermare che tali probabilità sono pari a zero. Poniamo allora questo problema: siccome ci sentiamo da escludere che la piccola Tafida, prima dell’ictus cerebrale, abbia espresso ad alcuno la ferma e consapevole volontà di non essere vittima di un accanimento terapeutico qualora si fosse trovata nelle condizioni in cui si trova, poiché inoltre bisogna supporre che gli unici deputati a esprimere sul punto un parere in sua vece siano i genitori (qualora posseggano tutti i requisiti per esercitare la tutela legale della loro bambina), non si capisce perché si dovrebbe negare, almeno in questa Italia non ancora dominata da una logica esclusivamente “economicistica”, il diritto di sopravvivere alla piccola Tafida.
 
Facciamo un ragionamento nemmeno tanto assurdo: se i genitori di Tafida avessero la capienza economica di un Bezos e volessero mantenere in vita la loro figlia senza ricorrere alle gratuite strutture pubbliche, penseremmo forse che un qualsiasi Tribunale possa d’autorità privarli di questo diritto?
 
Un sistema sanitario umano e ragionevole è indispensabile che aiuti le persone come i genitori di Tafida ad avvicinarsi alla prospettiva della “morte”, non solo fisica, della loro piccola figlia, aiutandoli a sopportare tale prospettiva, che taluni, fra coloro che adottano una mentalità esclusivamente “scientifica”, possono senz’altro ritenere già realizzata. Ma i genitori di Tafida ancora non ritengono che la loro figlia sia morta e, in ogni caso, non sono ancora in grado di sopportare tale prospettiva. Aiutiamoli dunque, e lasciamo che siano loro a prendere una decisione.
 
Noi, nel caso ci trovassimo in condizioni analoghe a quelle di Tafida, o anche molto “migliori” delle sue, non vorremmo essere sottoposti a un accanimento terapeutico che, noi e solo noi, riterremmo inutile e dannoso. Per questo daremmo e daremo della DAT. Ma noi siamo noi e non pretendiamo che tutti ragionino nel nostro stesso modo. Le persone, diverse le une dalle altre, è bene che siano autonome nelle loro decisioni. In armonia con le regole (le leggi) che si sono dati i Paesi dove quelle persone vivono. Così Tafida è possibile farla sopravvivere in Italia attraverso gli ausili del servizio sanitario pubblico, mentre in Gran Bretagna quel servizio l’abbandonerebbe.
 
Cerchiamo dunque di affrontare i casi come quello di Tafida con la ragione e non con le ideologie, evitando di mischiare Tafida con Welby o addirittura con dj Fabo, ma anche di tirare in ballo l’aborto, dolorosa vicenda che con Tafida non c’entra proprio niente.
 
Dr. Mario Iannucci
Dr.ssa Gemma Brandi

Psichiatri psicoanalisti
Esperti di Salute Mentale applicata al Diritto
15 gennaio 2020
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