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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Lettere al Direttore

Pandemie e sperimentazione animale

di Vito D'Alessandro
7 aprile - Gentile Direttore,
sto per laurearmi in Biologia cellulare e molecolare. Ho alle spalle una laurea triennale in Biotecnologie mediche e farmaceutiche. In quanto studente, tuttavia, non ho l'assurda pretesa di contestare nel merito quanto lamentano i miei colleghi più "anziani". Sperimentazione animale sì - o no? Mi limito a dire che per me andrebbero moltiplicati gli sforzi e centuplicate le risorse per superarla.
 
E, unitamente a questo, andrebbe considerata con la serietà che merita la "questione animale" che, inspiegabilmente, sembra appannaggio dei soli - odiatissimi - animalisti. Inspiegabilmente perché oggi si dispone di una quantità impressionante di dati che confermano la complessità emotiva e psicologica degli animali che non rientrano nella categoria tassonomica homo sapiens, dati che dovrebbero imporre profonde riflessioni rispetto al nostro modo di comportarci nei loro confronti, in ogni ambito.
 
Lo suggeriva già Darwin, padre della teoria evolutiva, che le differenze tra noi e gli altri animali sono da ritenersi di grado piuttosto che di genere. Oggi questa intuizione non soltanto è stato confermata, ma viene arricchita ogni giorno di nozioni che dovrebbero scuotere le coscienze di chi, per ignoranza o per interesse, continua a condannare a spiacevoli quarti d'ora un numero incalcolabile di animali.
Decido quindi di tralasciare, almeno per il momento, il merito. Ma le modalità comunicative che vedo mettere in campo in questi dolorosi giorni, da parte di chi dovrebbe o vorrebbe rappresentare la mia categoria, le sto trovando stucchevoli e su questo sento di potermi esprimere liberamente.
 
Si leggono, in questi giorni, ultimatum al Parlamento italiano da parte di federazioni di categoria nei quali vengono fatte correlazioni improprie tra filoni di ricerca, più o meno inattuabili in Italia, ma che nulla hanno a che fare tra loro né tantomeno con la ricerca di un vaccino. O, ancora, compaiono attacchi sommari alla galassia variopinta di chi si batte per la tutela degli animali, che a quanto pare sono il vero male del Paese. Il tutto condito dall'evocazione continua dello spettro del coronavirus, che dovrebbe generare in chi legge inquietudine, forse nel tentativo di fare apparire più convincenti le argomentazioni addotte.
 
Non è la prima volta che certi esponenti della comunità scientifica manifestano il loro malcontento rispetto alle vigenti norme che regolano - senza vietarla - la sperimentazione animale nel nostro Paese, ma speculare oggi sulla paura delle persone è indegno.
So di non essere l'unico a pensarla in questo modo, ed è anzi questo il motivo che mi ha spinto a scrivere. La critica al metodo è condivisa da molti colleghi e sono felice di farmene portavoce.
 
Infine, se l'interesse è quello di ottenere il massimo grado di benessere per il maggior numero di individui, viene da chiedersi come mai lo slancio emotivo che dimostra di avere chi si sta spendendo in questi giorni per gettare discredito sulle regole vigenti in Italia e sugli animalisti - slancio emotivo dovuto alla pandemia che non si manca di ricordare strumentalmente per giustificare linee di ricerca che nulla hanno a che vedere con essa -, non emerga, per esempio, quando si tratta di divulgare quelle informazioni circa la causa diretta di questa e delle pandemie che, invariabilmente, ci colpiranno. Perché questo compito, in Italia, deve spettare solo a qualche programma televisivo d'inchiesta e ai siti dichiaratamente animalisti?
I ricercatori italiani dove sono?
 
Il 24 marzo di quest'anno usciva su Scientific American un articolo dal cuorioso titolo "One root cause of Pandemics few people think about", nel quale emerge un fatto chiaro, dimostrato: l'allevamento industriale degli animali, non solo in Cina ma ovunque nel mondo, è una bomba pandemica pronta a esplodere. E il nostro insaziabile desiderio di mangiare carne tutti i giorni a tutte le ore del giorno è la miccia. O, più correttamente, se si travalicano i confini dell'analogia, la minaccia. Gli animalisti quindi non sarebbero il problema, ma la soluzione. Un vero colpo di scena.
 
Mi aspetto lettere aperte e appelli da parte della comunità scientifica italiana in cui si invita la popolazione a comportarsi responsabilmente, a cominciare dai piccoli gesti quotidiani. Piccoli sul momento, ma che nel lungo periodo si riveleranno monumentali.
Questo mi aspetto da una comunità di scienziati. Non gli ultimatum, non le polemiche né l'inasprimento del dibattito pubblico. Non una visione dicotomica e semplicistica della realtà, dove ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Mi aspetto unità e responsabilità, oggi più che mai.
 
Vito D’Alessandro
7 aprile 2020
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