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QS Edizioni - sabato 20 aprile 2024

Lettere al Direttore

Medici di famiglia dipendenti del Ssn, solo così li coinvolgeremo appieno nelle vaccinazioni

di Prisco Piscitelli
29 marzo - Gentile Direttore,
ormai è sotto gli occhi di tutti: il sistema dei colori non funziona. Quando si è in zona gialla e si allentano le restrizioni, il virus torna a circolare libero nella popolazione generale, sale il numero di ricoveri e degli ingressi in terapia intensiva. Tanto basta a mandare in crisi quel che resta dei sistemi sanitari regionali dopo i tagli impietosi degli ultimi vent’anni e al Governo e Governatori non resta che stringere i cordoni e riplocamare la zona rossa.
 
A questo punto i contatti inter-personali sono più limitati, la circolazione del virus subisce un rallentamento, ma è come il fuoco che cova sotto la cenere e l’epidemia è pronta a riaccendersi più funesta di prima. Lo dimostra il caso emblematico della Sardegna, che dopo la zona rossa è riuscita a diventare zona bianca per poi ritornare alle sfumature vermiglie. C’è da chiedersi chi abbia architettato questo sistema che rassomiglia a un drago che insegue la sua coda e perché non si prenda atto del fallimento di tale modello. Come epidemiologo, come medico e ricercatore mi appello al Generale Figliuolo e al nuovo capo della Protezione Civile perché pongano fine a questo drammatico giro di giostra.
 
Il sistema dei colori può anche essere mantenuto ma non può funzionare in questo modo. E’ necessario abbinare una stringente rete di controlli nei momenti in cui le Regioni sono colorate di rosso. Provo a spiegarmi meglio: proprio quando più restrittive sono le misure di libera circolazione e contatti imposte ai cittadini, per cui ci si aspetta una notevole riduzione dei contagi, è quello il momento in cui bisogna procedere a “stanare” il virus annidato negli inconsapevoli asintomatici (che fungono da ignari portatori sani) in tutti i luoghi di lavoro rimasti aperti.
 
Si tratta di stringere i cordoni sanitari nelle zone rosse sottoponendo a tampone molecolare anche due volte a settimana i lavoratori dei servizi essenziali per spegnere i tizzoni ardenti da cui l’epidemia è pronta a ravvivarsi non appena le misure restrittive vengono meno. Altrimenti il passaggio in zona gialla serve soltanto a soffiare sul fuoco del COVID. Tutto ciò, in attesa di poter disporre di un congruo numero di vaccini che renda possibile immunizzare oltre la metà della popolazione come hanno già fatto il Regno Unito e lo Stato di Israele con progressivo azzeramento della mortalità. Per ora, purtroppo, quest’orizzonte è lontano e non è più possibile giocare coi colori tollerando 400 morti al giorno.
 
La necessità di una più vasta e frequente azione diagnostica a tappeto è stata fatta periodicamente presente da SIMA e fa piacere che molte delle nostre proposte (come l’apertura alle farmacie e ai laboratori accreditati) siano state accolte anche se a molti mesi di distanza. Certamente non si puo’ pensare che gli stessi servizi sanitari territoriali che stanno gestendo i tamponi, i tracciamenti e le vaccinazioni (gli Uffici di Igiene Pubblica delle ASL) debbano occuparsi anche dei controlli diagnostici nei supermercati, nelle aziende, nelle fabbriche, negli uffici pubblici e privati in cui non si pratica o non è praticabile lo smart-working.
 
Si accetti dunque o si disponga la collaborazione – per una campagna di tamponi molecolari bisettimanali a tappeto – dei medici competenti (di solito medici del lavoro) obbligatoriamente presenti in tutte le imprese o organizzazioni con oltre 7 dipendenti, come già proposto da Confindustria per l’esecuzione delle vaccinazioni. Se necessario il Generale Figliuolo mobiliti la Sanità militare a tale scopo, purchè si dispongano seri cordoni sanitari e diagnosi a tappeto in tutte le zone rosse per individuare gli asintomatici che veicolano il coronavirus mentre la maggior parte della popolazione si trova limitata nelle proprie abitazioni e libertà personali.
 
Allo stesso tempo, è indifferibile coinvolgere nella campagna vaccinale in maniera sistematica tutti i medici di medicina generale, che rappresentano una capillare rete a copertura di tutti i residenti nel nostro Paese, un tesoro quanto mai prezioso in momenti di epidemia. La sola discesa in campo dei medici di famiglia consentirebbe di vaccinare tutti gli italiani anche in soli sessanta giorni, se adeguatamente supportati dalle ASL di appartenenza in ciascun Comune.
 
Anche a questo scopo, si colga l’occasione per inquadrare i medici di famiglia come dipendenti delle ASL a tutti gli effetti, ponendo fine alla loro contrattualizzazione ibrida di “convenzionati” col Servizio Sanitario (anacronistica eredità dell’ormai lontano sistema delle “mutue” precedente al 1978).
 
Prisco Piscitelli
Medico Epidemiologo, Vicepresidente Nazionale Società italiana di medicina ambientale (SIMA)
 
29 marzo 2021
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