Continuano ad accumularsi le evidenze scientifiche contro il consumo di carni rosse. Questa volta tocca ad uno studio pubblicato sull’ultimo numero del
British Medical Journal, nel quale
Arash Etemadi (della Divisione di
Cancer Epidemiology and Genetics,
National Cancer Institute, Bethesda, USA) e colleghi forniscono ulteriori prove dell’esistenza di una correlazione tra consumo di carne rossa e aumento di mortalità.
I risultati di questo studio di coorte basato su popolazione hanno infatti dimostrato che il consumo di carni rosse e processate si correla con un aumento medio di mortalità del 26% per tutte le cause e per nove cause specifiche. La correlazione più forte è emersa con la
mortalità da epatopatia cronica che aumenta del 230% nei forti consumatori di carni rosse.
Si tratta di uno studio molto vasto, su circa 537 mila partecipanti, con un periodo di osservazione di oltre 7,5 milioni di anni-persona, molto ben disegnato (cosa non scontata per gli studi epidemiologici incentrati su valutazioni dietetiche).
I tassi di mortalità sono risultati inferiori del 25% nei gruppi che consumavano maggiori quantità di pesce e pollame, rispetto a quelli che indulgevano di preferenza sulle carni rosse.
E anche l’
editoriale di accompagnamento, siglato da
John Potter, professore di epidemiologia,
Centre for Public Health Research, Massey University (Wellington, Nuova Zelanda) non lascia adito a dubbi rispetto al verdetto di questo studio. “Un consumo esagerato di carni rosse – scrive l’editorialista – fa male alla salute dei singoli, oltre a quella del nostro pianeta.”
I nostri antenati mangiavano carne rossa al massimo una volta a settimana, in pratica 5-10 Kg in un anno; le diete dell’epoca moderna, almeno nelle nazioni più ricche, ne contengono almeno 10 volte di più e le proteine animali rappresentano oggi fino ad un quinto delle calorie totali in alcune diete.
Ma cos’è esattamente che rende carni rosse e processate nemiche della salute? Secondo gli autori dello studio, tra i principali responsabili vanno annoverati il ferro eme delle carni rosse e i nitriti/nitrati di quelle processate. Ma questa è solo una parte del problema. Altri aspetti riguardano infatti le sostanze cancerogene che si producono con i metodi di cottura (amine eterocicliche e idrocarburi aromatici policiclici), i contaminanti dei mangimi animali, un ridotto apporto di frutta e verdura.
Ma i problemi non si esauriscono certo qui. Certo il dato dell’aumento di mortalità fa paura e fa riflettere; ma non destano minor preoccupazione una serie di altre ricadute di un eccessivo consumo di carne,
quali uno sviluppo puberale precoce o l’antibiotico-resistenza, tanto per citarne alcune.
Ci sono poi le conseguenze ambientali, anche queste non di poco conto. Gli allevamenti di bestiame richiedono un enorme consumo di acqua, generano metano, inquinamento dell’aria e delle falde acquifere.
“Dobbiamo decidere – tuona Potter – se prendere subito dei provvedimenti volti a ridurre il consumo di carne o aspettare che emergano in tutta la loro gravità le conseguenza a carico del pianeta e della salute dell’uomo”.
“Come medici – propone
Fiona Godlee, direttore del BMJ – dobbiamo spingere affinché vengano fatte ricerche migliori a sostegno di linee guida dietetiche
evidence-based. E come in passato hanno fatto altri prima di noi con il fumo, dovremo cominciare col dare il buon esempio riducendo noi stessi il consumo di carne”.
Maria Rita Montebelli