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QS Edizioni - giovedì 18 aprile 2024

I risultati della Survey Federsanità/Crea Sanità

25 novembre -

Tutti direttori generali, che hanno partecipato alla Survey di Survey Federsanità Crea Sanità presentata al Forum di Arezzo hanno un’età media di 55 anni e un’anzianità nel ruolo di 18. Oltre la metà (il 52,9%) dirige un’Asl, mentre il 23,5% un ospedale e altrettanti (23,5%) un’Azienda ospedaliera universitaria. Più differenziata la formazione: il 41,2% proviene dall’area clinica, il 23,5% da quella economica e il 35,3% dall’ambito giuridico.

“Abbiamo innanzitutto chiesto quanto la spesa del personale incida sul bilancio delle strutture – afferma Federico Spandonaro, dell’Università San Raffaele di Roma e presidente del Comitato scientifico di Crea Sanità – è emerso che il peso è in media del 44,7%, cui si aggiunge un 8,3% di risorse indirizzate alla formazione”. Complessivamente, oltre la metà del bilancio che potrebbe essere spesa in modo più efficiente con una migliore programmazione.

“A differenza di quello che si potrebbe pensare, sebbene la totalità dei rispondenti abbia evidenziato l’esistenza di alcune difficoltà nell’acquisizione di personale, nessuno ha segnalato problemi nel reperimento di specifiche figure professionali negli scorsi tre anni. Probabilmente si tratta di un tema sentito, ma che – al momento – non è ancora diventato urgente”, commenta Spandonaro. 

Quello che i due terzi dei direttori generali ha segnalato, invece, è l’utilità nell’acquisizione di medici al primo anno di specializzazione, misura che è stata introdotta durante la pandemia. “Interessante che, secondo la maggioranza dei Dg, dovrebbe essere la struttura stessa a certificare che i giovani medici abbiano acquisito le competenze necessarie per prendersi le responsabilità”.
Così per il 70,6% di chi ha risposto alla survey. Per il 23,5% dovrebbe invece essere il tutor e per il restante 11,8% il docente universitario di riferimento.

Tra le questioni poste sul tavolo, la possibilità di reclutare il personale in modo simile a quanto succede nel sistema sanitario inglese: “Si tratta di una sorta di corso-concorso dove il Nhs bandisce ogni anno borse di studio per i migliori master internazionali di management e policy sanitaria per neo-laureati, a cui offre successivamente contratti di inserimento a tempo determinato, accompagnati da percorsi di crescita professionale basati su programmi di rafforzamento delle competenze, anche con processi di affiancamento, bench learning, sperimentazioni sul campo”, spiega Spandonaro. Per i Dg questo meccanismo potrebbe essere un buon metodo, ma senza troppi entusiasmi (per oltre il 40% la misura vale 3 su una scala di 5; solo il 30% la valuta 5/5).

L’ASPETTO LEGISLATIVO

Altro aspetto su cui concorda la maggior parte dei Direttori generali sono le regole per l’assunzione: per oltre l’80% è meglio una procedura più snella, semplificata, come quella utilizzata durante il Covid, a discapito di un insieme di prove concorsuali che mirano a selezionare meglio il personale, ma in tempi più lunghi. A fronte di questo, però, i Dg vorrebbero alcune regole che permettano di valutare competenze e comportamenti delle persone prima dell’assunzione a tempo indeterminato. La richiesta è dunque una maggior velocità nel coprire le posizioni vacanti, seguita da un test in corsia per capire se il neoassunto ha davvero le qualità – professionali e umane – richieste dal ruolo che ricopre. 

Oltre il 70% dei Dg, inoltre, gradirebbe che fosse inserito un vincolo alle strutture accreditate nell’acquisizione di personale proveniente dal pubblico: “Capisco il punto di vista dei direttori generali, ma credo sarebbe necessario interrogarsi su come impedire il fenomeno a monte, invece di mettere paletti a valle”, riflette Spandonaro. Per quanto riguarda i maggiori incentivi – economici e professionali – richiesti, i Dg stimano nel 30% la percentuale di retribuzione aggiuntiva che riterrebbero equa per professionisti dislocati in aree periferiche.

LA FORMAZIONE
Sono considerati molto utili corsi di laurea per professioni sanitarie oltre ai clinici: per tecnici e amministrativi della sanità e per la formazione professionale istituzionale. Il Ssn, infatti, non è composto solo da camici bianchi, ma da un vivaio di professionisti che sempre più dovrà essere in grado di collaborare. Queste persone avranno bisogno di una formazione continua, che si articoli lungo l’intero percorso lavorativo.

Un approfondimento a parte è stato dedicato ai direttori di distretto, figure strategiche nella sanità del futuro, sempre più territorializzata: per il 94,1% dei rispondenti queste figure hanno bisogno di una formazione specifica a livello regionale (68,7%) o universitario (31,3%). 

Per i medici di medicina generale, l’82,4% dei Dg ritiene utile una formazione universitaria. In generale, l’82,4%, inoltre, pensa che gli attuali percorsi formativi universitari delle professioni sanitarie siano inadeguati alla luce del Pnrr e quindi dello sviluppo dell’assistenza sul territorio, dell’integrazione socio-sanitaria e del ripensamento degli ospedali.

Quasi l’80% auspica l’introduzione, nel contratto collettivo nazionale, di nuove figure professionali che abbiano le competenze richieste per la gestione del Pnrr e non siano strettamente legate all’ambito sanitario, come people manager, operation manager, service designer, data analysist, stakeholders manager…

Un po’ a sorpresa il 70,6% dei Dg registra resistenze nel personale sanitario all’utilizzo della telemedicina. “In realtà è un dato in linea con una serie di studi che stiamo conducendo in parallelo – assicura Spandonaro – Dal punto di vista contrattuale, queste forme di lavoro non sono ancora ben normate. Non è chiaro, per esempio, chi paghi lo specialista che fa un teleconsulto con il medico di medicina generale, né quando questo debba avvenire”.

Il 94,1% dei direttori generali afferma che sono necessari interventi normativi specifici per regolare l’impegno dei professionisti nei servizi di telemedicina.

LE DIREZIONI GENERALI
Infine, alcune domande si sono concentrate proprio sulle direzioni generali: la retribuzione del top management del sistema sanitario italiano è infatti ferma al 2001 e non è correlata alle accresciute dimensioni delle aziende e ai correlati livelli di responsabilità.

Si calcola che i salari siano inferiori del 50% rispetto a ruoli analoghi nel settore sanitario privato e del 30% più bassi rispetto a quelli del top management delle altre amministrazioni pubbliche. Oltre a ribadire la necessità di un adeguamento delle retribuzioni commisurate al rischio che contraddistingue il settore sanitario, i Dg si sono espressi a maggioranza per la creazione di un unico albo di selezione dei direttori generali e sanitari e non per una serie di elenchi separati in base al tipo di azienda.

Infine, la maggior parte dei rispondenti si è dichiarato a favore di una modifica dei criteri e dei processi per la costruzione degli albi, che tengano anche in considerazione le competenze raggiunte e le esperienze vissute.

 

25 novembre 2022
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