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QS Edizioni - giovedì 25 aprile 2024

Studi e Analisi

Autonomia differenziata, ovvero, passare dalla solidarietà alla carità

di Ivan Cavicchi
immagine 22 novembre - La ragione fondamentale per la quale si vuol fare questa contro-riforma non è filantropica ma è economica. Le regione del nord ritengono di avere più diritti delle regioni del sud ma solo perché producono più reddito. E quindi si vorrebbe distribuire le tutele pubbliche in modo direttamente proporzionato al reddito locale; riconoscere alla regione che riesce ad auto finanziarsi la sanità una speciale autonomia concedendo il diritto di “secedere” da un sistema sanitario nazionale e, infine, passare dalla solidarietà alla carità

Non condivido le tesi sull’autonomia differenziata espresse ieri dal professor Jorio, qui su QS. Non condivido soprattutto la necessità di mettere a regime questa, per me sciagurata, contro-riforma.

Il regionalismo differenziato è infatti una contro riforma della Costituzione che ora, come proposta Calderoli, nasce da un’altra controriforma della Costituzione fatta nel 2001 (titolo V) per rispondere come PD alla crescita politica della Lega concedendo a quest’ultima, attraverso le regioni, una controriforma del decentramento amministrativo cioè un grado di secessione in più, quindi accrescendo i poteri delle regioni a scapito dei poteri i dello stato centrale.

Lasciamo perdere l’operazione politica del PD che per fermare la Lega tenta di comprarsela svendendo la nostra Costituzione (poi il PD la definirà la terza via al federalismo) ma questa prima controriforma che ormai è in vigore da più di 20 come è andata?

Come è andata l’esperienza della legislazione concorrente, come è andato l’aver accresciuto i poteri delle regioni, come è andato avere dei super governatori?

Tutti i dati e tutte le ricerche ci dicono che è andata male.

Che sono cresciuti a dismisura i contenziosi legali tra istituzioni pubbliche. Che sono aumentate a dismisura le disuguaglianze nel paese, che in Italia non è vero che tutti hanno gli stessi diritti.

In più abbiamo avuto una pandemia che ha dimostrato senza ombra di dubbio alcuno che l’idea di regione del secondo titolo v resta non solo ampiamente inadeguata ma che la funzione dello Stato centrale resta insostituibile.

Ma a parte questo è andata male perché nonostante la riforma del titolo V la mobilità sanitaria è cresciuta continuando a impoverire il sud quindi continuando a spostare soldi al nord (oggi siamo arrivati a 5 mld).

E’ andata male perché da parte delle regioni, oltre che tentare i colpi di mano con le competenze avanzate per fare le scarpe ai medici e oltreché continuare a privatizzare il sistema, non abbiamo avuto una sola idea riformatrice. E’ andata male perché proprio le regioni si sono illuse che si potesse cambiare la governance ma a aziende invarianti.

Ma vi sembra ragionevole che alla necessità ormai condivisa da molti di ripensare le aziende (la prima controriforma fatta alla 833) le regioni abbiano risposto con le aziende zero? Cioè vi sembra normale che coloro che ci hanno tormentato per anni con il federalismo a proposito di sanità ci rispondano con il ritorno a forme di centralizzazione?

Per tutto questo non posso condividere che dobbiamo sfasciare di più e che per risolvere tutto dobbiamo fare il regionalismo differenziato.

Come non posso condividere la tesi secondo la quale la colpa non è della controriforma del titolo V ma del fatto che non siamo stati sufficientemente contro-riformatori.

E ancora, non condiviso l’analisi secondo la quale avremmo dovuto togliere la sanità dalle competenze dello stato centrale e assegnarle in via esclusiva alle competenze delle regioni. Esattamente come propone la proposta Calderoli.

Una cosa che mi ha colpito nelle dichiarazioni che hanno accompagnato la presentazione della bozza Calderoli è stata la rimozione collettiva, cioè essersi tutti affrettati a negare la vera ragione che spiega il regionalismo differenziato.

Tutti hanno dichiarato che i residui fiscali non sono all’ordine del giorno. O Gesù, mi sono detto, ma allora perché vogliono fare il regionalsmo differenziato? Forse sono diventati tutti più buoni e io non me ne sono accorto. Se cadono le ragioni economiche scartando l’ipotesi della filantropia perché l’autonomia differenziata?

Scarto l’idea che i principali promotori del regionalismo differenziato si siano di improvviso convertiti alle ragioni dell’universalismo dell’eguaglianza e della solidiarietà, per cui l’unica spiegazione che mi resta è che si vergognano di dire la verità e di spiegare il loro vero disegno politico. Nel senso che per ora è meglio non allarmare nessuno poi nelle segrete stanze si vedrà.

Se i residui fiscali non sono all’ordine del giorno, perché nei pre accordi fatti dalle regioni si propone di finanziare le regioni in due fasi la prima secondo la spesa storica e la seconda attraverso criteri proporzionali non ai bisogni della gente ma in qualche modo proporzionati alla ricchezza locale prodotta?

Vorrei intanto far notare a chi parla di “diritti esigibili” che finanziare la sanità pubblica secondo misure di ricchezza e non secondo i diritti della gente è uno dei più importanti principi neoliberisti usati dai nemici del welfare State.

Quindi nei confronti di un regionalismo differenziato del tutto disinteressato mi permetto di essere scettico.

La ragione fondamentale per la quale si vuol fare il regionalismo differenziato non è filantropica ma è economica.

Le regione del nord ritengono di avere più diritti delle regioni del sud ma solo perché producono più reddito.

Rammento che per “residui fiscali” si intende la differenza tra tutte le entrate fiscali pubblicamente riscosse in un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese.

Uno studio, del 2014, dell'Istituto Eupolis della Regione Lombardia quantificava in oltre 47 miliardi di Euro il residuo fiscale lombardo, per l'anno 2013. Nel 2015 la CGIA di Mestre ha quantificato in oltre 100 miliardi di euro il residuo fiscale delle regioni del Nord Italia.

Ricordo che il termine residuo fiscale è di Buchanan, premio Nobel per l’economia nel 1986 che la inventò per trovare una giustificazione di tipo etico ai trasferimenti di risorse dagli stati più ricchi a quelli meno ricchi.

L’interpretazione nostrana del pensiero di Buchanan con il regionalismo differenziato è invertita: si vogliono trattenere nelle regioni più ricche le risorse in esse prodotte e alle regioni più povere basta la carità quello che alla fine è il fondo di perequazione.

Conclusione
Due anni fa, quindi all’inizio della pandemia, 26 associazioni e comitati vari firmarono un appello rivolto a Bonaccini per chiedergli sul regionalismo differenziato di fare un passo indietro (QS 30 aprile 2020).

Ma Bonaccini fece orecchio di mercante ed ora si presenta ufficialmente candidato a guidare il PD cioè a guidare il partito che è stato l’autore di quella scellerata controriforma del titolo V. Auguri, io di certo questo partito contro-riformatore lo combatterò

Sono ormai quasi 4 anni che su questo giornale provo a spiegare i problemi inquietanti che la sanità avrebbe a causa del regionalismo differenziato. Per cui non mi sembra il caso di ripetere cosa già dette.

Tuttavia vorrei ricordare quelli che secondo me sono i 3 punti irrinunciabili del regionalismo differenziato senza i quali esso, soprattutto per le regioni ricche del nord, non sarebbe l’affare che vuole essere.

I punti sono i seguenti:

  • distribuire le tutele pubbliche in modo direttamente proporzionato al reddito locale;
  • riconoscere alla regione che riesce ad auto finanziarsi la sanità una speciale autonomia concedendo il diritto di “secedere” da un sistema sanitario nazionale;
  • passare dalla solidarietà alla carità.

Ivan Cavicchi

22 novembre 2022
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