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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Studi e Analisi

I Codici deontologici rispettano la Costituzione?

di Luca Benci
immagine 16 settembre - Per lungo tempo la Costituzione non è entrata nei Codici deontologici le cui norme erano, nei decenni scorsi, prevalentemente autoreferenziali e impermeabili proprio a diversi principi costituzionali. Per questo è utile indagare se nel corso dei decenni prima e nelle condizioni attuali dopo i codici deontologici abbiano attuato i ricordati principi
Chiedersi se i codici deontologici debbano essere ispirati e informati ai principi costituzionali sembrerebbe pleonastico. Le norme deontologiche, infatti, pur nella loro autonomia, non possono che essere conformate al dettato costituzionale di cui dovrebbero enfatizzare e rimarcare i grandi principi anche in attesa e previsione delle norme ordinarie di attuazione.
 
La recente normativa ordinistica, operata  con la legge 3/2018 e che coinvolge tutte le professioni sanitarie, a iniziare da quella medica, non richiama direttamente la Costituzione ma declina i principi fondamentali contenuti nella Carta come “la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei princìpi etici dell'esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva”.
 
Non vi è tutto, ma certamente vi è molto in questa affermazione. Per lungo tempo la Costituzione non è entrata nei Codici deontologici le cui norme erano, nei decenni scorsi, prevalentemente autoreferenziali e impermeabili proprio a diversi principi costituzionali.
 
Vi sono norme costituzionali che dovrebbero essere l’architrave di ogni codice deontologico quali i diritti inviolabili dell’uomo  e la conseguente autodeterminazione (art. 2), i principi di uguaglianza e antidiscriminazione (art. 3), i principi della inviolabilità della libertà personale (art. 13), i principi della libertà religiosa (art. 19), il principio del diritto alla salute e della sua effettività (art. 32) e il principio della libertà scientifica (art. 33).
 
E’ utile indagare se nel corso dei decenni prima e nelle condizioni attuali dopo i codici deontologici abbiano attuato i ricordati principi. Provvederemo a analizzare, in una lettura storico evolutiva dei codici deontologici - con particolare attenzione al codice di deontologia medica per l’importanza storica che questo ha assunto – l’adeguatezza deontologica ai principi costituzionali.
 
L’autodeterminazione
Il principio dell’autodeterminazione è stato ribadito più volte dalla Corte costituzionale ed è oggi espressamente richiamato dalla legge 219/17. L’autodeterminazione nelle questioni di salute e bioetiche compare per la prima volta con le richieste del movimento femminista degli anni settanta con particolare riferimento alle questioni legate alla sessualità, alla prevenzione delle gravidanze indesiderate e all’aborto.
 
Quando fu approvata la legge 194/1978 il codice di deontologia medica, che tradizionalmente intriso di cultura ippocratica vietava l’aborto, si limitò laconicamente a precisare che “l’interruzione della gravidanza è regolamentata con legge dello Stato” (art. 46, Fnom 1978). Precedentemente vi erano solo riferimenti all’aborto terapeutico – da intendersi, secondo le concezioni dell’epoca, come l’intervento avente la finalità di “salvare la vita della madre” – che permetteva al medico, anche in questo caso, laddove per “proprie convinzioni” ritenesse di non porre in essere l’interruzione, dopo avere provveduto alle “più urgenti necessità”, doveva “consegna(re) la gestante ad altro collega” (art. 56 Fnom, 1958). Il verbo utilizzato ricordava più un oggetto, un pacco che non una donna che rischiava la vita nella prosecuzione della gravidanza. Non vi sono dubbi di come le questioni in gioco – la vita della donna da un lato e la coscienza del medico dall’altro – non potevano avere la stessa pesatura. Le norme indicate dal “codice Frugoni” del 1958 violavano i principi di uguaglianza e di ragionevolezza costituzionale, ovviamente a Costituzione vigente.
 
Il problema attuale, oggi, è di altra natura e si pone con la estensione, tutta deontologica, dell’obiezione di coscienza, denominata dal Comitato nazionale di Bioetica nel 2004 come “clausola di coscienza” sulla base proprio di un articolo del codice stesso. Nel 1998 la clausola di coscienza compare nel codice di deontologia medica con un sostanziale obiettivo: permettere al medico di non prescrivere alle donne la contraccezione di emergenza (c.d pillola del giorno dopo e, negli anni successivi, la pillola dei cinque giorni dopo).
 
Vi è da domandarsi se la clausola di coscienza sia da considerarsi in linea con i principi costituzionali. In altre parole se debba prevalere la “coscienza” del medico – successivamente la clausola di coscienza compare anche nel codice delle ostetriche degli infermieri e dei fisioterapisti – o il diritto costituzionale all’autodeterminazione della donna e il suo diritto alla salute, debba prevalere. Ricordiamo che nel nostro ordinamento l’interruzione volontaria della gravidanza – della cui legge lo scorso anno sono stati ricordati i quaranta anni di vigenza – è lecita solo se la gravidanza, il parto o la maternità possono causare problemi alla salute fisica o psichica della donna. Quindi procedura costruita per la tutela del diritto alla salute della donna.
 
Ad oggi, nei codici, si discute se la contraccezione di emergenza – c.d. pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo – possa essere rifiutata proprio in base all’istituto dell’obiezione (rectius “clausola”) di coscienza di carattere deontologico.
 
Data la non riconosciuta abortività dei medicinali classificati come contraccezione di emergenza vi è da domandarsi come conciliare il “rifiuto di prestazione professionale” contenuto nel codice Fnomceo 2014. L’articolo 22 consente al medico di rifiutare la prestazione professionale “quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici”. In questi casi diventa chiaro che se i due farmaci da prescrivere sono, per la scienza, contraccezione e non aborto – in maniera più chiara con il levonorgestrel e meno chiara con l’Ulipristal – il “rifiuto di prestazione professionale” si pone a un livello che non investe la coscienza, quanto piuttosto la scienza.
 
E’ stata infatti definita efficacemente “obiezione di scienza” nel senso che il medico, il singolo medico che si avvale della clausola, più che sollevare questioni di coscienza solleva questioni di scienza, di non credibilità delle evidenze scientifiche pubblicate, quanto meno a suo parere.
 
Vi è da domandarsi se l’obiezione di scienza sia meritevole di tutela deontologica. La risposta non può che essere negativa. Se così fosse troverebbero diritto di cittadinanza anche altre obiezioni di scienza come, ad esempio, l’obiezione sulle pratiche vaccinali le quali però hanno trovato la ferma opposizione di ordini e federazioni con l’irrogazione di sanzioni disciplinari, anche gravi.
Sempre sul tema delle “obiezioni di scienza” ci sarebbe da fare i conti con la contrarietà alle pratiche vaccinali, anche in virtù dell’esercizio delle “altre” medicine che compongono – a torto o a ragione – l’universo medico. Secondo un vecchio parere del Comitato nazionale di Bioetica nel caso delle vaccinazioni il richiamo all’istituto dell’obiezione (e quindi della clausola) “non sempre risulta pertinente”.
 
Anche il codice deontologico dell’infermiere (Fnopi, 2019) contiene una norma sulla clausola di coscienza che può essere ricondotta anche alla schematizzazione della “obiezione di scienza”. Tra l’altro la formulazione dell’articolo 6 rischia di operare una confusione concettuale tra clausola di coscienza e l’istituto della “disobbedienza civile” visto il richiamo alla “responsabilità della propria astensione”.
 
Per quanto riguarda la professione ostetrica decisamente da rivedere – per l’adeguamento ai principi costituzionali - è inoltre l’articolo 3.16 (questa la numerazione utilizzata; non risulta rubricato) in quanto pone sullo stesso piano “obiezione di coscienza” e “clausola di coscienza”, istituti che non possono essere accomunati.
 
Decisamente poco comprensibili inoltre i due articoli del codice deontologico dei fisioterapisti (Aifi, 2011) in quanto il primo (art. 32 rubricato come “Obiezione di coscienza”) non si comprende a cosa faccia riferimento e il secondo (art. 33 rubricato come “Clausola di coscienza”) confonde la clausola di coscienza con la disobbedienza civile.
 
Sul fronte della fine della vita il principio di autodeterminazione non è pienamente riconosciuto dall’attuale codice di deontologia medica in quanto non rispettoso, non solo del dettato costituzionale, ma anche da legge ordinaria. L’articolo 38 del codice Fnomceo è ancora rubricato – a due anni dall’approvazione della legge 217/19 – “dichiarazioni anticipate di trattamento”. Sono note le lunghe discussioni tra “direttive”, “disposizioni”  e “dichiarazioni” anticipate di trattamento in merito alla vincolatività -  e quindi all’autodeterminazione – di quanto disposto dal paziente.
 
Le prime due ne sanciscono una chiara prevalenza, mentre delle “dichiarazioni”  il medico deve solo “tenerne conto”. Inoltre siamo in attesa della sentenza della Corte costituzionale sul caso “Cappato-Dj Fabo” dove ci si può attendere, verosimilmente, un parziale riconoscimento di pratiche dirette a interrompere la vita a talune condizioni. In questo caso le norme dei codici deontologici di medici e infermieri dovranno essere riviste per adeguarle, quanto meno all’interpretazione più recente della Costituzione.
 
Sembra quindi destinato e essere modificato a breve l’articolo 17 del codice Fnocmeo 2014 (“Atti finalizzati a provocare la morte). Data la più recente approvazione il codice deontologico dell’infermiere non contiene, opportunamente, rispetto alla versione del 2009, un divieto specifico attuare e partecipare a “interventi finalizzati e provocare la morte”. Comunque, in caso di intervento della Corte costituzionale o di legge che ne recepisce i principi anche il codice della Fnopi dovrà subire una qualche integrazione.
 
I principi di uguaglianza e antidiscriminazione  e del diritto alla salute
In sanità il principio universalistico si afferma pienamente con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale che ha forzato l’impianto costituzionale che limitava le cure gratuite ai soli “indigenti”. La normativa ordinistica richiama, come abbiamo visto, i codici a garantire “la tutela della salute individuale e collettiva” e a cui gli ordini, in qualità di enti sussidiari dello Stato non possono  sottrarsi, nei limiti in cui questo è ovviamente consentito. I codici deontologici sono chiamati a una operazione di democrazia sostanziale, oggi più importante che mai in contesti di definanziamento. Garantire l’universalismo e il diritto alla salute significa garantire i diritti universali dell’uomo e la sua dignità.
 
Materia decisamente più deontologica è costituita dalle  norme antidiscriminazione collegate con il diritto alla salute per quanto riguarda due tipologie di condotte discriminatorie: le condotte legate al “sesso”, “al genere” e all’orientamento sessuale e le condotte legate per motivi di “stato” con particolare riferimento al rapporto con la popolazione migrante.
 
Per quanto riguarda le norme legate al genere e all’orientamento sessuale spicca per adesione ai principi costituzionali il recente codice deontologico della Fnopi l’unico che esplicitamente estende meritoriamente  la normativa codicistica all’orientamento sessuale. Il codice di deontologia medica si limita a un comprensivo “senza discriminazione alcuna”. Generico è anche il riferimento nel codice dell’ostetrica che si limita a un ampio rispetto dei “diritti umani universali” e confina le questioni genere all’articolo sulla ricerca. Non trattano l’argomento gli altri codici.
 
Quello che invece accomuna sostanzialmente tutti i codici deontologici è invece una scarsa attenzione alla popolazione migrante. L’8% della popolazione italiana è migrante e circa il 20% delle nascite in Italia proviene da entrambi di genitori stranieri. Non si tratta di garantire un’effettività delle cure che il nostro ordinamento comunque garantisce nonostante le recenti leggi restrittive sull’immigrazione (quanto meno in modo pieno ai migranti regolari, meno verso gli irregolari).
 
Si tratta di dare regole deontologiche di rispetto delle diversità culturali, religiose, di costume che trovano l’esclusivo limite dell’accettabilità del rispetto della persona umana e della dignità delle pratiche religiose stesse. Si tratta di declinare all’interno dei codici norme che pongano il divieto delle discriminazioni etniche dirette e indirette difficilmente sanzionabili, altrimenti, con norme di diversa natura.
 
Si pone quindi il diritto di garantire la libertà religiosa, ma anche di garantire la libertà dalla religione e soprattutto da quei precetti che appaiono decisamente in contrasto con la dignità, l’integrità fisica e la libertà delle persone.
Stupisce il ritardo sull’interculturalità dei codici deontologici soprattutto considerando l’ampiezza del fenomeno. Stupisce anche che il termine “migrante” sia ad oggi sconosciuto dalla codificazione codicistica di tutte le professioni sanitarie.
 
Il principio della libertà scientifica
“La scienza e l’arte sono liberi e libero ne è l’insegnamento” ci insegna la Costituzione. E’ un caposaldo della cultura e di libertà. Questo principio, in medicina vede oggi delle codificazioni dovute al ruolo delle linee guida sancito dalla legge 24/17 (c.d. Gelli). Le discussioni sulla compressione dell’autonomia dovuta alle diverse opzioni di scienza sono state numerose. L’interpretazione data dalla giurisprudenza ha però fortemente temperato il dissenso che può esserci proprio sull’osservanza delle linee guida.
 
Abbiamo già visto che comunque siamo nell’alveo della scienza e i contrasti di opinione sono leciti solo in quanto “scientifici” non potendo riconoscersi come tali quelli ciarlataneschi che hanno ammorbato il dibattito anche giuridico. Si pensi, per rimanere solo ai più recenti casi Stamina e Di Bella.
 
Non accettabili sono anche, di conseguenza, le “obiezioni di scienza” strettamente  morali che fanno sopravanzare questi ultimi aspetti rispetto alle acclarate questioni di scienza che non possono essere combattute con il soggettivismo ideologico che rischia di essere negatore dei diritti della persona assistita.
 
Il principio della inviolabilità della libertà personale
L’articolo 13 della Costituzione delinea il perimetro della “inviolabilità” della libertà personale. Viene in mente inevitabilmente il problema della contenzione che è  presente in ben quattro codici deontologici: medici, infermieri, fisioterapisti e educatori professionali. Per l’argomento rimando a un mio recente contributo.
 
 
Conclusioni
I codici deontologici di tutte le professioni sanitarie mostrano taluni istituti francamente non conformi alla Costituzione che rischiano di aggravarsi con la imminente sentenza della Corte costituzionale sulla depenalizzazione del suicidio medicalmente assistito.
Nonostante i miglioramenti apportati negli ultimi decenni vi sono ancora delle non conformità a Costituzione di numerosi impianti codicistici.
 
Luca Benci
Giurista
Componente del Consiglio superiore di sanità
16 settembre 2019
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