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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Studi e Analisi

Costi e liste d’attesa. Per Eurostat sono “solo” 1,4 milioni gli italiani che rinunciano alle cure. Rispetto a 10 anni fa il numero si è dimezzato

immagine 16 dicembre - In particolare 1,2 milioni per costi eccessivi e 240mila per liste di attesa troppo lunghe, più altre 120 mila persone per cause minori e non rilevanti. In tutto il 2,6% degli adulti dai 16 anni in su. Peggio di tutti l'Estonia con il 18,8%. All’opposto l'Austria con lo 0,3% della popolazione che ha detto di aver dovuto rinunciare alle cure. L'Italia mostra un netto miglioramento rispetto al 2009 e in ogni caso i dati Eurostat fotografano una situazione molto migliore di quella raccontata da altre indagini.
Nell'Unione europea il 3,6% delle persone di età pari o superiore a 16 anni (circa 18 milioni di individui) ha riferito di bisogni insoddisfatti per visite mediche o trattamenti sanitari nel 2018. È quanto emerge dall’annuale analisi di Eurostat basata su una serie d’interviste che hanno analizzato la percezione dei cittadini europei nei confronti dei loro servizi sanitari.
 
L’indagine è stata resa nota in occasione della Giornata universale della copertura sanitaria che si è celebrata lo scorso 12 dicembre e su cui Quotidiano Sanità ha effettuato alcune elaborazioni.
 
Dall’analisi emergono dati sorprendenti che riguardano proprio l’Italia dove tra costi insostenibili e liste d’attesa avrebbero rinunciato a curarsi circa 1,4 milioni di cittadini. Un numero che rispetto a 10 anni fa si è dimezzato ma che soprattutto è infinitamente minore rispetto ai roboanti 12 milioni di italiani che rinunciano alle cure di alcuni studi privati recenti e anche dai circa 4 mln rilevati dall’Istat. Sorprende, analizzando i dati ancor più nel dettaglio il fatto che sarebbero poco più di 240 mila gli italiani che hanno rinunciato a curarsi per l’eccessiva lunghezza delle liste d’attesa. E dire che nell’ultimo anno è sembrata invece essere un’emergenza nazionale sui cui si è intervenuti con un Piano nazionale, che a tutt’oggi sostanzialmente rimane de facto inapplicato.
 
Detto ciò, non è che la ricerca Eurostat sia la verità assoluta ma ciò dimostra come spesso le indagini basate sul percepito degli intervistati (e vale per Eurostat, Censis e Istat ma non solo) sono fortemente influenzate dalla soggettività di ogni intervistato e vanno quindi sempre presi 'con le molle'.
 
La sintesi della ricerca
In assoluto la maggior percentuale di rinunce per tutte le ragioni rispetto alla popolazione residente è quella dell’Estonia con il 18,8%, seguita dalla Lettonia con l’11% e dalla Grecia con il 10,1 per cento.

All’opposto le percentuali minori di rinunce si hanno in Austria (0,3%), Spagna e Malta (0,5%).

In valori assoluti invece il numero maggiore di rinunce è quello del Regno Unito (5,5 milioni circa), seguito dalla Polonia (3,3 milioni), dalla Francia (2,2 milioni)  e dall’Italia (1,5 milioni). 

Il motivo più frequentemente riportato delle rinunce sono i costi economici insostenibili che hanno fatto rinunciare alle cure in media l’1% degli europei (poco più di 5,1 milioni) e che vede l’Italia in valori assoluti al primo posto tra i paesi Ue 28 con oltre 1,2 milioni di rinunce per ragioni di costi, seguita, sempre in valore assoluto, dalla Grecia (quasi 890mila persone) e dalla Romania (quasi 660mila persone). 

Una classifica che cambia se si analizza il peso percentuale sulla popolazione. In questo caso è al primo posto la Grecia con l’8,3% di rinunce per motivi di costi, seguita dalla Lettonia con il 4,2% e dalla Romania con il 3,4% e l’Italia è al quarto posto con il 2 per cento.

Tra le altrre ragioni più comuni per aver rinunciato alle cure sono le lunghe "lista d'attesa" (0,9%, un po’ più di 4,6 milioni di persone). Altro motivo è dato dal fatto che le persone "preferivano aspettare e vedere se il problema migliorava da solo" (0,6%, quasi 3,1 milioni di persone) prima di recarsi dal medico.

Dal punto di vista dell’incidenza sulla popolazione di ogni singolo Stato, la Grecia ha riportato di gran lunga la più alta percentuale di persone con esigenze mediche insoddisfatte a causa del trattamento insostenibile perché troppo caro (8,3%), seguita da Lettonia (4,2%), Romania (3,4%), Italia (2,0%), Belgio (1,7%), Portogallo (1,6%), Bulgaria (1,5%), Cipro (1,4%) e Polonia (1,1%).

Al contrario, le quote più basse sono state segnalate in Repubblica Ceca e Finlandia (vicino allo 0,0%), mentre nella maggior parte degli Stati membri dell'Ue, circa l'1% della popolazione ha riferito di esigenze mediche insoddisfatte per motivi finanziari.

  

Focus Italia
L’Italia in particolare è diciottesima nell’Ue per la percentuale complessiva sulla popolazione di tutte le ragioni che hanno portato alla rinuncia alle cure, ma al quarto posto dopo Regno Unito (quasi 5,5 milioni), Polonia (per tutte le ragioni hanno rinunciato poco meno di 3,3 milioni di abitanti) e Francia (2,2 milioni) con poco più di 1,5 milioni di rinunce.

Per le liste d’attesa troppo lunghe avrebbero rinunciato alle cure 241.438 cittadini in Italia contro gli oltre 2,8 milioni del Regno Unito (più della metà dell’intero valore Ue 28) 1,063 milioni della Polonia, più di 268mila in Francia e oltre 259mila in Finlandia.

Poco più di 60mila lo hanno fatto invece rispettivamente sia perché avevano tempi stretti per le cure, sia perché “impauriti” dal medico, dal trattamento o dall’ospedale.

L’Italia ha comunque sicuramente percentuali molto inferiori a chi la precede ed è in netto miglioramento rispetto al 2009.

Infatti, ad esempio, la rinuncia per cure troppo care è scesa dal 2009 al 2018 del -2% (si è dimezzato: il 4% della popolazione 2009 erano circa 2,4 milioni di persone, mentre il 2% della popolazione 2018 sono poco più di 1,2 milioni di individui), così come si è ridotta dello 0,9% la rinuncia dovuta a liste di attesa troppo lunghe, passando dalle 767mila persone del 2009 alle 241mila del 2018.

In valori assoluti l’Italia è passata da quasi 4,2 milioni di rinunce totali per tutti i motivi considerati ai poco più di 1,5 milioni del 2018, riducendo quindi le rinunce di ben il 62% lo scorso anno rispetto al 2009.
 

  
 
 
16 dicembre 2019
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