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QS Edizioni - giovedì 25 aprile 2024

Governo e Parlamento - Veneto

Veneto. Consulta promuove la legge regionale che obbliga i medici che si specializzano in Regione a restarci per almeno 3 anni

immagine 12 febbraio - Ritenute "infondate" le eccezioni presentate dal Governo che aveva impugnato la legge veneta. Nella sentenza la Corte Costituzionale ha sottolineato che "il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui lamenta la violazione. Nel caso di specie, il ricorrente ha omesso di enucleare in maniera univoca i princìpi fondamentali che assume siano stati violati e che toccano àmbiti materiali diversi". LA SENTENZA
La Corte Costituzionale ha dichiarato "inammissibili" e "non fondate" le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo nell'impugnazione della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020).
 
La misura obbliga il medico che ottenga la specializzazione finanziata dalla Regione Veneto a partecipare ai concorsi banditi nella stessa regione nei 5 anni successivi e, se superati, a prestarvi servizio almeno 3 anni. In caso di prestazione di attività lavorativa per un periodo inferiore al triennio nei 5 anni successivi al conseguimento del diploma di specializzazione, la legge regionale prevede che il medico assegnatario del contratto aggiuntivo regionale dovrà "restituire alla Regione un importo pari al 15 per cento dell'importo complessivo percepito per ogni anno, o frazione superiore a sei mesi, di servizio non prestato rispetto ai tre anni minimi previsti". E ancora, nell'ipotesi di inosservanza totale dell'obbligo di prestare attività lavorativa presso le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale, il medico dovrà restituire "un importo pari al 50 per cento dell'importo complessivo percepito".
 
Nella sentenza la Consulta ha spiegato come spetti al ricorrente "l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui lamenta la violazione e di svolgere una argomentazione non meramente assertiva in merito alle ragioni del contrasto con i parametri evocati". Nel caso di specie, il ricorrente "non ha ottemperato a tale onere, poiché ha omesso di enucleare in maniera univoca i princìpi fondamentali che assume siano stati violati e che toccano àmbiti materiali diversi, inerenti, per un verso, alle 'professioni' e, per altro verso, alla 'Tutela della salute'. Tale diversità avrebbe imposto una puntuale individuazione, per ciascuna delle materie richiamate, dei princìpi fondamentali che la legge impugnata avrebbe disatteso".
 
"L’identificazione dei princìpi fondamentali chiamati a regolare la materia sarebbe stata ancor più necessaria alla luce dello spazio di intervento che compete al legislatore regionale nel modulare la disciplina della formazione specialistica - si legge nella sentenza -. Come questa Corte ha ricordato, le Regioni possono attivare contratti aggiuntivi, al fine di colmare il divario tra fabbisogno effettivo e numero dei contratti statali, e delineare la disciplina dei contratti che intervengono a finanziare, 'in attuazione della normativa statale e dell’Accordo fra Governo, Regioni e Province autonome' deliberato nella Conferenza Stato-Regioni del 15 marzo 2012 (sentenza n. 126 del 2014, punto 3.1. del Considerato in diritto)".
12 febbraio 2021
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