Lo scandalo dell’aborto farmacologico fino a nove settimane
20 GEN -
Gentile Direttore,
la notizia che all’ospedale Mazzoni di Ascoli Piceno, primo nelle Marche, si praticherà l’aborto farmacologico fino alla nona settimana ha sollevato grandi polemiche, nonostante siano trascorsi ormai quindici anni dall’introduzione della metodica nel nostro Paese (che avveniva venti anni dopo la Francia e la Cina), e ben quattro anni e mezzo dalla pubblicazione della circolare del Ministero della salute che ha aggiornato le linee di indirizzo sulla procedura farmacologica.
Dopo tanto tempo, dovremmo stupirci dell’inconcepibile ritardo nell’acquisizione delle indicazioni ministeriali, e invece assistiamo ancora, penosamente, agli allarmi infondati sulla presunta pericolosità dei farmaci per l’aborto, e alle ridicole
lamentele sull’inverno demografico che, secondo Stefano Ojetti, presidente nazionale dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani), sarà “inevitabilmente rafforzato” da questa terribile “novità”(1). Ridicole, perché risulta decisamente incomprensibile il passaggio logico secondo il quale estendere la procedura farmacologica alla nona settimana porterebbe al calo della natalità marchigiana: è infatti evidente per tutti che, finora, le donne che avevano superato le sette settimane di epoca gestazionale, non potendo accedere alla procedura farmacologica, abortivano comunque, anche se obbligate a sottoporsi alla procedura chirurgica. Oggi, finalmente, la possibilità di scegliere tra aborto medico e aborto chirurgico fino a nove settimane si estende anche alle donne marchigiane, anche se, per ora, solo a quelle di Ascoli Piceno, ma, forse, è proprio l’idea della possibilità di scegliere che suscita reazioni tanto scomposte.
Come un disco rotto, Ojetti ammonisce circa le “gravi complicanze” della procedura farmacologica “leggibili nel foglio illustrativo”: “sanguinamento con eventuale necessità di emostasi chirurgica”, “anemia con necessità di trasfusione”, “infezione”. Ovviamente, qualunque procedura, medica o chirurgica, è gravata da possibili complicazioni, la cui incidenza viene definita dalla scala del CIOS (Consiglio per le Organizzazioni delle Scienze Mediche): sono NON FREQUENTI, o OCCASIONALI le complicazioni che si verificano con una frequenza tra 1/100 e 1/1.000, e RARE quelle che si verificano con una frequenza tra 1/1.000 e 1/10.000. Secondo i dati riportati nella Relazione presentata al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 194(2), nel 2022 la complicazione più frequente nelle interruzioni volontarie di gravidanza del primo trimestre è stata l’emorragia, che si è verificata nello 0,43% del totale delle IVG e nello 0,37% di quelle eseguite con procedura farmacologica. Sono state poi registrate infezioni nello 0,02% del totale (0,01 nelle IVG farmacologiche) e mancati o incompleti aborti nello 0,74% (1,21 nelle IVG farmacologiche). Dunque, le complicazioni della procedura farmacologica sarebbero NON FREQUENTI o addirittura RARE, secondo i dati riportati dal Ministero della salute.
Proprio sulla base del profilo di sicurezza di mifepristone e misoprostolo, i farmaci utilizzati in associazione per indurre l’aborto volontario, nel 2019 l’OMS ha rimosso la clausola che ne raccomandava l’assunzione sotto sorveglianza medica, ammettendone l’autosomministrazione a domicilio. Nel 2023 l’ACOG (The American College of Obstetricians and Gynecologists) ha pubblicato una revisione della letteratura scientifica(3), a conclusione della quale definisce il profilo di sicurezza del mifepristone sovrapponibile a quello dell’ibuprofene, per la somministrazione del quale certamente nessun medico cattolico si sognerebbe di ricoverare chicchessia. Per quanto riguarda, infine, la paventata rottura d’utero, che può verificarsi nelle IVG del secondo trimestre, ammesse dalla legge per gravi motivi medici, e dunque per salvaguardare la salute e la vita della donna, nella statistica riportata dal RCOG (Royal College of Obstetricians and Gynaecologists) essa si verifica in meno di un caso ogni 1.000 IVG. Si tratta dunque, anche qui, di un evento RARO.
Ma Ojetti minaccia ancora “severe sindromi ansioso-depressive ed un possibile rischio per la salute e, in alcuni casi, per la vita di quelle “mamme” che “sono lasciate da sole a vivere il dramma dell’aborto tra dolori da espulsione ed emorragie”. Tralasciando la violenza patogena insita nell’ostinarsi a definire “mamme” le donne che hanno deciso di interrompere la gravidanza, è indubbio che tali allarmismi, privi di qualunque fondamento di evidenza scientifica, interferiscono con la corretta applicazione di una legge dello stato che anche i medici cattolici obiettori di coscienza sono tenuti ad osservare. Insinuando dubbi sulla sicurezza dei farmaci, si punta a diffondere la paura per scoraggiare una scelta che dovrebbe invece essere basata sulla corretta informazione. Ignorando che le donne hanno sempre compiuto scelte responsabili riguardo la gravidanza e la maternità, anche quando queste, affidate a procedure non sicure, mettevano davvero a rischio la loro vita.
Il Ministero della Salute avrebbe il dovere di fare chiarezza, sgombrando il campo da informazioni distorte o non corrette, magari affidando al principale organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, l’Istituto superiore di Sanità, la redazione di un documento chiarificatore al quale possiamo tutti riferirci. Le Regioni, invece, avrebbero il dovere di garantire alle loro cittadine la possibilità di accedere senza ostacoli alla metodica farmacologica per l’IVG, applicando appieno gli aggiornamenti previsti dalla circolare ministeriale dell’agosto 2020. Quella circolare prevede la possibilità del regime ambulatoriale, che ad oggi è praticato solo in tre regioni, e che eviterebbe ospedalizzazioni inappropriate. Guardando a questi dati, io credo che la notizia da riportare sui giornali non sia quella di un ospedale che finalmente fa quanto indicato dal ministero, ma quella di amministrazioni regionali che sperperano risorse della sanità pubblica per motivi ideologici.
L’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica aps ha inviato una lettera aperta al Ministro della Salute, alla conferenza stato-regioni e ai presidenti e agli assessori alla sanità delle regioni(4), per chiedere che il principio dell’appropriatezza delle prestazioni sia applicato anche alle procedure per l’interruzione volontaria della gravidanza. Il fatto che nessuno abbia risposto è solo uno stimolo a moltiplicare le iniziative in questo senso, sia a livello locale, sia a livello nazionale, perché sia garantito alle donne il diritto di scelta.
Anna PompiliGinecologa, consigliera generale Associazione Luca Coscioni per la Libertà di Ricerca Scientifica aps
NOTE
(1) https://www.cronachepicene.it/2025/01/16/aborto-farmacologico-fino-alla-nona-settimana-al-mazzoni-le-reazioni-dei-medici-cattolici-e-dellonorevole-latini/508627/
(2) https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3493_allegato.pdf
(3) https://www.acog.org/news/news-releases/2023/02/acog-leads-amicus-brief-calling-mifepristone-conclusively-safe-and-effective
(4) https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/comunicati/lettera-schillaci-ivg-farmacologica-regime-ambulatoriale
20 gennaio 2025
© Riproduzione riservata
Altri articoli in QS Marche